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Karlos Pérez. La seduzione della memoria

domenica 8 Ottobre 2017 - martedì 24 Ottobre 2017

Karlos Pérez. La seduzione della memoria

sede: Palazzo della Cancelleria (Roma);
cura: Eriberto Bettini.

Karlos Pérez, artista cubano nato a Camagüey nel 1990, “riesce a recuperare certe preziosità legate a vecchie fotografie per proiettarle nell’oggi sottolineando l’ineguagliabile pregio della memoria”, come scrive Luciano Caprile nel saggio in catalogo e aggiunge: “Egli prende a pretesto quelle icone (ovvero il loro spirito di intrigante reliquia) intervenendo su di esse per recuperarne e per rinnovarne il valore espressivo”.
Nella circostanza vengono esposte ventiquattro grandi tele ricavate da simili suggestioni: le figure sembrano lievitare dall’impasto della materia, da una sorta di fioritura di sostanza che evidenzia certe sottolineature pittoriche: si aggiunge così un’ulteriore, palpabile nota narrativa (dovuta anche a una modulata presenza del colore) alla primitiva interpretazione essenzialmente fotografica.

“La fotografia di una volta misurava il tempo della sua consunzione non solo nelle mutazioni intervenute frattanto nel paesaggio o nell’atteggiamento e nell’abbigliamento delle persone effigiate.
Era la carta su cui erano stampate le immagini a decretare, nell’ingiallimento progressivo dei toni o in qualche erosione, la difficoltà di conservare e documentare ai posteri l’incorruttibilità di un attimo.
Ai dagherrotipi, ai successivi scatti in bianco e nero e a certe iniziali applicazioni del colore poteva toccare in sorte (se non si prendevano le opportune precauzioni) il medesimo degrado.
Ma il rammarico può essere mutato in interessante opportunità di lettura e di rinascita di quelle folgorazioni, private della freschezza iniziale, attribuendo a loro una nuova vita, una interessante rinascita, una soluzione percettiva che ci possa riguardare da vicino.
Tutto questo per merito di Karlos Pérez che riesce a recuperare certe preziosità legate a vecchie fotografie per proiettarle nell’oggi sottolineando l’ineguagliabile pregio e valore della memoria, troppo spesso trascurata da una società che si nutre preferibilmente di un oggi in perenne fuga da sé e da noi che lo viviamo sovente con superficiale frenesia.
Infatti l’artista cubano prende come pretesto quelle icone ( ovvero il loro spirito di intrigante reliquia ) e interviene su di esse pittoricamente per recuperarne e per rinnovarne il valore espressivo.
Facendo un parallelo puramente gestuale e mentale possiamo accostare il suo comportamento a quello di un Mimmo Rotella che agiva sui manifesti cinematografici ( all’inizio del suo impegno creativo manipolava il loro più intimo rovescio ) preventivamente strappati dai cartelloni che li accoglievano per volgerli a una interpretazione che travalicasse il senso magari anche nostalgico dell’iniziale funzione.
Pérez trasforma dunque l’immagine scandita da un passato più o meno remoto in un evento percettivamente (direi quasi tattilmente) attuale nella sua perenne fragilità o precarietà emozionale.
Si tratta di un qualcosa che ci appartiene ma che sembra perennemente sulla via dell’evanescenza, di una progressiva sparizione in avanti ovvero in quella modulata delicatezza del colore che nel frattempo l’immagine ha conquistato.
Ne deriva una specie di ectoplasma o di ombra che ci appartiene e ci segue, che possiamo afferrare ( nonostante la concreta, emergente sovrapposizione dei pigmenti ) solo attraverso lo sguardo del desiderio.
Per chi osserva si erge, tra lui e l’immagine, un limbo di magica sospensione.
Infatti queste figure lievitano dall’impasto della materia, da una sorta di fioritura di sostanza che parrebbe l’anticamera della definitiva scomparsa.
Invece si impongono in un galleggiamento spaziale che evidenzia certe sottolineature pittoriche decretate dall’artista che in tal modo inserisce un ulteriore motivo di curiosità alla primitiva interpretazione.
In “Archivio de familia” del 2015 un bimbo vestito da gaucho o da cowboy posa in groppa al suo cavallino con la fierezza derivata da un desiderato regalo.
Pérez acquisisce questa fotografia traducendola in una fioritura di interventi e di contaminazioni che la rendono giocosamente attuale.
Infatti i successivi tocchi fanno lievitare la scena mentre le macchie di colore si sovrappongono su altre macchie legate all’usura dell’immagine che viene in qualche frangente esasperata per esaltare il significato del suo recupero non tanto ai nostri occhi quanto alla nostra percezione catturata dal desiderio di condividere la riscoperta di quel particolare istante.
Si crea così un rapporto quasi alchemico tra un prima e un dopo difficili da separare dal momento che il nostro artista riesce a creare un suggestivo legame tra l’origine dell’evento e il suo successivo, attuale sviluppo come se questo evento non si fosse concluso nello scatto che l’ha documentato tanti anni fa ma attendesse un seguito per il suo definitivo compimento.
“Ametropia” dello stesso anno è un grande olio che chiama in causa l’impossibile messa a fuoco della figura di riferimento ponendo in ulteriore risalto il problema di captazione e di smarrimento del volto del giovane effigiato.
D’altronde la messa a fuoco è uno dei temi affrontati da Pérez che cerca di mantenere in felice equilibrio il tema di riferimento e il successivo intervento pittorico in maniera da creare un seducente incontro tra la memoria e il suo continuo recupero da inserire nell’attualità.
Il prima e il dopo si rincorrono e si intersecano come si evince dai più recenti cicli di suoi lavori che passano da “After Memories” a “Before Memories”.
Visi di adulti bloccati nell’immobilità della posa, bambine costrette alla finzione di una bambola emergono dalla sgranata dilatazione delle misure delle tele dove il pretesto fotografico trova un nuovo, inatteso, felice alimento narrativo grazie a una interpretazione del fatto raffigurato che non tiene più conto dei calcoli effimeri dello spazio e del tempo.
Anche le scene di movimento risorgono nella loro intima freschezza a perpetuare un gesto: lo scopriamo in particolare nella sequenza del 2016 intitolata “Blind Memories” dove un interprete acquisisce la sospesa precipitazione di un personaggio michelangiolesco della Cappella Sistina.
Ma questi rimandi, veri o presunti o suggeriti dalla sensibilità di chi osserva in quel momento, fanno parte della suggestione attivata per noi da un simile comportamento artistico.
D’altronde la memoria, quando viene sollecitata da certi paralleli momenti della contemporaneità, riesce a trovare sorprendenti punti di comunione o di allusione.
Nella memoria ripetuta si assapora un personale profumo di eternità.
E questo è il seme che Karlos Pérez inserisce nel terreno fertile di un continuo recupero emozionale che contraddistingue il suo coinvolgente impegno pittorico”.
Luciano Caprile

Dettagli

Inizio:
domenica 8 Ottobre 2017
Fine:
martedì 24 Ottobre 2017
Categoria Evento:

Luogo

PALAZZO DELLA CANCELLERIA
Piazza della Cancelleria, 1
Roma, 00186 Italia
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