Appartenenza alla modernità e “pietas” per l’oggetto abbandonato. Intervista a Michele Iodice

di Teresa Lanna.

Appartenenza alla modernità e "pietas" per l'oggetto abbandonato. Intervista a Michele Iodice

La compassione, l’empatia, il senso del rispetto; nei confronti del prossimo e della Natura che ci circonda. Valori che ogni genitore dovrebbe trasmettere ai propri figli, e che, tassello dopo tassello, potrebbero fornire un forte contributo nella creazione di un mondo migliore, più giusto e più solidale.

Eppure, sembrano parole astratte, che descrivono realtà remote e lontane anni luce da una normale quotidianità, nella quale, anziché regnare, sovente, indifferenza, maleducazione e arrivismo, ci siano più attenzione e gentilezza reciproche.

È proprio il concetto di Pietas, che riassume gran parte dei valori fondamentali della vita, a costituire la pietra angolare sulla quale l’artista Michele Iodice costruisce, da oltre trent’anni, il suo percorso, professionale ed umano. Quell’elemento che, nella civiltà romana, era il fulcro dei rapporti tra gli uomini e col divino; un principio tangibile, che si esprimeva concretamente nel prendersi cura delle persone, anche di quelle appartenenti alle classi sociali meno abbienti; e, soprattutto, nel rispettarle, a partire dal proprio nucleo familiare.

Arborum Fallorum, 2023, ferro e fusioni di bronzo, 110×60 cm. Foto di Amedeo Benestante

Michele Iodice, artista e designer, inizia il suo percorso professionale a partire dal teatro dei pupi napoletani, dedicandosi, da oltre trent’anni, alle arti visive, scenografiche e al design. È stato protagonista di varie mostre personali e ha partecipato a numerose esposizioni collettive, dando vita ad una varietà di interventi progettuali, installazioni ed allestimenti museali; tra questi, quelli ospitati presso il MANN Museo Archeologico Nazionale e alla Floridiana di Napoli.

Iodice non ama ripetersi; sperimenta materiali nobili o poveri, miscela tubi di alluminio e dettagli scultorei in bronzo di ispirazione greco-romana, si svincola in geometrie metalliche, crea camouflage inconsueti che accostano marmi antichi e resine; evoca e rende omaggio ai “mille culure” e alle diverse culture che, da sempre, costituiscono il cuore di Napoli e rendono unica ed affascinante la città partenopea.

Fra le installazioni artistiche di Iodice, ricordiamo Pagan feast, il bellissimo lavoro per l’Isabella Stewart Gardner Museum a Boston, nel Massachusetts; inoltre, l’opera concepita nel 2008 per la rassegna Migrazioni, presso la Villa San Michele del medico e scrittore svedese Axel Munthe, ad Anacapri. 

Tra le diverse esposizioni, Reperti impossibili al MANN e al Museo Ignazio Cerio di Capri; tra le installazioni, La natività a Santa Patrizia; tra le scenografie, quella per l’opera R.A.M., di Edoardo Erba, al Teatro Parenti di Milano.

La grotta/studio di Michele Iodice al Rione Sanità, luogo di lavoro ed esposizione, è tra gli studi d’artista più fiabeschi del capoluogo partenopeo.

Smalto argento su plexiglass blu, 16,7×35,2cm, 2021 (dettaglio) – Foto di A. Benestante

L’intervista

[Teresa Lanna]: Partiamo dall’inizio del suo viaggio nel mondo dell’arte: quando si è accesa la “lampadina” che le ha fatto decidere di intraprendere questo percorso?

Michele Iodice con Andrea Viliani, 2016, foto @ Intragallery, Napoli

[Michele Iodice]: Un po’ per eredità familiare, per così dire; mio nonno paterno, infatti, era compositore e direttore d’orchestra. A parte questo, comunque, ho sempre disegnato e sono sempre stato interessato sia alla musica che al teatro. Poi, ho incontrato quella che fu una grande collezionista d’arte, Graziella Lonardi Buontempo; fu lei che, vedendo le mie opere, mi propose di metterle in mostra. La mia prima esposizione ha avuto luogo nel 1992, con gli incontri internazionali d’arte. Il titolo della mostra era Star di Casa.

Parliamo della sua esposizione al MANN di Napoli: Aphrodisia, ospitata al primo piano del Museo. Si tratta di un suo omaggio personale al Museo Archeologico, con cui lei ha avuto una lunga e stretta collaborazione come artista educatore e funzionario. Lei, con questa mostra, ha voluto evidenziare la presenza, all’interno delle opere antiche custodite nel Museo, dell’elemento dell’erotismo. Quale approccio, secondo lei, si ha verso di esso, all’interno della società odierna e, inoltre, quali sono le altre componenti che ha percepito nelle varie opere presenti al MANN, osservandole per tutti questi anni?

