
sede: Temporary Storing – Fondazione Bartoli Felter (Cagliari).
cura: Alessandra Menesini.
D’impeto. Lavora così, Alessandro Melis, riversando sulle tele colori che s’impastano e si fondono e accolgono scuri recessi e opachi chiarori.
Ragione e sentimento, nelle opere di un artista curioso delle tecniche, sperimentatore di materiali, scrutatore di se stesso.
E che non usa pennelli per distribuire il bitume, l’olio, le tempere per parete.
Sono le mani, il suo strumento, perché niente deve frapporsi tra lui e la tabula rasa su cui quasi si scaglia.
Con le punte delle dita traccia linee piatte con sottilissimi bordi rialzati.
Come fossero sentieri, tra gli strati di un colore che varia in tutte le gamme, dal giallo di grano al nero notturno, dal viola al verde, dal grigio cinerino al bianco e nero in raffinati connubi.
Le forme, in questa pittura gestuale e meditata insieme, sono fluttuanti.
Si radunano, si sgretolano.
Si assottigliano, in effetti grafici di stampo giapponese.
Maestro di judo, Alessandro Melis applica il concetto filosofico dell’equilibrio tra resistenza e cedevolezza e in questo margine stabilisce il suo spazio.
Ascolta musica, quando dipinge.Ma non importa che ci sia il suono, perché il ritmo è tutto interiore.
Silenzio e rumore, le pause e poi di nuovo il fluire delle note. Immaginarie o reali.
C’è una presenza non esplicita, nelle sequenze di KATA.
Nascosta nel cuore dei quadri e appalesata solo dall’autore demiurgo.
Che osserva – ponendosi come un interlocutore – le scolature, la convergenza di vortici tellurici, lo spuntare di sagome che se sono troppo riconoscibili vengono cancellate.
Hanno un carattere loro, queste visioni di astratta concretezza.
E una indubitabile armonia.
Alessandra Menesini
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