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Incidere la natura. Giovanni Francesco Grimaldi e il paesaggio ideale
domenica 24 Settembre 2017 - domenica 7 Gennaio 2018
sede: Pinacoteca Nazionale di Bologna (Bologna).
cura: Tiziana Borea, Dario Martorana e Lorenzo Picchetti.
Giovanni Francesco Grimaldi, detto “il bolognese”, appartiene a quella cerchia di artisti che, nel corso del ‘600, diffuse le innovazioni stilistiche della scuola carraccesca al di fuori dei confini felsinei.
Nato a Bologna tra il 1605 e il 1606, si trasferì appena ventenne a Roma, dove frequentò la bottega del “Gobbo dei Carracci”, al secolo Pietro Paolo Bonzi, e mosse i primi passi come decoratore, alle dipendenze dell’indoratore Giuseppe Ferzi.
Uomo colto e versatile, seppe coniugare sapientemente l’Ideale Classico di Annibale Carracci, Domenichino e Albani con lo spirito più profondamente barocco che animava le invenzioni sceniche di Francesco Guitti e le innovazioni decorative di Agostino Tassi e Pietro da Cortona.
Affermatosi dapprima come scenografo e incisore, poi come pittore e architetto, avviò una florida carriera che si protrasse per oltre quattro decenni, arricchita da autorevoli committenze, proficue collaborazioni e numerosi riconoscimenti ufficiali, come la carica di Principe dell’Accademia di San Luca, nel 1666.
Le dieci acqueforti presenti in mostra provengono dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, che conserva, assieme al British Museum di Londra, il nucleo più consistente delle sessantaquattro incisioni fino a oggi repertoriate. In esse spicca, quale protagonista prediletto, il paesaggio, in cui Grimaldi asseconda il proprio gusto personale: a differenza delle opere di committenza, per le quali l’artista sfoggia gli stilemi più in voga del barocco romano, nelle incisioni di paesaggio sembra perseguire volutamente la poetica dell’Idea del bello di matrice carraccesca, teorizzata da Mons. Giovan Battista Agucchi.
Fra tutte le attività che connotano il suo operare è quella di scenografo a influenzarne maggiormente la produzione, offrendogli motivi ricorrenti ed efficaci, quali la disposizione degli alberi in primo piano piano, utilizzati come quinte teatrali, per facilitare la percezione di profondità e lontananza.
Le piccole figure astanti, marginali di fronte all’ampiezza dell’intreccio naturale, diventano quasi accessorie al paesaggio stesso; sfaccendate per natura, si aggirano in uno spazio che è ideale e calmo a un tempo; come afferma Paolo Bellini nella monografia dedicata alle incisioni dell’artista, “se esiste un elemento teso – ma è un contrasto che non stride – sono le fronde degli alberi, sempre curiosamente sbattute dal vento che sembra irrealmente contrarle”.