Il concept di questa mostra sta nella considerazione che, anche in rappresentazioni tragiche, la bellezza, le forme, sono raffigurate con corpi dalle movenze morbide, sinuose ed accoglienti, tanto da sentirsi catturati emotivamente. Ho avuto la fortuna di entrare tutti i giorni in un luogo di lavoro come il Museo partenopeo ed essere accolto da bellissimi corpi nudi. La coscienza dell’oggi e del passato, nei confronti dell’Eros, è che ognuno di noi ha un suo punto di vista, nel pieno rispetto delle proprie ed altrui visioni.

Ooparts / Out Of Place Artifacts, di Michele Iodice, Installation view, 2017, Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Foto di Giuseppe Salvati.

Lei è nato a Napoli e tuttora vive e lavora in questa meravigliosa città; sin da subito ha deciso di rimanervi e, se sì, c’è stato qualche momento in cui ha pensato: Ora vado via”?

Non ho mai pensato di andare via, ma di fare esperienze anche altrove; questo sì. Credo, infatti, che la curiosità sia il sale della vita.

Il suo studio si trova nel Quartiere Sanità, all’interno di una grotta molto grande, che un tempo era un luogo fatiscente, abbandonato a sé stesso. Come ha scoperto questo posto e quando ha deciso di farne il suo “rifugio d’elezione”?

Avevo un piccolo studio nel giardino di Palazzo Sanfelice, nel Rione Sanità. Il mio assistente di allora, diciassette anni fa, mi propose di visitare il deposito della sua famiglia. Fu un colpo di fulmine: mi innamorai a tal punto che decisi di acquistarlo. Anche lo studio appartiene alla mia Pietas dell’oggetto abbandonato per dargli una nuova vita.

Lei ha fatto molto teatro, iniziando a lavorare dietro le quinte con i pupi napoletani. Ci parla di questa esperienza?

La mia prima esperienza è stata nella cooperativa Teatro dei mutamenti con l’attore, registra teatrale e drammaturgo italiano Tony Neiwiller; poi, ho fatto scene per Annibale Ruccello, Cristina Donadio, per il Franco Parenti di Milano, …
Ho amato il teatro di figura e non solo. Ho lavorato con l’ultimo puparo di Napoli, Ciro Perna. Ma lo spirito era sviluppare e conoscere altre tecniche, sino a progettare uno spettacolo con dieci chili di pasta per il pane che, in controluce, con la tecnica delle ombre, si trasforma in varie sagome; un magma che scomponeva e rigenerava forme, in un movimento lento e sinuoso dal titolo Veneficium.

Lei ha lavorato con diversi artisti; ricorda qualche episodio, o aneddoto, in particolare, che riguarda qualcuno di loro e che le fa piacere condividere?

L’artista con cui ho lavorato con piacere si chiama Gerd Rohling. Berlinese, veniva sulle spiagge di Cuma a trovare plastiche corrose per trasformarle in oggetti quasi archeologici. Sistemati in vecchie vetrine ottocentesche sembravano vetri adrianei, e quella fu la mostra con la quale partecipammo alla Biennale di Venezia. Poi, ovviamente, c’è stata la grande soddisfazione di poter lavorare per un Museo Archeologico.

Lei crea spaziando tra varie tecniche ed usando tantissimi materiali diversi; c’è un elemento, un’idea, un motto, che porta sempre con sé nel suo percorso?

Come ho avuto modo di accennare, e come afferma Giuseppe Merlino: «La Pietas per l’oggetto abbandonato».

Studio di Michele Iodice © Giusva Cennamo, 2016

All’interno del suo studio, campeggia un enorme occhio; ha un significato simbolico e, se sì, cosa rappresenta?

È il mio occhio; e, quando non ci sono, è quello di Prometeo.

Lei è l’autore della scenografia creata per l’opera R.A.M. di Edoardo Erba, con regia di Michele Mangini, che ha debuttato in prima nazionale al Teatro Franco Parenti di Milano il 21 giugno 2022. Si tratta di una vera e propria installazione, nata recuperando dei serbatoi, trasformati in sculture. Come ha concepito questa idea?

È la storia di una donna che, nel 2120, vende per miseria la propria memoria. Per cui, proiettare immagini sui miei serbatoi, dava il senso della deformazione delle immagini e della confusione mentale dell’interprete. Mi sembrava la giusta texture su cui proiettare immagini che si deformano.

Riferimenti
Michele Iodice official website | Contatti
Immagine in evidenza
Bacio, 2023, gesso, 67x75x50cm ca. Foto dalla mostra Aphrodisia al Museo Archeologico di Napoli, 2023. Foto di Amedeo Benestante
Copyright
Tutte le immagini: © Michele Iodice e autori delle rispettive fotografie. Courtesy Intragallery, Napoli