di Mariateresa Zagone.
Gli edifici e le strade che Daniele Cestari rappresenta sono ritratti di città in cui, come è accaduto a molta ritrattistica – da quasi 200 anni – viene utilizzata la fotografia per scandagliarne l’anima attraverso la forma fisica.
La stratificazione di carte antiche, il valore documentale delle parole su di esse scritte, l’utilizzo di fotografie trattate con resine, le vernici industriali, gli acrilici, la sabbia, diventano perfetta traduzione materica della stratificazione architettonica che origina dall’anima più antica di ogni città.
La raffigurazione di scorci più o meno casuali della dimensione metropolitana si accompagna sempre ad un processo di riduzione all’essenziale della struttura dell’opera. Nel figurare sintetico e raccorciato la definizione segnica si perde infatti via via che gli edifici si innalzano a toccare il cielo, così come la stessa operazione sottrattiva caratterizza le cromie dalla dominanza neutra, tendente alla gamma dei grigi interrotti da improvvisi bagliori di luce.
La pittura di Daniele Cestari è aspra, graffiata, di crescente densità icastica, caratterizzata da gamme cromatiche ristrette. L’atmosfera della città, il gigantismo, l’incombenza di certa realtà “bruta al dipingere” risultano essere il focus delle sue opere che conferma la scelta della moderna condizione metropolitana quale tema centrale del suo immaginario pittorico.
In un moto fulmineo che sembra solo appena accaduto, la presenza umana è scomparsa dal campo visivo, dal taglio, appunto, fotografico, se ne intuisce ancora la vibrazione, la presenza distratta come di chi, forse, è appena passato da quelle strade su un tram o su un’automobile.
L’intervista
[Mariateresa Zagone]: Chi è Daniele Cestari?
[Daniele Cestari]: Un tipo curioso, nel senso che vaga e si perde per la città e si interroga sulle storie della gente che spia dalle finestre, con la luce accesa, alle due di notte…d’altra parte la città, come macchina complessa, esiste perchè esistono le persone. Cosi come ci si perde ad osservare il mare fatto di pesci…Daniele ama il mare quanto la città.
Tu sei un architetto. Quando hai iniziato a dipingere e quando hai capito che volevi fare il pittore?
Non so se volessi fare il pittore, probabilmente è stata necessità pura, alla fine ti ci ritrovi senza scegliere perché non è un lavoro, ma una necessità innata di natura umana, di sensibilità, di vita. Mi definisco infatti un architetto che dipinge.
È vero che il primo atto di un’opera è sempre autobiografico?
Sono un architetto che dipinge sinceramente. Tutto è autobiografico. Creare è un atto culturale, un’azione di intelletto affiancata ad un lavoro manuale. Il mio lavoro è frutto del mio vissuto, la formazione di architetto che ha incontrato la mia sensibilità emotiva oltre alla manualità. Ma la benzina per un motore che deve fare strada si versa nel serbatoio durante il viaggio: durante questo viaggio colleziono idee, paesaggi, vite, oggetti…e il viaggio è il viaggio della tua vita.. fatta di esperienze, incontri ecc …Non fa questo del mio lavoro un lavoro autobiografico e sincero?!
Focus della tua ricerca è la città. Cosa ti affascina del paesaggio metropolitano?
Il paesaggio metropolitano come le città non mi affascinano per nulla. Mi affascina la natura. Il vento il mare. Nel paesaggio metropolitano sono attratto solo dall’energia e dall’interazione tra le persone e questa macchina incredibile si chiama città. Città che produce fumo, vibrazioni, incontri, rumori, profumi, puzza e suoni meravigliosi..
A ispirarti o influenzarti ci sono letture particolari?
Bukowski, scrittore e poeta “underground” americano, i noir…
Che ruolo ha la fotografia nel tuo lavoro?
