C’è da chiedersi perché ci si sorprende nel trovare qualcosa di inaspettato e fresco in un consueto paesaggio, quando lo si guarda attraverso una piccola apertura-buco, come se ne fosse emersa la parte fino a quel momento ignota.
È forse perché il paesaggio al di là dell’apertura-buco, pur essendo vicino a chi lo guarda, si rende irraggiungibile in un altro mondo? Sembra che la piccola apertura-buco costituisca qualcosa di più di un semplice passaggio visivo.
Essa non è quel finestrino-spia attraverso il quale si può analizzare il mondo esterno, ma piuttosto serve a farlo apparire non analizzabile.
È questa apertura che dal 1965 offre Aiko Miyawaki con le sue opere costituite da pilastri vuoti metallici a sezione quadrata sovrapposti l’uno all’altro.
È l’apertura attraverso cui viene trasformato il paesaggio esterno.
La superficie lucidata interna a ogni singolo pilastro quadrato raccoglie le luci esterne e le riflette ripetutamente dando origine a scene trasformate da queste stesse luci riflesse.
Queste scene poi vogliono soltanto rappresentare l’estensione del paesaggio esistente nella realtà al dì là dell’apertura.
La forma dell’apertura evidenzia il passaggio da quella derivante dal pilastro quadrato a quella derivante da! cilindro e la disposizione dei pilastri dalla struttura a griglia a quella lineare.
Questa variazione inerente sia alla forma che alla disposizione delle aperture sta a dimostrare l’importanza attribuita dalla scultrice alla funzione dell’apertura.
Quali che siano i termini che definiscono questa apertura, buco, crepa o finestrino, vi si riscontra una caratteristica comune data dal fatto che attraverso essa si guarda il mondo esterno, o per meglio dire questo è quanto ci suggerisce la scultrice.
li suo lavoro più recente, un disegno lunghissimo orizzontalmente, come lo Emakimono giapponese, è caratterizzato anch’esso dal medesimo connotato.
Questa opera che la Miyawaki ha disegnato, poco per volta e giorno dopo giorno, ci ricorda un disegno-tipo ritrovabile nella stoffa di rozza tessitura.
Non è che questo disegno-tipo possa avere per noi un significato determinato, ma sembra piuttosto che la sua disposizione, , quantitativamente infinita, a griglia-rete, ci faccia pre-^ vedere, proprio per suo tramite, ciò che sta al di là di essa.
In questo caso il paesaggio è affidato all’immaginazione di chi lo guarda.
Questo è il tentativo che, attraverso le sue opere, ha cercato di fare la Miyawaki, non solo per far rinascere il mondo visualmente percepito come qualcosa di non significabile, ma anche per realizzarlo con la concentrazione della percezione visiva.
Il paesaggio viene sostituito da fasci di luce e trasformato dal loro divergersi.
L’opera costituita da alcuni vetri colorati sovrapposti ne è un’altra testimonianza.
In essa i fasci di luce sviluppano un altro tipo di gioco.
Tutto questo, in sintesi, è un tentativo di guardare il mondo attraverso un gioco psicologico.
Del resto chiunque, avrà provato questa sensazione, questa esperienza nel vedere l’esterno attraverso un sottilissimo spazio lasciato lìbero tra la porta e il muro, o la superficie dell’acqua attraverso un fitto fogliame di alberi, o un paesaggio attraverso una stoffa leggera, o quando con la mano messa a forma di cilindro davanti all’occhio ha guardato il paesaggio suscitando in tal modo quella indescrivibile sensazione che attraverso l’opera della Miyawaki ci viene ricordata.
Percepire il mondo come un gioco psicologico non può essere altro che provare questa sensazione.
Yusuku Nakahara
(traduzione di Toshio Oishi)
Tratto dal Catalogo:”Aiko”
Edizioni Galleria del Naviglio – Milano – 1976
Direttore Renato Cardazzo
Catalogo stampato in occasione della 659 Mostra del Naviglio
marzo – aprile 1976