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Giovanni Cesca. Eterna natura
sabato 27 Ottobre 2018 - venerdì 28 Dicembre 2018
sede: Salone Abbaziale Santa Maria in Silvis (Sesto al Reghena).
cura: Giancarlo Paulettto.
“Il respiro della natura è ampio, possente. Il pittore ne sente intimamente la forza, ed è per questo che non sbaglia misure, le dimensioni sono giuste e il taglio che separa l’alto e il basso costruisce un’immagine in perfetto equilibrio visivo, il cui centro è il rispecchiarsi, potremmo dire reciproco, tra cielo e terra, cielo e acqua, una sorta di consustanziale unità di cui si avverte la forza incontrastabile.
Il verde dell’erba, degli argini del fiume, degli alberi sulla destra, dell’orizzonte che in lontananza dà dimensione e profondità alla veduta è in contrasto deciso con la trasparenza, la ricca purezza dell’aria e dell’acqua: un contrasto necessario, strutturante, mentalmente deciso.
È appunto ciò che allontana questa “natura” di Cesca sia dalla sfavillante dimensione impressionista, sia da una troppo semplicemente abile versione naturalistica, collocando l’opera in sentita dimensione contemplativa.
Queste sono le osservazioni che mi vien fatto di esprimere guardando la tela che il pittore ha intitolato Nuvole azzurrine sulle acque del Basso Piave (2007): osservazioni che peraltro non variano, nella sostanza, per quanto si potrebbe affermare rispetto all’opera Brumesteghe liventine (2009), apparentemente così diversa, tutta giocata, oltre il medesimo tema di natura e paesaggio, sulla levitante magia di cromie che vengono, parrebbe, appena sfiorate: ma appunto si tratta di “magia”, cioè di un’intenzione che prende la natura come persistente occasione di meraviglia, di stupore: ancora una volta dunque ponendo la sorgente dell’emozione nella ricchezza misteriosa di un “essere”, che appare alla fine incommensurabile in rapporto alla nostra capacità di comprensione.
Che questo sia il modo giusto di leggere la pittura di Cesca presente nella mostra presso l’Abbazia di Sesto al Reghena mi pare confermato anche da tele quali Lo stilo di Reitia (2006) o Sussurro venetico (2003), dove l’elemento simbolico chiaramente esplicitato non è che la conferma di un atteggiamento, rispetto a quanto è naturale, che va oltre la semplice apprensione visiva dei dati di realtà.
È per simili ragioni che ci è parso giusto e opportuno coinvolgere il pittore di San Donà di Piave nelle iniziative artistiche che accompagnano le manifestazioni musicali del XXVII Festival Internazionale di Musica Sacra, intitolato quest’anno Passioni e Risurrezioni: perché appunto la sua pittura può essere ascritta, a nostro parere, nell’amplissimo tema della “risurrezione”, in quanto la natura, così come espressa da Cesca, è una potenza inarrestabile, e quindi sempre “risorgente”, sempre portatrice di un futuro di vita.
Certo anche di una vita che può prescindere dall’uomo ma questo, se accadrà, sarà probabilmente più per colpa dell’uomo medesimo che della stessa natura, la quale finora ha dimostrato di saperlo accogliere nel suo disegno, mentre la stirpe umana deve ancora dimostrare di saper fare la stessa cosa: di saper cioè accogliere la natura nelle sue complesse esigenze d’equilibrio.
Nella mostra dunque sono centrali, per le ragioni fin qui descritte, i quadri che rappresentano la campagna attorno al Piave e alla Livenza, alle acque e alle terre che scendono verso il mare nella loro ampiezza di cieli e di orizzonti: anche quando si tratti della natura invernale, come è il caso di Nevicata sul Brian (2010), opera che conferma nettamente quanto andiamo dicendo: nella levigata lucentezza della stesura non è da riconoscere solo una tecnica lungamente esercitata – e uno spontaneo amore per la visione -: c’è invece ancora un domandare, un corpo a corpo con lo stupore dell’esistente.
Accanto a queste opere, tuttavia, ci è parso bene esporre anche una serie di “nature morte”, nelle quali è tematizzata una “perfezione” che è ancora testimonianza dello stesso sguardo riconoscente, “devoto” potremmo dire, ma anche interrogante sulla realtà.
Si tratta di opere quali Trasparenze nella luce velata, La finestra dello studio, A Nike, Meditazione.
Qui il “naturale vivente” è strappato dal suo contesto, è posto in una situazione di astratta immobilità per esaltarne, sembra a noi, una sorta di possibile, araldica eternità.
La meditazione che l’artista conduce sulla visione “naturale”, bloccandone in precisione compositiva la temporalità, qui diventa, nell’algida ma non gelida perfezione del bianco-nero, quasi un’ invocazione al tempo perché si fermi, una sorta di fiducia sull’eternità della vita oltre le apparenze.
Lasciando trasparire una sottile malinconia, a noi pare, la malinconia del dubbio, così umanamente comprensibile e così nitidamente espressa in queste tavole”.
Giancarlo Pauletto