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Melker Garay. Pensare il non-pensato. Ciò a cui il pensiero non può arrivare
venerdì 6 Ottobre 2017 - venerdì 20 Ottobre 2017
sede: Palazzo Velli Expo (Roma).
È la prima personale italiana di Melker Garay ed è intitolata “Pensare il non-pensato.
Ciò a cui il pensiero non può arrivare”: quindici tele della serie Monokrom, esposte già a Norrköping e a Mosca, e che voleranno a New York dopo l’esperienza romana.
In Garay, scrittore cileno naturalizzato svedese, accostatosi alla pittura nel 2013, immagine e parola non possono scindersi: l’una accompagna e completa l’altra, ne arricchisce il senso.
Non a caso molte opere sono associate a brani estratti dalle sue raccolte di storie, da romanzi o da riflessioni scaturite dalla pratica artistica.
Entrambi mettono a fuoco il dilemma, il paradosso, il dubbio.
Il vuoto esistenziale che il gesto della creazione intende colmare.
Sono sette i libri pubblicati, la maggior parte dei quali tradotti in inglese, spagnolo e russo, mentre per l’inverno verranno dati alle stampe in Italia “Lo Spaventapasseri – racconti crepuscolari” e “Il ratto e altri racconti crudeli”.
Atti a sondare problematiche filosofiche, teologiche e il dualismo vita-morte, presentano una lingua scarna, essenziale, talvolta ironica, e mettono in scena un meccanismo enigmatico-interrogativo attraverso cui setacciare ogni pretesa di verità.
Stessi dispositivi sui quali si fondano i quadri.
“La pittura è per me la parola impossibile da esprimere in un testo scritto”, spiega l’autore, che prosegue: “Si tratta di resistere e di dubitare di ciò che è già scontato, certo, ovvio”; “Un lavoro ha una molteplicità di transiti, sia piccoli che grandi, sia visibili che invisibili, sia consentiti che proibiti.
Io intendo un lavoro-travaglio dove ogni emancipazione – sia fisica che psichica – sia, a diversi gradi, dolorosa”.
Il titolo della serie, Monokrom, è indicativo, ma l’intera mostra non si esaurisce nella ripetizione del colore unico.
Nelle prime tele (2013-14) sperimenta un astrattismo concitato: i toni si accumulano e si fanno stridenti e squillanti; oppure si sovrappongono gli uni agli altri dando vita a pattern geometrici, di trama e ordito, o a movimenti di superficie come mare in tempesta.
Nella seconda parte (2015-16), più materica, in cui possono comparire inserti tridimensionali, vi è un effetto magmatico, di cristallizzazione della forma; agglomerato primordiale di senso che dal piano sembra tentare di affrancarsi.
Analizzandone le opere Ida Thunström ha parlato di zen e di influenza di questa tradizione.
Man mano cominciano ad apparire delle sagome, e siamo di fronte all’ultimo nucleo figurativo, recente.
Autoritratti involontari, pappagalli, fiori, galli, e accenni di volti; il tumulto dei colori ricorda i lavori iniziali: il ciclo che ha percorso in tre anni si è chiuso.
Melker Garay è nato da padre svedese a da madre cilena in Cile (Tocopilla) nel 1966. Nel 1970 la famiglia si trasferisce in Svezia, a Norrköping, che da allora è diventata la sua città.come scrittore ha pubblicato racconti e romanzi, di cui uno, “mcv”, può definirsi una forma di arte concettuale. La sua letteratura affronta i grandi argomenti e le grandi questioni esistenziali e religiose del mondo contemporaneo. Alcuni racconti sono diventati cortometraggi e hanno partecipato a festival internazionali, non ultimo il Festival del cinema di Göteborg e il Berlinalen. “Kinski and Death” ha anche avuto una trasposizione teatrale. Ha di recente fondato il magazine Opulens. se. La prima mostra personale è del 2014; l’ultima si è tenuta a Mosca nella primavera 2017 presso la Central House of Artists.