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Shepard Fairey. 3 decades of dissent
mercoledì 16 Dicembre 2020 - venerdì 26 Marzo 2021

sede: Lieu.City (Online).
cura: Claudio Crescentini, Federica Pirani, Wunderkammern.
Sperimentatore assoluto di linguaggi, stili e messaggi politici tramite l’arte, l’artista statunitense Shepard Fairey (Charleston, 1970) ha voluto creare un concept unico e irripetibile appositamente per la Galleria d’Arte Moderna, presentando trenta sue recenti opere grafiche inedite (2019) – con cui ripercorre molti dei suoi temi di dissenso, come la lotta per la pace e contro la violenza razziale, la difesa della dignità umana e di genere, la salvaguardia dell’ambiente – in dialogo con importanti opere della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina.
La mostra, prima in assoluto in Italia autorizzata dall’artista, si apre con una copia autografata di Hope (2008), una delle opere più celebri di Fairey, in cui l’artista ha ridefinito il volto di Barack Obama, creando l’immagine iconica che ha fatto il giro del mondo.
Grazie alla realtà virtuale creata da Lieu.City, i visitatori avranno la possibilità di spostarsi da un ambiente all’altro e di muoversi agilmente tra i tre piani della GAM per ammirare le opere di Shepard Fairey e quelle della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, avendo a disposizione in maniera facile e intuitiva contenuti multimediali esclusivi, come descrizioni e contributi video per godere di un’esperienza artistica internazionale di qualità.
“Per me, fare arte significa ispirare e promuovere il dialogo, e credo che le molteplici stratificazioni di questa mostra sapranno far riflettere e avviare discussioni profonde”.
Shepard Fairey
Shepard Fairey ha da sempre definito il suo stile come politico, audace e iconico, basato sulla stilizzazione e idealizzazione delle immagini, così come dimostrano anche altre opere in mostra, fra le quali la ridefinizione della celeberrima campagna di sticker “André the Giant Has a Posse”, con il volto del campione di wrestling disseminato su migliaia di muri delle città americane. “André the Giant”, nella sua versione Hendrix, sarà presente in mostra insieme a Jesse – con il volto del Reverendo Jesse Jackson – della serie “Brown Power”. In questa opera Fairey adotta esplicitamente il linguaggio visivo dei decenni Sessanta-Settanta e in particolare del movimento Black Power, utilizzando una combinazione di colori panafricana – rosso, nero e verde – ripresa dai combattenti per la libertà e i diritti degli afroamericani. Così come espresso in un’altra sua opera in mostra, Power And Equality dedicata ad Angela Davis, attivista del movimento afroamericano statunitense e militante del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America.
Anche in questo caso ritorna potente l’iconicità dell’uso del segno di Fairey, sempre molto riconoscibile, anche per essere pura espressione di legami con la tradizione grafica dell’arte dissidente e avanguardista dell’Europa del Novecento. Dal Futurismo al Costruttivismo russo, come nell’opera in mostra Guns And Roses, definita dal gioco linguistico e visivo tra rock e i simboli pacifisti con le rose nei fucili. Il pacifismo quindi, altro tema dominante di Shepard Fairey, va di nuovo a legittimarsi con la sua (ri)appropriazione della grafica del Modernismo europeo, come nella serie Obey Lotus Ornament e in quella della serie Money con Lenin, Mao e Nixon. Di grande impatto è anche Greetings From Iraq, strutturata come una cartolina dove però le “bellezze” dell’Iraq diventano i bombardamenti aerei americani.
Il dissenso attivo e puntuale manifestato nei lavori di Fairey va a connettersi con una serie di “Interferenze d’arte”, ossia rapporti – concettuali, tematici, iconografici – che l’artista stesso, insieme agli altri curatori della mostra, ha voluto creare per la Galleria, facendo dialogare le sue opere e i suoi temi con le opere di altri artisti contemporanei, costruendo percorsi visivi che tendono verso altri intrecci visuali più personali con i quali il pubblico potrà interagire. Un concreto bisogno di sfidare visivamente sé stesso e la propria arte con l’arte del suo e del nostro recente passato. Attraverso una sequenza unica, il pubblico potrà riconoscere molte suggestioni stilistiche e artistiche di Fairey nello specchio dell’arte contemporanea italiana. A cominciare dal gioco di sguardi del “Big brother is watching you” con “Il dubbio” (1907-08) di Giacomo Balla, proseguendo con “Commanda” in dialogo con “Donna alla toletta” (1930) di Antonio Donghi. E ancora: “Exclamation” con “Il Cardinal Decano” (1930) di Scipione; “Jesse” con “L’autoritratto” (1937) di Renato Guttuso; il pugno chiuso di “Obey fist” con “Il Comizio” (1949-50) di Giulio Turcato, in cui le essenze cromatiche delle bandiere rosse si trasformano in forza politica e voce d’artista antagonista. Ugualmente nel confronto con “Compagni Compagni” (1968) di Mario Schifano. E tanti altri ancora, in un ideale arco storico virtuale che va dal XIX secolo all’oggi dissidente di Shepard Fairey.