Sono, questi illustrati nella presente pubblicazione, alcuni dipinti di Egidio Martini, dei molti da lui eseguiti negli anni antecedenti l’ultima guerra, ricuperati dalla dispersione avvenuta nel tempo; lavori quasi tutti della sua giovinezza, realizzati tra il 1934 e il 1944, con aggiunti altri pochi eseguiti tra il 1950 e il ’56.
È naturale ch’essi, essendo del suo primo tempo presentino vari aspetti e tendenze formali e la mancanza d’un’unità stilistica, pur dimostrando nel loro autore indubbie e genuine qualità pittoriche.
Queste caratteristiche della pittura del Martini furono ben definite da Silvio Branzi in occasione d’una mostra del pittore nella Galleria Bevilacqua La Masa (allestita unitamente a quella di Oscar Cavallet) nel 1944.
Il Branzi, nella recensione a tale mostra, osservava molto acutamente: “Martini è giovane assai, e la sua pittura ha i pregi e i difetti della giovinezza.
Quelli, da riassumere in un’impetuosa volontà di tentare ogni maniera, di esplorare ogni strada senza prevenzioni, al solo scopo di trovar la giusta intonazione alla propria voce; questi da ricercarsi in una varietà continua e frammentaria di risultati.
Non manca la vena, al Martini, ne gli fanno difetto le doti, e la sua fantasia è in fermento continuo: molti dei quadri esposti in varia maniera lo dimostrano.
Se mai a lui manca ancora un ordine nel suo mondo inferiore, una coerenza di immagini, la misura esatta del suo passo, cioè delle possibilità e dei suoi limiti.
Ma queste sono conquiste che normalmente soltanto il tempo e il lavoro possono dare”.
Meglio di così non si poteva dire sulla produzione pittorica del Martini di quegli anni; una attività che, per varie vicende della vita, fu sospesa, interrotta dal pittore, prendendo egli altre strade: quella del restauro dei dipinti antichi e quella della storia dell’arte.
Per capire un po’ la pittura di Egidio Martini di quel tempo e giudicarla nei suoi giusti limiti e pregi occorre considerarla entro il momento storico in cui si svolse, tenendo conto delle radici culturali e del particolare gusto in cui si sviluppò, cioè tener conto della cultura e delle tendenze pittoriche allora assai vive nell’ambiente artistico di Venezia negli anni tra il 1930 e il ’45; tendenze di carattere figurativo che, dopo il 1945 si allargarono con un’apertura più internazionale verso correnti e modi astratti, informali, che ancor oggi dominano la cultura e il mercato dell’arte.
Allora, in quegli anni trenta e quaranta, in Italia l’arte seguiva la tradizione classicistica, sostenuta in parte anche dal regime fascista.
Trionfavano allora il movimento del “Novecento” e le grandi Biennali con i vari Sironi, Carrà, Oppi, Funi, Casorati, Tosi ed altri eccellenti artisti.
A Venezia però, in quello stesso tempo, quasi indipendentemente dalle altre scuole italiane, nasceva soprattutto nel genere paesistico, un gruppo di pittori detto dei “lagunari”, il quale s’imponeva con degli artisti istintivi di gran talento, tra cui sono da ricordare per primi il Seibezzi e Neno Mori, e poi Juti Ravenna, Novali, Scarpa Croce, Bergamini, Pino Villa, Carlo dalla Zorza, Varagnolo, Nino Parenti e Cavallet, per citarne solo alcuni tra i più rappresentativi, i quali s’affiancavano allora a quelli più anziani della “scuola di Burano” come il Moggioli, Gino Rossi, il Vellani Marchi e Pio Semeghini.
Tutti questi pittori, però, pur distinguendosi gli uni dagli altri per una loro personalità diversa, operavano tuttavia entro una visione figurativa comune di derivazione post-impressionista, che non direi vecchia, superata, ma nuova, attuale in quel momento; momento al quale, negli anni quaranta, come s’è accennato, subentrarono pian piano anche nella città lagunare quelle correnti e mode internazionali che ancora oggi dominano prepotenti il campo artistico senza differenziarsi da un continente all’altro nella loro sostanza formale.
Buon momento fu perciò quello, a Venezia, tra il 1925 e il ’45, nel quale era ancor viva, purtroppo per l’ultima volta, una pittura ancora veneta, originale che continuava in modi nuovi quella degli ultimi grandi ottocentisti ancora operanti nei primi decenni del ‘900; una pittura non eccelsa e, se vogliamo limitarla, anche un po’ provinciale, ma l’unica che, con la “scuola di Burano” e il “gruppo dei lagunari” aveva una propria identità, e che, unitamente e contemporaneamente alla “scuola romana”, abbia avuto in quegli anni in Italia una presenza valida.
