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Mario D’Amico. Latitudini urbane

mercoledì 29 Marzo 2017 - domenica 9 Aprile 2017

sede: Galleria Vittoria (Roma);
cura: Romina Guidelli.

Un ‘mondo’ di elementi rielaborati, finalizzati a creare il linguaggio pittorico caratteristico di Mario D’Amico attraverso i suoi cromatismi, dai caratteri accattivanti e attraverso le sue città visionarie.
In mostra la ricerca artistica di Mario D’Amico con una collezione di opere che porterà il visitatore a viaggiare lungo tutto il suo percorso accompagnandolo nelle “Latitudini Urbane”.

Scrive di lui la curatrice Romina Guidelli: “Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”, con queste parole Marco Polo racconta al sovrano Kublai Kan cosa è rimasto in lui delle cinquantacinque città dal nome di donna in cui dice di essersi imbattuto lungo il cammino… Le città sono come le persone, vogliono essere ‘abitate’ per essere conosciute e scoperte.
E’ questione di cura e di attenzione agli umori del cielo, essi sono i reali artefici dei colori delle architetture.
Mario D’Amico osserva in silenzio la sua città, ascolta i suoni dei risvegli nel giorno e i consigli nella notte.
Quella  stessa città in cui vive, così popolata in realtà, ma così ‘sola’ agli occhi dell’artista, è Musa su cui l’occhio s’appoggia per leggere la vita che accade dentro e davanti al cemento, modificandone l’aspetto.
Le pareti esterne dei palazzi, disegnati dall’artista, si tingono degli stati d’animo degli abitanti tradotti in dense sfumature, mentre inquietudini e desideri diventano prospettiva: alta, frontale, bassa, decisa per descrivere le diverse altezze dalle quali è possibile vedere la stessa città scoprendola sempre diversa.
I punti di fuga interpretano visioni da stature differenti ma, soprattutto, descrivono momenti simbolici e riconoscibili, conseguenze di abitudini o d’improvvise emozioni che si traducono in pose: un uomo, poggiato al muro, è come bloccato; un altro, sul perimetro di un palazzo, sembra voglia lanciarsi.
C’è una figura in ginocchio che si rimprovera e una bambina, vestita di rosso, corre perché vuole volare via dal quadro.
Così scopro che D’Amico osserva uomini immersi in contesti urbani per dipingere la frenesia della vita che scorre.
E’ Lei la vera protagonista dell’opera.
Lei e le sue domande, Lei e le sue risposte: entrambi segreti che i quadri vogliono svelare attraverso immagini rubate del cuore della città.
Nelle opere appaiono pochi uomini, sono rivelazioni solitarie, che per primi sembrano stupirsi quando scoprono di trovarsi in altra minima, essenziale, compagnia.
Sono piccole figure ritratte al cospetto della grande metropoli, ma rivelano l’energia immensa di un incontro, di soli sguardi, avvenuto dal vero, tra loro e l’artista, fuori dalla tela.
Ogni figura è significativamente riassunta come impressa nella memoria di D’Amico: non ha mai il volto nitido, ma mantiene sempre un’esatta postura ed è situata nell’opera per manifestare un preciso stato d’animo.
A volte, l’artista trasforma questi corpi in oggetti e da questa metamorfosi nascono manichini che interpretano ruoli, attori che mascherano uomini immersi in paesaggi urbani.
D’Amico lascia queste enigmatiche silhouettes antropomorfe separate da ogni loro simile, circondate dalla città.
E’ possibile leggere questo isolamento come un dono o una condanna ma, sicuramente, questa solitudine rende i suoi uomini liberi di porre ogni interrogativo alla città senza inibizione alcuna.
Inibiscono gli sguardi, non le case, no le strade; esse sono ricovero o traccia in cui ritrovare il percorso, oppure labirinto in cui finalmente perdersi.
Sono scelte e possibilità da compiere in una generosa realtà: la città è latitudine.
D’Amico esegue il ritratto delle energie che abitano le città, le porta fuori dai  ‘salotti del privato’ per condividere l’immagine di umane sensibilità, fragilità, preferenze, speranze, solitudini, trepidanti, deluse o ironiche attese, di milioni di abitanti diversi, ma simili nell’animo e identici nella natura.
Così nascono opere che raccontano storie di impossibili abbracci e denunciano comunicazioni interrotte da evidenti distanze fatte di uomini, lontani, in cima a palazzi, vicini.
Distanze fatte di uomini in luoghi creati dagli uomini.
Surreale constatazione di mancata condivisione interpretata come una capacità, persa o un’esigenza, sorda.
Sul valore della condivisione si fonda il concetto stesso di città, dimenticato.
Nelle città di D’Amico ogni rigogliosa natura è sommersa, se compare è spoglia, ma mostra l’opportunità di un potente anelito: in un Albero, e uno solo, saldo in cima ai palazzi affastellati.
La luna lo proteggerà.
La natura è negli alberi disegnati nelle mani del Grande forestale, protetta da questa figura perplessa, senza volto.
Uno come nessuno, con lo stesso identico potere di tutti.
Un intero cielo si concentra nel bianco ovale di una nuvola che nutre il monumento a un albero ‘nudo’ posto al centro di una piazza.
Quel quadro è una Fuga della realtà: non può cemento sfamare nessuna radice.
Eppure quell’albero indiscutibilmente esiste negli occhi e nelle mani del suo creatore.
Anche i manichini, sottratti da un quadro metafisico, si umanizzano nelle opere dell’artista e compiono azioni con e contro natura: Il grande Costruttore lega per portare via la sua ‘roba’.
Il Grande urbanista costruirà nuovo e dimenticherà ancora il verde tra i suoi colori.
Arriverà a portare la memoria di un tronco L’amico della città.
Mentre queste azioni si compiono, scatenando forze e riflessioni, il tempo dell’opera ci coinvolge mentre scivola, di tela in tela, tra albe di cemento e tramonti di mattone cotto, creando panorami incredibilmente familiari.
Le finestre, da cui osservare questi moti, sono rare e anguste: l’aria è poca dentro al quadro.
La geometria regna sovrana, edifica quadrati e parallelepipedi messi in ordine come bersagli che aspettano d’essere colpiti da un lampo per permetterci di vedere oltre.
L’accentramento della prospettiva e la mancanza d’aria provocano visioni: De Chirico osserva l’evoluzione dei suoi manichini da quel palazzo turchese come i suoi cieli.
Pochissimi e fondamentali colori lasciano pensare che in una delle stanze, locate nelle costruzioni, c’è Morandi.
Lui è il maestro prediletto di D’Amico, il suo ‘senso del colore’ rispetta la regola del sottrarre e mantenere puro per ottenere una tavolozza di pochissime cromie a cui s’aggiunge solo luce brillante presa in prestito dal cielo.
Ora so che D’Amico tramanda il principio di quella sottrazione.
In una stanza, minuscola e distante, albergo io stanotte.
E’ il regalo che mi ha fatto Mario.
In silenzio, mi godo il panorama di una città che dorme e aspetto la nuova alba.

Dettagli

Inizio:
mercoledì 29 Marzo 2017
Fine:
domenica 9 Aprile 2017
Categoria Evento:

Luogo

GALLERIA VITTORIA
Via Margutta, 103
Roma, 00187 Italia
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Phone
06 36001878
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