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Una certa idea di precisione – Mostra collettiva

sede: Folini Arte (Lugano, Svizzera).
Le opere di Paolo Gioli, Stefania Beretta, Valentina D’Amaro e Cosimo Filippini presentate da Folini Arte sono perlopiù in bilico tra pittura (o scultura) e fotografia. Ad accomunarle nel profondo tuttavia ĆØ una certa idea di precisione che ha dei risvolti sfaccettati, paradossali, allusivi.
Italo Calvino, nella terza delle sue Lezioni americane, fornisce una definizione di Esattezza imperniata su Ā«tre cose: 1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; 2) l’evocazione di immagini visuali incisive, memorabili, “icastiche”; 3) un linguaggio il più meticoloso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazioneĀ».
Le opere in mostra sono cesellate, icastiche e meticolose nel rendere Ā«le sfumature del pensiero e dell’immaginazioneĀ», però si raccolgono attorno a un’idea di precisione, invece che di esattezza.
In quanto derivazione del latino exigere – un verbo che intende ex agere, spingere fuori dall’approssimazione, dalla vaghezza, dall’oscuritĆ , e quindi portare completamente alla luce un determinato argomento -, l’esattezza ĆØ una categoria anzitutto scientifica, legata all’azione di misurare, di assegnare un valore numerico al reale.
La precisione ha la sua radice linguistica nel verbo caedere, ovvero tagliare.
Ciò che è preciso in primo luogo è ritagliato, sfrondato di quanto è comunicativamente ridondante; è inoltre af ilato e spesso tagliente nella sua icasticità .
La precisione non aspira a essere esaustiva, semmai a risultare puntuale: cogliendo il punto della questione lo in-dividua, lo divide dalle restanti argomentazioni nel momento in cui ne fa spiccare l’essenzialitĆ ; però con la sua azione non misura, e tantomeno esaurisce, ciò che c’ĆØ “dentro al punto”: si limita a evidenziarne con la maggiore nettezza possibile i contorni, ma lascia intatto il mistero di quale sia la natura profonda della “cosa” puntualmente colta.
Esiste un modo di essere precisi nel fare arte – cioĆØ nel dare una forma percettibile alla “cosa misteriosa” per antonomasia, la personalitĆ dell’artista – che potremmo chiamare una precisione allusiva.
Questa espressione si conforma benissimo alle opere che Paolo Gioli ha realizzato con il dispositivo del fotofinish.
Meticoloso ben oltre la soglia del tollerabile, Gioli padroneggia ossessivamente le tecniche fotografiche con lo scopo quasi di sabotarle.
Disinnescare l’inesorabilitĆ del meccanismo, corrompere la presunta purezza del dato fotografico, affidare l’immagine al potere generativo della casualitĆ : sono nati cosƬ i lavori in cui il volto – depositario, secondo la tradizione occidentale, dell’identitĆ dell’essere umano – assume una configurazione arcana, insondabile.
Una letterale puntualitĆ , intesa come prerogativa indispensabile della precisione, rappresenta il tratto distintivo dei Paesaggi improbabili di Stefania Beretta.
Ancor più delle linee tracciate dai fili – che sono pur sempre linee portanti, elementi strutturali dell’immagine – lo sguardo ĆØ richiamato dal punto d’innesto della fibra: ĆØ da quell’incavo, da quel vuoto, che ha origine una strana mescolanza di onirismo e sistematicitĆ equamente, scrupolosamente combinati.
Improbabili, i paesaggi creati da questa artista, lo sono nel senso che non se ne può provare – un verbo che in latino suona probare – in alcun modo l’appartenenza a una determinata geografia: il loro territorio di indagine ĆØ l’indeterminato, o forse meglio l’in-definito.
Precisare senza definire: ecco un altro paradosso costitutivo del fare arte che riguarda nel profondo le opere fotografiche di Valentina D’Amaro.
Nonostante captino le fluttuazioni della luce e mostrino in maniera quasi lenticolare i dettagli della vegetazione, queste immagini, cosƬ come i dipinti con i quali dialogano, fanno percepire una natura letteralmente scon-finata, e intimamente refrattaria a qualsiasi schema percettivo.
Eppure si tratta di opere, che nel gergo della critica, vanno ritenute a tutti gli effetti compiute, ovvero finite.
Si dĆ qui un ennesimo paradosso della precisione: sono finite ma non rifinite, la loro compiutezza, il loro essere “giunte al punto”, permette una sorta di catarsi dai limiti del linguaggio, e rende lecita l’aspirazione a cogliere non solo l’indefinito, ma proprio l’infinito.
L’esercizio della precisione, come ĆØ stato giĆ detto, richiede una certa abilitĆ nel ritagliare, e in tal modo individuare, l’essenziale.
Cosimo Filippini possiede questa dote, come giĆ dimostravano le foto presentate da Folini Arte nel 2022, nelle quali degli alberi divelti campeggiavano con le loro radici nel cielo, in una sorta di “posa assoluta”.
In una serie di recenti opere pittoriche, Cosimo fa stagliare nel vuoto dei profili di montagne: letteralmente s-tagliare, ovvero profilare in modo marcato, dare un risalto inconsueto, e conferire un senso spiazzante a ciò che viene individuato.
Il vuoto ha un ruolo tutt’altro che secondario: trattandosi di montagne sottoposte a un ciclo, chissĆ quanto naturale, di disgelo, la vacuitĆ si insinua nella figura, sembra quasi scavarla, ritagliarla a propria volta, sino al punto di rimodellare il suo assetto orografico.
Inaugurazione
VenerdƬ 19 settembre 2025 alle 18.00
Immagine in evidenza
V.D – Amaro S.T. olio su tela serie Switzerland 55x80cm (part.)