Silvia Lorenzin. First Band on the Moon – Exhibition in Virtual Gallery 3d

sede: Arte.Go.Gallery (Online).
cura: Paola Milicia

In principio, la Gran Bretagna. Poi, l’Irlanda, anti-thatcheriana, più indulgente e accogliente, l’Irlanda degli U2, della Guinness, dei cantanti di strada, l’Irlanda di Sonia e di Silvia, di chi è partita e di chi è rimasta. Un racconto, ma più ancora un’epoca, immortalati nel lavoro fotografico di Silvia Lorenzin, composto e scomposto attraverso approdi, lontananze, attese e speranze, lungo uno sguardo che dura trent’anni.

Immersa in una galleria famigliare e intima di immagini, di volti, di relazioni che ne avvalorano la sua esistenza, la Sonia di “First Band on the Moon” (sì, con l’articolo, come fosse non più Sonia in carne ed ossa, ma un personaggio, la quintessenza di una generazione, e forse, di un’epoca e si, il titolo “First Band on the Moon” è ripreso da un brano dei Cardigans) riesce a racchiudere nel tempo, la sua e la nostra crescita. Come in un romanzo del divenire, Sonia, l’eroina, vive a tappe, è segnata da un preludio e dal suo sviluppo, da un’iniziazione e dalla maturità che la raggiunge, in una summa che punta innanzitutto alla formazione, e al ritrovamento della propria immagine. Ma è anche, la consacrazione definitiva di un’identità poetica che celebrava la libertà dell’individuo, di un immaginario collettivo che appartiene a Sonia, come pure a Silvia e a tutti noi, i ragazzi degli anni Novanta.

Orde di giovani alla ricerca di un posto al mondo che si mettono in marcia verso l’ignoto, spinti dai sogni, dalla libertà, dal moto non meglio definito di contestazione alla politica di quegli anni che rimbalzava dalla austera monarchia alle nostre case, a suon di rock music. Si trattava di far parte di un cambiamento di cui si era più affascinati che avvezzi, di vivere l’essenza di un’epoca che fa ancora oggi sospirare perché pensata come il grande passo on the moon per molti di noi. Un periodo a cui oggi si ripensa con grande nostalgia ed euforia, quasi come a un’epoca edonistica e spensierata, di cui, tutto sommato, ci si poteva fidare.

La storia italiana è puntellata di emigrazioni epocali, di transizioni, di strappi e ricongiungimenti, e quello degli anni Ottanta e Novanta verso la Gran Bretagna e l’Irlanda che ha interessato una moltitudine inquantificabile di adolescenti e giovani connazionali, è senz’altro un fenomeno di avamposto a quello vero e proprio di emigrazione e di insediamento all’estero che ha una sua fenomenologia sociologica e “sentimentale”.

Il progetto di Silvia Lorenzin è una narrazione polifonica, storica e storicizzata, fluttuante tra un lì e qui, tra un dentro e un fuori, un centro e una periferia; una galleria di storie e di voci che si raccontano in silenzio, con i toni del chiaro-scuro, tra le quali ritrovarsi e raccontarsi a nostra volta. È un lavoro autobiografico nella forma e nello sguardo, in quello che non c’è ma c’è, non nei fatti, insomma, ma nel wannabe che lega tutti a Sonia, e che va letto nei suoi infinti riflessi e rimandi, anche di genere. L’evoluzione di Sonia, in quanto eroina di formazione, è portatrice di un mutamento di valori sociali anche perché è donna. Silvia la guarda attraverso lo specchio di immagini che compongono ogni esistenza femminile, anche di quelle a cui partire da sole per un paese straniero era negato, o era troppo. Essere dentro una massa di giovani, essere dentro o con Sonia, era come poter essere chiunque, lontano da casa. E Sonia che è partita sembra fatta a posta per Silvia che è rimasta, e viceversa.
Paola Milicia

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Tutte le immagini: © Silvia Lorenzin

Per approfondimenti: “Perdonami”. L’arte di Silvia Lorenzin tra addio e resurrezione

produzione: arte.go.it; realizzazione dgPixel Multimedia Communication
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