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Martina Bacigalupo. Inviti a ritrarsi

venerdì 2 Febbraio 2018 - mercoledì 28 Marzo 2018

Martina Bacigalupo. Inviti a ritrarsi

sede: FSM Gallery – Fondazione Studio Marangoni (Firenze).

“Nel dicembre del 2012 sono andata a conoscere alcune comunità di Ba-twa nel villaggio di Banga, all’estremità della foresta equatoriale della Kibira, nel centro del Burundi.
I Batwa – meglio noti in occidente come “Pigmei”, abitanti autoctoni della regione, sono un’etnia minoritaria, costituendo meno dell’1% della popolazione, contro l’85% di Hutu e il14% di Tutsi.
Esiliati dalla foresta, maltrattati e sfruttati per secoli, oggi vivono ai margini della scena politica ed economica del loro paese.
Nei primi incontri con queste comunità mi sono interessata alla loro conoscenza delle piante e della medicina tradizionale, un sapere che solo pochi vecchi ancora custodiscono con fierezza.
Ma non era questa la storia che volevo raccontare.
Il mio traduttore, un giovane Tutsi della capitale, durante una delle nostre visite mi ha confessato che non pensava che fossero “così” i Batwa, che non erano per niente “bassi” come si diceva e che alcuni potevano perfino essere presi per dei Tutsi, il che era un grande complimento, poiché Tutsi e Hutu hanno sempre considerato i Batwa inferiori a loro.
Ecco, era proprio questo che volevo dire, che i Batwa sono degli uomini e delle donne come noi.
Volevo andare aldilà dello stereotipo per cui esiste un mondo “moderno”, “tecnologico”, “avanzato” (il nostro) e uno “primitivo”, “inesperto”, “arretrato” (il loro).
Eppure io, fotografa occidentale di fronte ad una comunità di “Pigmei”, ero già in pieno stereotipo: come scampare alla retorica visuale di oltre un secolo?
Ho deciso di allestire un piccolo studio fotografico nella Guest House delle suore di Banga, invitando i Batwa che avevo conosciuto a venire a ritrarsi col telecomando dell’autoscatto, eliminando cosi l’origine dello stereotipo: il mio sguardo su di loro.
Pensavo che questo espediente mi avrebbe permesso di raggirare il pericolo.
Ma durante il lavoro – e soprattutto dopo, durante l’editing, mi sono accorta del limite di questo approccio.
Sia il mio che il loro ritrarsi era infatti parziale.
Per loro, infatti, l’auto-rappresentazione non poteva accadere magicamente prendendo in mano un telecomando e decidendo quando scattare la fotografia.
Questo era tanto più valido quanto non avevano mai visto un telecomando e non ne avevano dunque padronanza, e si ritrovavano titubanti, quasi goffi.
Per me, il mio ritirarmi era fittizio, giacché, anche se non scattavo la fotografia, ero presente dappertutto in essa (dall’allestimento dello studio, alla scelta della luce, dell’inquadratura, etc.).
Non era dunque possibile né per loro farsi veramente un ritratto né per me ritirarmi veramente dalla scena.
Quest’evidenza dell’impossibilità di varcare la frontiera tra me e l’altro, mi ha fatto decidere, per evitare di riaffermare invece che eliminare lo stereotipo, di archiviare il lavoro.
Qualche settimana fa ho dovuto rimettere mano a dei vecchi lavori tra cui ho ritrovato questa piccola serie di fotografie, e l’ho riguardata, con cinque anni di distanza.
Mi sono sorpresa a scoprire che forse ero stata troppo affrettata a considerarla un esperimento fallito, perché mi è parso che in quelle fotografie qualcosa in realtà fosse successo.
Lo stereotipo non era caduto, è vero, ma dopotutto, forse, non importava.
Forse qualcosa d’altro era accaduto.
La nostra goffaggine reciproca nel ritrarci, infatti, ci porta in un luogo incerto, liminale, in cui coesistono la difficoltà di trovare un canale di comunicazione aldilà della storia da cui veniamo (violenza, colonizzazione, pregiudizio) e dello sbilanciamento da essa creato e la volontà, ciononostante, di cercarlo.
Abitando quell’improbabile studio fotografico tra le montagne, insieme, partecipiamo attivamente alla creazione di uno spazio nuovo.
Questo spazio, per quanto tentennante ed effimero, apre un canale d’interazione inedita – fatta condivisione e d’intimità – e tutta da ridefinire.
Il valore di queste fotografie sta forse tutto qui: nell’invitarci a vedere le nostre goffaggini e i nostri stereotipi e a immaginare un modo, diverso per ciascuno di noi, di varcare la frontiera”.

Martina Bacigalupo
Parigi, gennaio 2018

in occasione del Black History Florence 3° edizione, sabato 3 febbraio alle ore 18.30 Paolo Woods intervista Martina Bacigalupo.

Dettagli

Inizio:
venerdì 2 Febbraio 2018
Fine:
mercoledì 28 Marzo 2018
Categoria Evento:
Tag Evento:
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Sito web:
http://www.martinabacigalupo.com

Luogo

FSM GALLERY – FONDAZIONE STUDIO MARANGONI
via San Zanobi 19r
Firenze, 50129 Italia
+ Google Maps
Phone
055 481106
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