Entro tale ambiente, come si vede bene osservando la sua pittura, cercava di muoversi il giovane Egidio Martini.
Base prima e primo intendimento del suo lavoro era l’adesione al vero, che per lui rappresentava quasi un esercizio, una preparazione tecnica per quella che doveva essere in seguito la realizzazione dell’opera d’arte vera e propria.
Eseguiti con questa intenzione sono da considerare alcuni paesaggi dipinti prima del ’40, come ad esempio il piccolo Canale della Giudecca preso in controluce, il Campo della Maddalena, il Giardino Papadopoli e il Canale della Furatela, dove il Martini cercava di rendere della realtà il momento del giorno, la luce, l’effetto del fenomeno naturale, la pioggia, il sole, le nubi nel loro vario manifestarsi; opere queste (e altre eseguite tra il ’40 e il ’42, durante il tempo militare e nei tre anni seguenti) concepite quasi sempre su una base formale di derivazione post-impressionista, sotto l’influenza in parte della pittura dei veneziani, in particolare del Seibezzi; una pittura leggera dal tocco fresco e sintetico, senza intenti di una ricerca più profonda e personale.
È da ricordare anche che, il Martini, nel 1938-’40, si unì di grande amicizia con Emilio Vedova, con il quale frequentava di sera la Querini Stampalia per studiare le ultime pubblicazioni che riguardavano gli impressionisti e la pittura straniera più recente: era allora la Querini l’unica biblioteca a Venezia che possedesse tali libri.
Vedova in quegli anni era alla ricerca d’un linguaggio nuovo, personale, d’una sua strada particolare; Martini invece rimaneva attaccato a un mondo meno ardimentoso, che poteva essere nuovo sì, ma sempre figurativo, nostalgico del passato.
Infatti Vedova, diversamente dal Martini, verso il 1942-43, ancora in tempo di guerra, abbandonò completamente le forme della pittura tradizionale per avviarsi verso quelle astratte più consone al suo temperamento, forme ch’egli poi sviluppò coerentemente fino ai noti risultati di oggi.
Finita la guerra, costretto da varie cause contingenti, Egidio Martini si dedicò al restauro dei dipinti antichi sotto la guida d’un esperto maestro, senza abbandonare perciò del tutto la sua pittura.
In questo tempo espose in molte mostre, tra cui in alcune della Bevilacqua la Masa, allestendo pure nel 1944 una personale alle Botteghe d’Arte a San Marco.
Preso in seguito, negli anni Cinquanta, interamente dal lavoro di restauro, nel quale si distinse tra i migliori in campo nazionale, abbandonò quasi l’attività di pittore, riprendendola in parte, negli anni 1954-56, con alcuni dipinti di figura e alcuni paesaggi veneti e di montagna.
In tali opere vi è finalmente nella pittura di Martini, anche se tardi e seppur limitata, una maturità formale ed espressiva nata da un suo più personale modo di sentire: una pittura, questa, dolce, riposante, trattata senza ombre, eseguita a stesure larghe con una pennellata fresca, sensuosa, ricca di colore; una pittura che poteva, proseguendo nel tempo, semplificarsi, purificarsi maggiormente con esiti di una più coerente qualità stilistica.
Ma non fu così, occupato, come si disse, oltre che dall’attività di restauro anche da quella di storico dell’arte – dove si è imposto come uno dei maggiori studiosi della pittura veneta – Martini abbandonò, anzi non riuscì più ad avere le possibilità di tempo ne quelle psicologiche per dedicarsi alla sua arte, sogno di tutta la sua vita, che rimane ancor oggi vivo e struggente nel suo cuore.
Egidio Martini, se si fosse dedicato esclusivamente a dipingere, forse non sarebbe stato nulla di straordinario, ma certamente, pur intendendo ciò nei suoi giusti limiti, sarebbe stato tra gli artisti figurativi operanti nel suo tempo a Venezia uno dei più stimabili, perché le qualità di pittore d’istinto le aveva, e le avrebbe potute migliorare e sostenere bene integrandole con intelligenza e cultura di una più compiuta originalità; intelligenza e cultura chiaramente rilevabili nella sua attuale attività di studioso che gli concedono in effetti di penetrare l’opera d’arte nella sua più profonda sostanza spirituale.
Bruno Berti
Tratto da “Egidio Martini. Pittore – Opere dal 1934 al 1956“
a cura di Franco Solmi
Presentazione di Pietro Zampetti
Testo di Bruno Berti
Editrice Edit Faenza – Faenza, 1994