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Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere

venerdì 21 Dicembre 2018 - mercoledì 15 Maggio 2019

Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere

sede: Museo di Capodimonte (Napoli).

La mostra “Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere” è il secondo capitolo di una trilogia di esposizioni iniziata con “Carta Bianca. Capodimonte imaginaire” nel 2018 e che sarà seguita da “C’era una volta. Storia di una grande bellezza” nel 2019 che ha avuto il senso di sfidare il principio costitutivo del museo, proponendolo non più come entità statica e immobile, presunta lezione magistrale, ma come luogo di libertà, di creatività, di potenziale espressivo.

Sono esposte 1220 opere tra dipinti, statue, arazzi, porcellane, armi, e oggetti di arti decorative provenienti unicamente dai cinque depositi di Capodimonte – Palazzotto, Deposito 131, Deposito 85, Farnesiano e GDS (Gabinetto dei Disegni e delle Stampe) – circa il 20% per cento del totale delle opere in essi contenute, che raccontano il ruolo e la storia tra scelte imposte dai dettami del gusto, dalla natura della collezione del museo o dallo stato conservativo delle opere.
Universi chiusi, sotterranei polverosi, custodi impenetrabili pieni di tesori nascosti e ignorati, i depositi dei musei sono un mito associato, nell’immaginario collettivo, al sepolto e al mistero come se fossero la caverna di Alì Babà o la tomba di Tutankhamon.

I depositi sarebbero, quindi, pieni di capolavori sconosciuti, di opere dimenticate, di capolavori ai quali è stata sottratta la consacrazione della presenza nelle sale?
In parte questo è vero ma, essenzialmente, il deposito di un museo moderno è il risultato di una selezione fatta dai direttori e dai curatori, che riflette lo stato della storia dell’arte in un dato periodo.
I depositi si originano dalle scelte fatte dagli uomini e identificano un’epoca.
Nella stessa selezione delle opere da esporre o da non esporre si riflette un gusto, una ragione storico artistica, per la quale si decide di non fare vedere, di individuare una nuova corrente che merita essere valorizzata.
Ovviamente anche questo percorso espositivo è il risultato della selezione effettuata dai curatori, dettata, per lo più, da ragioni legate ai limiti degli spazi espositivi (10 sale), allo stato conservativo delle opere e alla loro qualità, ma il numero elevatissimo di dipinti, sculture e oggetti presentati evidenzia l’intento principale: mostrare al pubblico quante più opere è possibile e, soprattutto, quelle poco o per nulla conosciute che, forse, sorprenderanno visitatori, connaisseurs, studiosi stimolando dibattiti, riflessioni, nuove proposte attributive.

Questa mostra non è la presentazione di un percorso di studi e, per questo, il catalogo non viene presentato in occasione dell’inaugurazione, ma sarà edito, dopo un convegno tra museologi sul ruolo dei depositi per accogliere suggerimenti, notizie, in attesa di nuove storie ancora da scrivere.

Depositi: prassi a confronto
I depositi sono testimonianze indirette del grande lavoro fatto nel XX secolo di organizzazione e di creazione dei musei.
Sono necessari per custodire ciò che non viene selezionato per le sale e ne rappresentano il cono d’ombra.
Nei paesi in cui vige una logica collezionistica e non patrimoniale, come negli Stati Uniti, le opere musealizzate possono essere vendute o sostituite, ad esempio, per alzare il livello della collezione. Questa operazione viene chiamata “deaccession”.
I Musei europei, invece, sono responsabili di un patrimonio inalienabile, eredità storica ed identitaria: le collezioni devono essere preservate nella loro unitarietà, ogni singola opera è considerata non solo come esito di un gusto artistico ma anche come testimonianza storica, a prescindere dal valore estrinseco.
È stata proprio questa logica di integrità patrimoniale a permettere, negli anni Ottanta del secolo scorso, la creazione del Museo d’Orsay di Parigi, e più recentemente La Piscine de Roubaix a seguito di una rivalutazione della produzione artistica ottocentesca e novecentesca, e del riallestimento di opere fino ad allora conservate nei musei del territorio nazionale ma non esposte.
Alla metà degli anni Novanta del Novecento, sono stati identificati ed esposti a Capodimonte una parte degli oggetti d’arte rari e preziosi di collezione Farnese provenienti dalla “Galleria delle cose rare”, una sorta di camera delle meraviglie attigua alla Galleria Ducale di Parma.
Le preziose suppellettili, giunte a Napoli con Elisabetta Farnese formarono la Wunderkammer (oggi in parte ricomposta) del “Real Museo Farnesiano di Capodimonte”, meta obbligata degli illustri viaggiatori del Grand Tour, tra cui Winckelmann (1758), Fragonard (1761), il Marchese de Sade (1776), Canova (1780) e Goethe (1787) che lasciarono testimonianze scritte della loro visita.

