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Giulia Bruno e Micol Roubini. Collasso analitico
martedì 4 Maggio 2021 - sabato 5 Giugno 2021
sede: Casa Testori (Novate Milanese, Milano).
cura: Daniela Persico.
L’assenza di vincoli contenutistici, linguistici e formali è una delle chiavi identitarie di Casa Testori che ha permesso nel corso di oltre 10 anni ad artisti e curatori di esercitare in questo luogo la massima libertà espressiva. È all’interno di questo quadro che irrompe la nuova mostra “Collasso Analitico” che Daniela Persico, critico cinematografico, programmer e curatrice di rassegne per i più importanti festival europei, da Locarno a Berlino, ha ideato proprio per Casa Testori. L’esposizione raccoglie il lavoro di due artiste cosmopolite, Giulia Bruno e Micol Roubini, nate a Milano, ma con radici che le hanno portate altrove. Entrambe lavorano attorno alla capacità di recupero della memoria storica attraverso la lingua e il linguaggio cinematografico, che è lo strumento dominante in questa esposizione.
Due avventure personali, artistiche e storiche molto singolari che dal 4 maggio 2021 si intrecceranno nelle stanze dell’hub culturale alle porte di Milano.
Giulia Bruno, fotografa e filmmaker (da anni collaboratrice stretta di Armin Linke) ha attraversato il globo alla ricerca di un’utopia, legata alla storia familiare: l’Esperanto, un tempo lingua capace di riconnettere diverse nazioni varcando le frontiere, dall’altra lingua della resistenza, che rinasce in paesi non allineati creando nuove comunità in nome di un progetto di universalismo.
Micol Roubini, artista visiva e filmmaker parte da un’antica fotografia di una casa e una lista di oggetti: le testimonianze più care conservate nell’appartamento milanese di un nonno, scappato dall’Ucraina in seguito allo sterminio della propria famiglia, che si rifugia prima in Russia per poi arrivare in Italia. Saranno questi pochi documenti a guidarla attraverso l’Europa, fino all’Ucraina occidentale, in un paese che in cent’anni ha cambiato cinque volte identità nazionale e che ora attraversa una delicata fase di transizione.
“Che cosa è una casa se non il luogo in cui si ritrova la propria lingua natale? Le due artiste, Giulia Bruno e Micol Roubini – spiega la curatrice Daniela Persico – non hanno paura di scandagliare questioni nevralgiche del Novecento, legate alle proprie storie personali, per arrivare ad interrogare il presente – tra situazioni geopolitiche complesse – con la memoria di ciò che è stato. Un percorso in due progetti artistici, che prendono forma in istallazioni, film e fotografie, e ci parlano di un “collasso” (quello legato all’Olocausto e quello della fine dell’universalismo) che non possiamo dimenticare”.
E che cosa ci spinge a cercare la nostra casa? L’origine di una famiglia, persa nelle separazioni della Storia, è un viaggio che segna l’inizio di una nuova consapevolezza e lega la fluidità (solo apparente) dell’Europa contemporanea alle cortine che l’hanno spaccata durante il secondo conflitto mondiale.
Con la nascita della fotografia nasce anche una lingua, l’Esperanto, come diritto linguistico e come tool tecnologico per superare i confini. Come si rimappano e ridisegnano i confini sociali, geografici, culturali attraverso una lingua, la tecnologia e il gesto umano? Il linguaggio è un atto tecnologico?
Saranno gli sguardi delle due artiste che lavorano con il video, ma con pratiche che arrivano da altri ambiti, ad aprire un discorso capace di mettere in connessione il passato personale e intimo di un’Europa ferita e il presente asettico e dimentico, spalancandosi verso una dimensione globale. In cerca di un luogo, fosse anche utopico, dove ha ancora un senso la parola resistenza, e in cui una lingua segreta è più potente dello stesso messaggio veicolato.
La mostra prende avvio proprio dai documenti che hanno fatto scaturire il progetto. Da una parte il ricordo di una Torino operaia, a cui ha contribuito negli anni Sessanta la famiglia di Giulia Bruno (il cui nonno era autista alla Fiat), in cui l’esperanto era la lingua in grado di far superare le barriere nazionali anche ai comuni lavoratori. Dall’altra la fotografia datata 1919 della casa di famiglia di Micol Roubini a Jamna, in Ucraina, dove risiede la sognata pace di un focolare domestico brutalmente interrotta dagli eccidi della Seconda Guerra Mondiale. Una dimora a cui non si è più fatto ritorno.
Oltre alle fotografie, le teche contengono una pluralità di materiali, documenti e scritti, che raccontano di una fase preliminare in cui gradualmente la ricerca artistica prende forma.
Il percorso, che prende avvio dalla prima stanza, la “Sala del camino”, nella sua architettura signorile ha offerto lo spunto per una messa in esposizione dei rimossi storici europei e dall’altra parte una resa della possibilità di risalire a un’esattezza storica, anche sulle cose più semplici e quotidiane: nella fuga dall’Ucraina il nonno di Roubini si ferma in Russia, da lì nel 1957 porta con sé un centinaio oggetti di uso comune che vengono registrati nelle diverse dogane e la lista cambia lingua dal russo al polacco, poi dal polacco all’italiano. Gli oggetti cambiano peso: sono 133 all’inizio, mentre alla fine ne rimangono solo 120. Ma non si tratta esclusivamente di una perdita fisica, qualcosa è successo anche nel significato di questi “pezzi di casa”, che cambiano il loro nome di paese in paese.
Mentre la ricerca di Giulia Bruno a partire dallo sguardo sul mondo globale, sul diritto linguistico, sulla lingua economica e sull’Esperanto come possibilità diventa il modo per aprire interrogativi sul linguaggio universale, lasciando spazio ai testimoni, ma anche ai documenti che ci riconducono a un clima politico e sociale aperto e pieno di speranze, il viaggio intimo di Micol Roubini parte, invece, da un appartamento milanese, alla ricerca della casa di famiglia ai confini di un’Ucraina battuta dalla guerra da cui il nonno scappò in seguito a un pogrom.
Per la curatrice “Ci vuole dedizione e analisi, sembrano suggerirci i lavori delle due artiste (tanto diverse nei risultati, quanto simili nelle metodologie di lavoro): bisogna lanciare delle sfide ambiziose e affrontarle con la giusta modestia, bisogna prendersi il tempo di cercare e offrire lo spazio all’altro per raccontarsi, a volte serve inventarsi una nuova lingua, altre volte recuperare una lingua madre da sempre soffocata. Il campo entro cui tutto avviene è quello dell’immagine in movimento, la più forte nel mettere a tema la relazione tra chi filma e chi è filmato, in grado di segnare un viaggio nella scoperta del mondo per imparare a definire (seppur per un attimo precario) se stessi”.
Venerdì 7 maggio: dalle 15.00 alle 19.00. Visite guidate in presenza su prenotazione con artiste e curatriceVenerdì 7 maggio: dalle 15.00 alle 19.00. Visite guidate in presenza su prenotazione con artiste e curatrice