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Shirin Neshat. Ritorno alla luce

venerdì 25 Maggio 2018 - sabato 15 Settembre 2018

Shirin Neshat. Ritorno alla luce

sede: Archivio Storico e Sepolcreto della Ca’ Granda (Milano).
cura: artache.

L’intensità dell’arte contemporanea espressa da Shirin Neshat approda al Sepolcreto della Ca’ Granda con la sua produzione artistica: gli antipodi temporali, passato e presente, ma anche spaziali come corpo e spirito. Grazie alla recente apertura al pubblico, questo luogo si confronta con una realtà inedita e con una città mutata.

Il percorso espositivo Ritorno alla luce presenta l’opera video dell’artista intitolata Pulse affiancata da terram anima caelum, l’installazione site-specific del designer Henry Timi che valorizza lo splendido cielo affrescato sulle volte del Sepolcreto. Una proposta al pubblico che mette in evidenza la tensione verso il contemporaneo e la nuova energia creativa che avvolge Milano, mettendo in relazione l’affascinante Sepolcreto del XV secolo con l’espressività dei giorni nostri.
La triangolazione tra questa nuova realtà, l’arte contemporanea e il patrimonio storico artistico della città trova una sua corrispondenza anche nel racconto stesso di Pulse: un invito ad affacciarsi su una dimensione intima che, attraverso il canto, si apre al visitatore superando non solo le barriere fisiche ma anche quelle linguistiche.
Pulse fa entrare il visitatore negli spazi privati della camera di una donna, una ‘cripta’ femminile. La pulsazione di una musica, che proviene da una radio, guida il movimento della videocamera che entra nella stanza. La voce angelica di Sussan Deyhim canta, come in una nenia, i versi del poeta mistico del XIII secolo Rumi, sull’imprigionamento degli esseri umani legati alla vita materiale terrena, prima in un duetto con un uomo, poi con la protagonista del video, a cui la videocamera si avvicina sempre più portando il visitatore quasi a toccare lo struggimento della donna e a prendere parte alla sua preghiera solitaria. Quando la canzone finisce, la videocamera arretra fino a uscire dalla stanza e raggiungere il vuoto: non rimane altro che la pulsazione che riecheggia e risuona all’interno del corpo dello spettatore.

L’opera stabilisce con il luogo e il visitatore un gioco di rimandi e corrispondenze: la radio e la finestra rappresentate nell’opera di Shirin Neshat sono la ricerca di una via di uscita, di un ritorno alla luce che racconta la medesima ricerca immaginaria che questo luogo e la storia che ci è passata e conservata, stanno percorrendo per tornare alla luce dei giorni nostri. La video installazione è posta in un corridoio che porta all’unica finestra che affaccia sull’esterno, da cui filtra la luce. Luce che è anche ripresa dalle installazioni di Henry Timi che riflettono l’azzurro del cielo affrescato sul soffitto del Sepolcreto.

Shirin Neshat è nata a Qazvin, in Iran nel 1957. Recatasi per ragioni di studio negli Stati Uniti nel 1974, all’avvento della rivoluzione islamica in Iran vi rimase in esilio, proseguendo i suoi studi artistici all’Università di Berkeley (1979-81; 1993) e poi stabilendosi a New York. La possibilità di ritornare nel 1990 in patria e la constatazione della sua radicale trasformazione ne hanno profondamente influenzato la ricerca indirizzandola, prima attraverso la fotografia poi con video e cortometraggi, verso la comprensione delle complesse forze intellettuali e religiose sottese ai problemi connessi all’identità femminile e al rapporto tra i generi nella realtà islamica contemporanea. “Women of Allah” (1993-97), una serie di fotografie che ritraggono donne con il velo che abbracciano pistole, è l’opera che la rende nota al pubblico internazionale: le sue immagini riflettono il senso profondo dei diritti delle donne dopo la rivoluzione islamica. L’esordio alla regia avviene nel 1998, anno in cui comincia a cimentarsi in video istallazioni e cortometraggi, anche grazie all’incontro con la filmmaker iraniana Shoja Azari, con la quale inizierà una collaborazione che porterà alla realizzazione di opere importanti, come la trilogia – “Turbulent” (1998), “Rapture” (1999) e “Fervor” (2000) – sul ruolo dei generi nella mentalità e nella società islamica. “Turbulent” vince il Premio Internazionale alla 48. Biennale di Venezia nel 1999. Dieci anni dopo, il suo primo film drammatico “Donne senza uomini” si aggiudica il Leone d’Argento per la migliore regia alla 66ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2013, oltre a mettere in cantiere il suo secondo lungometraggio, un ritratto della celebre cantante e musicista egiziana Umm Kulthum, viene chiamata a far parte della giuria del concorso ufficiale della 63ma Berlinale. Nel 2017 vince il Praemium Imperiale Award a Tokyo. Tra le sue mostre personali del 2018 ricordiamo “Looking for Oum Kulthum” (Faurschou Foundation, Copenhagen), “Dreamers Triology” (Kunstraum Dornbirn, Dornbirn, Austria) e “Women in Society,” (Neue Galerie Graz, Graz, Austria)

Ufficio Stampa: PCM Studio

Dettagli

Inizio:
venerdì 25 Maggio 2018
Fine:
sabato 15 Settembre 2018
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