Il ruolo dei depositi. Il caso del Museo di Capodimonte
Nonostante la vastità dello spazio espositivo, 15:000 mq organizzati in 126 sale, anche il Museo di Capodimonte conserva parte della sua collezione in 5 grandi e medi depositi.
Nel secondo dopoguerra, con un decreto del maggio del 1949, venne sancita la definitiva destinazione della Reggia di Capodimonte a Museo e tre anni dopo si diede avvio al progetto di risistemazione ad opera del Soprintendente Bruno Molajoli (1949-1959), coadiuvato dall’architetto Ezio De Felice: in questo periodo si progettò l’assetto organico delle sale e si crearono i depositi per custodire le opere non selezionate per l’esposizione, perché non coerenti con i criteri di scelta delle collezioni di Capodimonte, perché non ritenute interessanti secondo il gusto del momento, perché ancora da restaurare.
Il deposito è il respiro e spesso il futuro del museo quando non è il suo inconscio.
Negli anni a seguire e con la guida dei soprintendenti Raffaello Causa (1959-1984), poi di Nicola Spinosa (1984–2009), con la responsabile del sito Mariella Utili, opere provenienti dai depositi del Museo sono state riproposte al pubblico con allestimenti diversi che hanno successivamente riscritto la storia della collezione.
Un lavoro a cui hanno dato seguito i soprintendenti Lorenza Mochi Onori (2009-2011) e Fabrizio Vona (2011-2015), quest’ultimo con la responsabile del sito Linda Martino, attuale chief-curator del Museo e Real Bosco di Capodimonte.
Il direttore Sylvain Bellenger (dal 2015 ad oggi), responsabile anche del Real Bosco, ha voluto questa ricognizione, una vera antropologia della storia del Museo, dalla quale ha avuto origine la mostra “Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere”

La testimonianza della vita di corte
Ancora oggi, nei depositi di Capodimonte, si trovano, per ragioni di allestimento, alcune opere di Sebastiano del Piombo (1485–1547), di Battistello Caracciolo (1578-1635), di Giovanni Lanfranco (1582-1647), di Francesco Solimena (1657–1747), di Domenico Morelli (1826–1901), opere la cui attribuzione è incerta o copie, quest’ultime bandite dalle esposizioni museali, o opere in condizioni conservative precarie che ne compromettono la leggibilità. Ne sono un esempio quelle selezionate da Giuliana Bruno per la sua sala nella mostra Carta Bianca.
Memoria dell’originaria destinazione di reggia, è anche il ricchissimo servizio di corte Savoia, giunto a noi quasi integro e conservato nei depositi: impossibile da esporre per il numero elevato di pezzi, solo la sua dimensione è una preziosa testimonianza della vita di corte ai tempi dei duchi d’Aosta.