La fotografia non è altro che una estensione della tavolozza. Uso la fotografia ma non sono un fotografo, non ne ho le capacità, uso solo il mezzo per aiutarmi a fissare velocemente una situazione..
E la memoria?
Il tema della perdita della memoria è centrale nella ricerca artistica contemporanea. È un processo di codificazione dell’opera emotivo e cognitivo. Mi piace infatti usare materiale come supporti di carta antica , quaderni usati vecchi intrisi di segni del tempo che rimandano la mente ad esperienze, ricordi ed emozioni, sovrapposti ad immagini contemporanee, fotografiche, segni graffiati, collage di città nuove e magari con colori pop. Qui si crea il gap, il gap emotivo: due livelli, il nuovo e il moderno, il passato e la realtà presente. Mi piace infatti mescolare il presente al passato.
Che cosa accade nel mondo che i tuoi dipinti racchiudono?
Nulla che possa essere diverso dalla vita. O nulla che possa essere non compreso dalla fantasia. Scenari di guerre, di vita, di amori.., tutti racchiusi nella scatola della città o del paesaggio. I miei soggetti urbani sono scatole che raccontano il mondo attraverso segni graffi, strappi . Tutto sembra intriso di passi e di umanità. Il gesto pittorico è connesso alla mia emotività.
Un artista del passato che avresti voluto conoscere e frequentare.
Caravaggio per il suo carattere, Francis Bacon per come sapeva leggere le persone. Avrei però frequentato Picasso per captare l’energia continua del suo lavoro in costante evoluzione..
Cosa pensi, in generale, del “sistema dell’arte” in Italia?
Il sistema è confuso e felice. Forse. Sta mancando la linfa vitale di anni appena passati che portavano con se un tipo di fermento vero; ma questa è una visione legata al passato di una classe di collezionisti e galleristi che l’arte la vivevano: gli open, eventi, inaugurazioni dove l’odore delle tele si confondeva con quello dell’alito delle persone presenti. Ora sono i social a sostituire le gallerie, le opere non si annusano e nemmeno si toccano più con le dita ma basta un reel …inoltre in Italia ci si basa ancora su un concetto di collezionismo che deve essere per forza investimento…ma forse ci stiamo perdendo un fattore importante.. godere dell’arte! Ma il sistema dell’arte è questo, inutile fare i nostalgici, bisogna solo essere interpreti di questo tempo.
Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?
I critici non li cerco, sono i critici che amano il tuo lavoro e magari ti propongono di collaborare. Torniamo al rapporto di sincerità del mio lavoro che deve rispettare anche questo aspetto. La critica è sincera se nasce per amore ma non a tavolino…quindi vorrei collaborare con chi stima il mio lavoro, mi segue, e ogni tanto mi chiama per sapere se sto bene.
Ci racconti la genesi di un tuo dipinto?
I dipinti sono come le canzoni. come le canzoni sono fatte di parole, i dipinti sono fatti di pensieri e di colore. sta tutto nel mescolare bene gli ingredienti, dare la giusta temperatura di cottura ed ecco che fai una torta che canta.
Parlaci dell’esperienza della biennale di Venezia in cui sei stato chiamato ad esporre nel 2011
Esperienza bellissima grazie ad una scelta che sapeva di genialità.. una quantità di gente folle invitata alla biennale dove esponevo presso il chiostro di san Pietro a Reggio Emilia… ero Daniele o nessuno!!! Naufrago in mezzo alla folla…scelta che rispecchia i tempi nei quali la figura dell’artista è confusa con quella di pittore, giocoliere ai semafori, imbrattatore di arredo urbano, modellista di stuzzicadenti, tutti nello stesso insieme, confusi e felici…in realtà quella biennale ha rappresentato il nostro tempo dove ognuno deve fare la propria gara. Da quel momento mi sono posto alcune domande alle quali ancora oggi potrei rispondere in tanti modi diversi: “chi è un artista?”, “ma cosa faccio per l’arte?” .
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