Il fascino di Ferrara si dischiude con lentezza. Nel corso dei secoli molti scrittori hanno provato e descritto la sensazione di essere al cospetto di una tradizione culturale illustre e antica, la cui forza tuttavia appare sfuggente. I fasti della corte estense sembrano remoti, tante opere risiedono oggi lontano, nelle sale dei principali musei del mondo.
Eppure il fuoco del Rinascimento ferrarese continua ad ardere, seppure sommesso, richiamando continuamente la città a ripensarsi, a ricostruire la propria memoria attraverso occasioni espositive che ne hanno scandito la vita culturale. A distanza di novant’anni dalla celebre “Esposizione della pittura ferrarese del Rinascimento“, la mostra “Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa” illumina per la prima volta l’arte di due protagonisti di quella stagione nelle nuove sale espositive di Palazzo dei Diamanti.
Rinascimento padano
L’esposizione si articola in dieci sezioni, la prima delle quali intende evocare la pluralità dei linguaggi che attraversano la pianura padana intorno alla metà del XV secolo e trovano in Ferrara un crocevia tra i più significativi. Fin dal 1443 Donatello è attivo a Padova e il suo magistero è portato a Ferrara da Niccolò Baroncelli e Domenico di Paris, autori delle statue bronzee dell’altare della Cattedrale che ne riflettono lo stile rivoluzionario. La grande Crocifissione di Vicino da Ferrara, concessa dal Musée des arts décoratifs francese, dichiara l’impressione che questa impresa ebbe sugli artisti locali. Non mancano Mantegna (che fu a Ferrara nel 1449, chiamato da Lionello d’Este), Giovanni Bellini e Marco Zoppo, a illustrare le diverse declinazioni dell’idioma squarcionesco i cui echi risuonano nella produzione cittadina.
L’esordio di Ercole a Ferrara
Il governo di Borso d’Este dura all’incirca vent’anni, dal 1450 al 1471. Uno degli episodi più rilevanti della sua committenza è la decorazione del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, eseguita tra il 1469 e il 1470. Qui esordisce il giovane Ercole de’ Roberti, e da qui idealmente prende avvio la mostra. A quel tempo Ercole è molto giovane, forse nemmeno ventenne, ma nel mese di Settembre brucia le tappe assimilando le maniere dei pittori presenti nel cantiere e plasmandole in forme nuove e originali. Per ricreare il clima di Schifanoia saranno presentate opere di Cosmè Tura (la personalità dominante del periodo, che parte della critica considera il regista dell’impresa), del cosiddetto Maestro dagli occhi spalancati (anch’egli attivo nel salone, ma esponente di una cultura più arcaica) e di Gherardo da Vicenza, nella bottega del quale Ercole è documentato nel 1467.
Con Francesco del Cossa: il polittico Griffoni
L’artista di maggiore caratura tra quelli operanti nel Salone dei Mesi è Francesco del Cossa, responsabile di Marzo, Aprile e Maggio. Il primo a rendersene conto è lui stesso, che in una celebre lettera del 25 marzo 1470 chiede a Borso che il suo talento venga riconosciuto anche a livello economico. La risposta negativa del duca provoca il suo trasferimento a Bologna: insieme a lui si trasferisce anche Ercole, che aveva avuto modo di apprezzare l’arte di Francesco sui ponteggi di Schifanoia. I due pittori, insieme, realizzano il polittico per Floriano Griffoni nella chiesa bolognese di San Petronio, la più importante della città. Su questa opera la critica si è soffermata a lungo, data la sua straordinaria importanza. Saranno in mostra gli scomparti eseguiti da Ercole, provenienti da importanti raccolte pubbliche: tra essi spicca la vivacissima predella della Pinacoteca Vaticana, un microcosmo animato da un’infinità di figure sparse tra architetture e paesaggi immaginifici scaturiti dalla fantasia incandescente di Ercole.