La collezione del Capitano James Cook
Nei depositi è conservata, anche, la collezione di oggetti esotici provenienti dalle spedizioni del Capitano James Cook in Oceania, donati a Ferdinando IV di Borbone dall’ambasciatore lord Hamilton, Ministro plenipotenziario della Gran Bretagna. Un patrimonio ancora poco studiato e che sarebbe da rapportare alle opere di uguale provenienza del British Museum di Londra. Le notizie sulla collezione di manufatti provenienti dalle spedizioni del Capitano James Cook, risalgono al 1784, data in cui viene registrata nel volume Storia de’ Viaggi intrapresi per ordine di S.M. Brittannica dal Capitano Cook […] in cui relativamente alle acconciature delle donne di Thaiti si parla di una piccola mostra “di tali lavori nel Museo di Capodimonte insieme con altre cose appartenenti per la maggior parte all’isola di Othaiti”. Gli oggetti vengono poi descritti nel Diario del viaggiatore inglese Capitano Robert Scott of Rosebank, durante la sua visita a Napoli del 5 giugno 1787, riferendo che il re Ferdinando aveva intenzione di spostare nel museo del Palazzo di Capodimonte, la sua collezione di dipinti e di altre curiosità tra cui una collezione di oggetti del Capitano Cook provenienti dai Mari del Sud e donati da Hamilton al Re. Ulteriore testimonianza, si ritrova nel catalogo de Le Musée Royal-Bourbon, del 1843, di Giovanni Finati, in cui si parla di un Armoire de figure Pyramidale, contenente “43 oggetti tra armi, utensili, strumenti musicali, tele ed ornamenti degli abitanti dell’isola di Othaiti, della Nuova Zelanda, e della Celdonia che furono portati da Cook in Europa”.

Le scoperte e l’avvio di nuovi studi
Scrivere la storia dell’arte, dunque, crea di fatto una storia ufficiale e una secondaria, ufficiosa e celata. La più grande vittima è sempre la scultura, sacrificata rispetto al prioritario interesse nei confronti della pittura: non è un caso che gli storici dell’arte siano soliti attribuire, nella gerarchia accademica dei generi, alle arti decorative, l’appellativo di arti minori. La selezione è la storia dei depositi, luoghi delle opere non selezionate per l’allestimento ufficiale ma anche di conservazione e di studio, talvolta di scoperta come nel caso degli oggetti rari di provenienza Farnese individuati da Linda Martino negli anni ‘90 e attualmente esposti nella Wunderkammer del Museo dal 1995. Successivamente nel 1996, dopo lunghissimi lavori di ricognizione sull’antico inventario è stata esposta in tre sezioni – il Museo Sacro, l’Arabo Cufico e l’Indico – la collezione del cardinale Stefano Borgia.
Ai depositi si è attinto, inoltre, per la sezione dell’Ottocento privato, a cura di Serena Mormone e Linda Martino, di oltre duecento opere d’arte tra dipinti, sculture, oggetti d’arredo, tessuti e tendaggi in grado di ricreare la dimensione intima di un appartamento privato di corte. Un contributo fondamentale per la progressiva, e relativamente recente, rivalutazione della produzione artistica del XIX secolo, che andrebbe approfondita anche nell’aspetto della produzione artistica pubblica e istituzionale, sottolineando come l’Ottocento napoletano abbia occupato la scena internazionale a Parigi o in America.

La fruizione contemporanea del patrimonio, tra valorizzazione tutela e diffusione
Esitazioni di attribuzione o datazione, dimensioni, fragilità e stato conservativo delle opere, ragioni di gusto e altro sono tutti fattori che incidono sulla scelta di ciò che è esposto e ciò che non lo è.
Eppure il deposito è il luogo in cui l’attività di un museo è più intensa: qui nascono gli allestimenti, le mostre, gli approfondimenti scientifici degli studiosi ed è grazie ai depositi che si consolida, con i prestiti internazionali, l’autorevolezza di un museo. Non è un caso che sempre più spesso si cerchi di renderli fruibili, seppure con le dovute precauzioni e con pubblici contingentati.
Conservare, studiare, diffondere sono le missioni primarie di un museo, come sottolineato sia da una sempre più cospicua legislazione nazionale e internazionale inerente ai beni culturali, sia dagli strumenti di soft law concordati nelle diverse sessione dell’ICOM.

Mostra organizzata dal Museo di Capodimonte insieme alla casa editrice Electa.