di Giorgia Mocci.
«Anche se c’è forse un campo in cui la fotografia non può dirci nulla di più di ciò che vediamo con i nostri occhi, ce n’è un altro in cui ci dimostra quanto poco i nostri occhi ci consentano di vedere.»
Così definiva Dorothea Lange l’arte della fotografia: un ambito che in parte non ci può comunicare niente di più di ciò che osserviamo con i nostri occhi, ma che dall’altra è in grado di trasmettere tanto cogliendo, con i suoi scatti, degli aspetti che il nostro sguardo non riesce a percepire.
Dorothea Lange nacque il 26 maggio 1895 ad Hoboken, negli Stati Uniti, con il nome di Dorothea Margaretta Nutzhorn. Da bambina fu colpita dalla poliomielite, malattia che le causò un deficit di tipo permanente alla gamba destra, segnandola per tutta la vita. Uno dei momenti più difficili della sua vita fu quando suo padre abbandonò la famiglia; Dorothea aveva 12 anni e si trovò quindi a trascorrere un’infanzia e un’adolescenza difficili. Si formò presso la Clarence White School di New York, dove ebbe modo di conoscere a fondo le tecniche fotografiche del ritratto in grande formato. Dorothea dimostrò da subito un grande talento ed ebbe l’occasione di collaborare con alcuni studi fotografici di grande importanza come quello del fotografo americano Arnold Genthe.
Nel 1918 decise di intraprendere una missione molto particolare: effettuare una documentazione fotografica, girando tutti i Paesi del mondo. Quando però si accorse di non avere più soldi, dovette fare rientro nel suo Paese, stabilendosi poi nella città di San Francisco. Fu qui che aprì uno studio fotografico che godette di grande fama. Nel 1920 sposò l’artista americano Maynard Dixon con cui formò una famiglia e da cui divorziò successivamente. Dopo avere conosciuto il gruppo di fotografi F/64, a cui non aderì, decise di abbracciare la filosofia della straight photography. Dal 1932 Dorothea Lange iniziò ad aderire apertamente alla fotografia sociale, interessandosi delle sorti delle classi sociali più deboli, come ad esempio i senzatetto e i disoccupati. Si interessò in particolare delle condizioni di vita dei senzatetto e dei disoccupati dello Stato della California.
Veniva definita “fotografa dell’umanità” proprio perché si interessava alle condizioni di vita precarie delle classi sociali meno abbienti e più povere. Sue fotografie molto interessanti furono, ad esempio, quelle che scattò ai contadini colpiti in maniera molto dura dal cosiddetto Dust Bowl, le tempeste di sabbia che causarono il fenomeno della desertificazione dei terreni agricoli statunitensi. Queste fotografie furono ritenute talmente interessanti da incuriosire l’economista californiano Paul Schuster Taylor, che pensò di affidare a Dorothea un lavoro fotografico di grande portata avente come soggetto le popolazioni rurali che stavano vivendo momenti di forte difficoltà nelle loro terre. L’economista, da cui ricevette l’incarico fotografico, divenne suo marito in seconde nozze.
«La dissonanza tra quello a cui stavo lavorando e quello che succedeva nelle strade era più di quanto riuscissi ad assimilare.»
Questa frase emblematica di Dorothea Lange testimonia come rimanesse fortemente colpita dallo stato di indigenza delle classi più deboli, mentre faceva il suo lavoro. I suoi scatti sono, infatti, permeati da una grande umanità e trasmettono dei sentimenti molto forti che inducono a riflettere sulle difficili condizioni delle classi sociali più povere. Dopo avere vinto l’importante premio Guggenheim nel 1941, la fotografa americana iniziò ad interessarsi anche delle condizioni in cui versavano i prigionieri giapponesi detenuti dagli americani in seguito all’attacco di Pearl Harbour avvenuto nel 1941. Anche in questa occasione, il suo obiettivo era sempre quello di voler rappresentare unicamente la realtà dei fatti.
La sua carriera proseguì con la realizzazione di reportage fotografici effettuati spesso in collaborazione con suo marito. Tutte le sue fotografie di quegli anni erano scatti sociali, che descrivevano le difficili condizioni di vita delle persone più indigenti e ai margini della società.
«La macchina fotografica è uno strumento che insegna alle persone come vedere senza la macchina.»
Per la fotografa americana la macchina fotografica era un mezzo istruttivo, perché insegnava alle persone a vedere la realtà circostante esattamente così come si presentava.
Un altro scatto che rappresenta la povertà e la sofferenza delle classi sociali americane più povere è senz’altro White angel breadline del 1932. In questa fotografia vengono ritratti degli uomini che stanno attendendo il loro pasto alla mensa dei poveri. Uno degli uomini ripresi si rivolge disorientato verso l’obiettivo. Il suo sguardo è triste, ma allo stesso tempo dignitoso. Anche in questo caso viene descritto uno spaccato sociale degli Stati Uniti di quegli anni.
L’umanità in uno scatto inoltre la si può riscontrare senza ombra di dubbio nella fotografia più celebre realizzata da Dorothea Lange: Migrant Mother. Questo scatto iconico fu realizzato nel 1936 e ritrae la sofferenza di una madre di 32 anni, Florence Leona Christie Thompson che aveva all’epoca già sette figli. Si tratta di uno scatto emblematico che rappresenta la donna in un campo agricolo della California; il suo volto è sofferente e rappresenta uno dei simboli della depressione economica statunitense negli anni ’30.
«La vidi e mi avvicinai alla madre disperata e affamata nella tenda, come se fossi stata attratta da un magnete. Non ricordo come le spiegai la mia presenza o quella della fotocamera, ma ricordo che mi fece delle domande. Ho scattato sei foto, avvicinandomi sempre di più dalla stessa direzione. Non le chiesi il suo nome né la sua storia. Lei mi disse che aveva 32 anni.»
Con queste parole, la Lange descrisse la donna ritratta in Migrant Mother.
Dorothea Lange nel 1952 fu tra i fondatori della rivista Aperture,
Morì l’11 ottobre 1965, a 70 anni, per un cancro all’esofago.
Giorgia Mocci.
Immagine in evidenza: Dorothea Lange – Ex-tenant farmer on relief grant in the Imperial Valley, California, 1937 (part., fonte: Wikimedia Commons)
Installation views: courtesy Museo Civico di Bassano del Grappa