«uno pocho di nome»: l’influenza di Francesco del Cossa
Francesco del Cossa muore poco più che quarantenne e la prima parte della sua carriera è ancora sostanzialmente ignota. Recenti studi hanno messo in luce interessi eccentrici rispetto a quelli degli artisti suoi concittadini, in particolar modo una frequentazione dell’ambiente toscano che lasciò un’impronta profonda sul suo linguaggio. Nonostante la brevità della sua parabola biografica, la sua pittura ispira numerosi artisti, anche lontano dalle città in cui opera, come documentano in mostra le opere del Maestro della Pala Bertoni, di Giovanni Antonio Bazzi (alias Maestro della Pala Grossi), di Giovanni Martino Spanzotti e di Antonio da Crevalcore; un gruppo di dipinti solo in apparenza eterogeneo, ma che in realtà restituisce una circolazione di idee e modelli ancora in parte da indagare.
Ercole de’ Roberti 1471-1485
Con oltre venti opere, la sezione dedicata alla prima maturità di Ercole de’ Roberti è una delle principali della mostra. Quasi impossibile evocare in poche righe la qualità dei dipinti esposti e l’eccezionalità dei prestiti concessi. In apertura, i ritratti di Giovanni II Bentivoglio e della moglie Ginevra Sforza, provenienti da Washington, testimoniano il rapporto che molto presto Ercole allaccia con i signori di Bologna. Risalgono a questo periodo la Pala Portuense, il solo dipinto di Ercole che disponga di una cronologia documentata (1481), e la predella per la chiesa bolognese di San Giovanni in Monte, alla quale si collega un disegno degli Uffizi, presente in mostra, unica prova grafica certa dell’autore. Sempre in questi anni esegue gli affreschi della cappella Garganelli, purtroppo distrutti, la cui memoria è affidata al frammento con la Maddalena piangente, un’immagine di straordinaria forza drammatica, tra le più celebri del Quattrocento.
Ritorno a Ferrara: Ercole 1486-1496
Ercole de’ Roberti trascorre gli ultimi dieci anni della sua vita a Ferrara, come pittore di corte degli Este, ai quali lo unisce un legame che va oltre il semplice rapporto professionale. La sua arte si intreccia alle vicende familiari: si occupa delle decorazioni per i matrimoni dei figli del duca, nel 1492 accompagna il futuro duca Alfonso in missione diplomatica a Roma. Eleonora d’Aragona gli affida la decorazione della cappella e dei suoi appartamenti nel Castello: perdute queste opere, ci rimangono la suggestiva serie di pannelli raffiguranti celebri personaggi femminili della storia antica (come la Porzia di Fort Worth, in Texas, che compare nel manifesto della mostra). Conviene altresì citare, tra le opere più notevoli in mostra, la preziosa Madonna con il Bambino della Gemäldegalerie di Berlino, e le quattro tavole della National Gallery di Londra, che per la prima volta lasciano tutte assieme il museo inglese. L’ultima impresa di Ercole, mai portata a termine, è il monumento equestre del duca, che sarebbe dovuto sorgere al centro dell’attuale piazza Ariostea: ne rimane il basamento scolpito su suo disegno, a dimostrazione di un’abilità tecnica non limitata alla sola pittura.
Ferrara tra Quattro e Cinquecento
La scomparsa di Ercole, nel maggio del 1496, cade in un periodo di grandi cambiamenti nel panorama artistico dell’Italia settentrionale. A Milano l’esperienza di Leonardo sta giungendo alle sue estreme conseguenze, a Cremona approda una pala di Perugino di impianto semplice e rigoroso, a Bologna si sta affermando la formula protoclassica di Francesco Francia. Per sostituire Ercole, a Ferrara viene chiamato il cremonese Boccaccio Boccaccino, interprete di una pittura dolce e soave, che tuttavia vi rimane solo tre anni. La pluralità di registri espressivi in auge a Ferrara a cavallo dei secoli è ripercorsa in questa sezione, che accosta opere di artisti anche molto diversi tra loro, ma tutti operanti in un medesimo tempo e nello stesso luogo: Francesco Marmitta, l’ancora misterioso Maestro della Dormitio Virginis Massari, Michele Coltellini e Giovanni Francesco Maineri, ultimo interprete dello stile di Ercole.
