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Hommage – Mostra Collettiva
giovedì 9 Febbraio 2017 - sabato 18 Marzo 2017
sede: MAC – Maja Arte Contemporanea (Roma);
cura: Daina Maja Titonel.
In esposizione sei opere (cinque dipinti e una scultura) di Isabella Ducrot, Angelo Titonel, Leila Vismeh, Janine von Thüngen, Gaetano Zampogna che rendono omaggio al compositore austriaco Arnold Schönberg e agli artisti Pablo Picasso, Edward Hopper, Constantin Brancusi e Francis Bacon.
In tre dipinti il tema dell’omaggio è dichiarato già nel titolo, come nel caso di “Omaggio a Bacon” di Gaetano Zampogna, che recentemente ha tenuto una personale alla Fondazione Umberto Mastroianni. Ispirato alla celebre fotografia di John Deakin, tra le trame di un tessuto a fondo verde con stampe di elefanti, emerge – in forte contrasto – la sfocata e drammatica figura in bianco e nero di Francis Bacon. Il dipinto fa parte del ciclo “Le macellerie” a cui Zampogna sta lavorando dal 2015. Bacon stesso affermava di essere stato sempre colpito dalle immagini di mattatoi e di carne macellata: “Che altro siamo, se non potenziali carcasse? Quando entro in una macelleria, mi meraviglio sempre di non essere io appeso lì, al posto dell’animale”.
Esposta nel 2008 a Roma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, l’opera di Isabella Ducrot (olio e pastello su carta intelata, collage di carta, plastica e tessuti turchi ricamati) è dedicata ad Arnold Schönberg e fa parte del ciclo “Variazioni” (2006-2007), una serie di ritratti di famosi musicisti, generalmente di cultura russa, ma anche italiani come Scelsi e Panni, i quali dal patrimonio musicale della propria terra di origine, hanno attinto ispirazione e hanno convertito vecchie canzoni contadine e nenie religiose in “musica colta”.
Dipinto nel 2011 da Angelo Titonel come si trattasse di un negativo fotografico, e restituito con un ingrandimento spinto, provocatorio e simbolico, il volto di Picasso – mano alla fronte – fissa intensamente lo spettatore e lo cattura. L’opera fa parte di un ciclo di lavori in cui, nell’uso del ribaltamento dell’immagine, l’artista scopre un’ulteriore dimensione della figura, una identità introspettiva volta a cogliere “l’altra faccia” del ritratto.
Di Angelo Titonel è esposto un secondo dipinto, “La biglietteria”, del 1980. In quest’opera l’artista veneto congela in un istante infinito di sospensione la biglietteria di una stazione ferroviaria. L’eco di un silenzio profondo e l’atmosfera malinconica contribuiscono a corroborare una visione di solitudine e irrealtà (o realismo magico). Un’atmosfera così specifica, che potremmo definire “hopperiana”. Non a caso Picasso affermava: “Noi, i pittori, siamo i veri eredi, coloro che continuano a dipingere. Siamo eredi di Rembrandt, Velázquez, Cézanne, Matisse. Un pittore ha sempre un padre e una madre; non nasce dal nulla. ”
E’ di Janine von Thüngen, scultrice tedesca attiva a Roma dal 2000, la testa dormiente in vetroresina. La bocca arcuata, la fronte levigata e tondeggiante sono di brancusiana eleganza. In questa opera l’artista ci conduce nella sua esperienza di madre che osserva il sonno del neonato, sospeso in una dimensione impenetrabile. Janine fissa per sempre quel momento nella sua scultura, a protezione una teca in vetro come una bolla amniotica. Esposta nel 2011 alla Biennale di Venezia nella sua versione in bronzo, l’opera fa parte dell’installazione “WasserKinder” (2003).
L’arte è citazione, sembrano dire le opere esposte. Come nel dipinto “Please smile” (2014) della pittrice iraniana Leila Vismeh che presenta un lavoro all’esposizione “Art Capital” al Grand Palais di Parigi. Una giovane madre, forse una contadina, tiene in braccio un neonato, accanto a lei il primogenito veste un costume rosso a pois bianchi, la bocca imbronciata. Sul fondo un mare azzurro si confonde con il cielo. E tornano alla mente e agli occhi – come un contrappunto – alcuni dipinti di Giulio Aristide Sartorio dove il mare di Fregene faceva da sfondo ai ritratti della elegante moglie con i figli sulla spiaggia; e ancora, per assonanza di quel mondo rurale, rivediamo la pastorella di michettiana memoria.
“Non temo di prelevare da altre arti, credo che gli artisti l’abbiano sempre fatto” aveva detto Lichtestein in un’intervista degli anni Sessanta, convinto che non ci fosse immagine che rielaborata, non potesse rinascere a nuova vita.