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Mária Chilf – Maurizio Battaglia. Heimat
domenica 14 Gennaio 2018 - domenica 25 Febbraio 2018
sede: Corte Zavattini 31 (Cesena).
cura: Roberta Bertozzi.
Cristallino, Festival poliedrico che ha mutato spesse volte la sua fisionomia con l’intento di offrire una ricognizione ad ampio raggio del contemporaneo, si presenta ora come un cantiere di sperimentazione stabile sulle arti visive, con sede negli spazi della galleria Corte Zavattini 31.
Questa sperimentazione proseguirà nel 2018 con una rosa di eventi che avrà per comun denominatore una indagine tesa a rinvenire i simboli politici del presente.
Focus di questa programmazione, e insieme perno intorno al quale ruoteranno tutte le successive azioni del progetto, è la bi-personale che mette in dialogo l’opera dell’artista rumena Mária Chilf e quella dell’artista italiano Maurizio Battaglia, secondo una strategia critica e curatoriale intesa a inaugurare in seno al Festival tutta una serie di commettiture tra il panorama internazionale e quello nostrano.
Scrive la curatrice della mostra: “Pur nella evidente differenza di procedure e stile, l’opera di questi due artisti collima in una precipua intuizione di quegli aspetti politici che si agitano latenti in un retaggio ( vuoi parentale, storico o logistico) soprattutto quando questo ci raggiunge sotto forma di rebus, come una equazione di cui non si rinviene la chiave.
Sia Chilf che Battaglia lavorano su delle steli, dei documenti che, per distanza storica, affettiva e insieme geopolitica, reclamano una decodificazione.
Steli tessili e fotografiche nel caso della Chilf, che la spingono a creare la serie Tranzitory Objects, nata in seguito al fortuito ritrovamento di un abito tradizionale appartenuto alla nonna nel momento in cui esso si trasforma in cartina di tornasole di tutta un’epopea familiare le cui vicissitudini attraversano il 900 europeo; steli materiche per Battaglia, che incide nelle sue maquette di gesso una metafisica geolocalizzazione del concetto di heimat, partendo da una abitazione di proprietà familiare e screziandone, attraverso l’ossidazione rugginosa dei livelli altimetrici delle sculture, quasi simulando un’azione di carotaggio, l’effettiva datità storica, evenemenziale.
In entrambi si descrive l’improvvisa emersione di un “luogo”, di uno “spazio qualificato” ricettore di istanze politiche coniugate alla sfera individuale, familiare, originaria.
E tutto questo si realizza inseguendo una traiettoria espressiva algida, refrattaria alla compromissione nostalgica, quasi chirurgica nell’intenzione formale: versata al confronto analitico con un qualcosa (la storia, il passato, le generazioni che ci hanno preceduto) che termina per acquistare lo spessore di una interrogazione permanente circa la nostra identità (esperienziale e, di riflesso, politica) e la nostra genesi”.