Lorenzo Costa erede di Ercole
Il vero erede di Ercole de’ Roberti, l’unico artista in grado di comprenderne e riadattarne lo stile ai tempi che andavano rapidamente mutando, è il ferrarese Lorenzo Costa. Questi si trasferisce a Bologna con la famiglia nel 1483, e al pari di Ercole è attivo tanto per il centro felsineo quanto per la città natale. La sezione, attraverso circa quindici opere eseguite in poco più di un decennio, illustra l’accelerazione fortissima del linguaggio di Costa, dalle premesse robertiane alle soglie della modernità. Sono riuniti per la prima volta quattro pannelli della serie delle Storie degli Argonauti, sulla quale la critica ha tanto dibattuto, oscillando tra i nomi di Lorenzo e dello stesso Ercole. Rientrato quest’ultimo a Ferrara, Costa a Bologna gli subentra come artista prediletto dei Bentivoglio: oltre ai dipinti per la cappella gentilizia, egli soddisfa anche le commissioni delle famiglie vicine ai signori, e nel 1492 licenzia la pala per i Rossi, nella chiesa di San Petronio. La presenza in mostra di questo magnifico dipinto, dove convivono tradizione ferrarese e luce veneziana, non lascerà dubbi al visitatore sulla statura di Costa. E una conferma, nel piccolo formato, giungerà dalla Natività di Lione e dalla Madonna con il Bambino di Philadelphia, due veri gioielli dell’arte ferrarese di fine Quattrocento.
Lorenzo Costa 1496-1506
Il decennio precedente il trasferimento di Costa a Mantova è prevalentemente considerato un periodo di lento ma uniforme adeguamento ai modi di Francesco Francia, accanto al quale si trovò a più riprese nello svolgimento di commissioni bentivolesche. Al contrario, questi anni segnano un percorso per nulla lineare, a volte difficile da seguire nonostante la presenza di numerose opere di datazione sicura. La Pala Ghedini di San Giovanni in Monte a Bologna (1497) è ancora legata all’ornamentazione sovrabbondante di Ercole de’ Roberti, ai suoi troni dalla struttura aerea che permettono di osservare il paesaggio retrostante; appena due anni dopo, il dipinto sull’altare dell’oratorio della Concezione a Ferrara (oggi a Londra) segna un avvicinamento addirittura al vecchio Mantegna, anziano ma sempre attivo alla corte di Mantova. Ancora due anni (1501) e l’Incoronazione della Vergine in San Giovanni in Monte dichiara una nuova conoscenza del Perugino. Un percorso tortuoso, dove le novità e le sperimentazioni si accavallano e le commissioni si susseguono serrate, talora a distanza di pochi mesi. Tra le opere di piccolo formato spiccano la luminosa Sacra Famiglia di Toledo, in Ohio, e il magnetico Cristo alla colonna della Galleria Borghese.
Costa: l’ultima stagione 1506-1535
Con la cacciata dei Bentivoglio da Bologna, nel 1506, si chiude per sempre una stagione. Costa riallaccia i rapporti con Isabella d’Este, che già da un anno gli aveva commissionato un dipinto per il suo studiolo. Approfittando anche del vuoto lasciato dalla morte di Mantegna (artista grande, ma poco amato da Isabella), Lorenzo si trasferisce a Mantova, alla corte dei Gonzaga. Questo lungo periodo, che copre oltre metà della sua carriera, è singolarmente sguarnito di date certe e in sostanza è stato negletto dagli studi fino a tempi recenti: negli ultimi due decenni la critica ha individuato un nucleo di opere che appartengono alla maturità dell’artista, che si confronta non solo con le morbidezze e le sottigliezze psicologiche leonardesche, a quel tempo moneta corrente di ogni artista aggiornato, ma anche con l’astro nascente del Correggio. Da questi incontri scaturisce una pittura lenta, fatta di sfumature insistite e di figure dall’espressione sognante. Tra le quindici opere che compongono la sezione si potranno ammirare capisaldi di questo periodo, come la Veronica del Louvre donata al tesoriere di Francia nel 1508, il Ritratto di cardinale di Minneapolis, che torna in Italia dopo più di duecento anni, e la pala del 1525 nella chiesa di Sant’Andrea a Mantova, ultimo colpo di coda di un artista che ha saputo attraversare sempre da protagonista un’epoca cruciale.
18 Febbraio 2023 – 19 Giugno 2023
Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa
Palazzo dei Diamanti
Corso Ercole I d’Este, 21, 44121 Ferrara
0532 244949; palazzodiamanti.it
Ufficio Stampa: Studio Esseci
Immagine in evidenza: Ercole de’ Roberti: La raccolta della manna, 1493-96 Tempera su tavola, cm 28,9 x 63,5 Londra, National Gallery (part.)