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Yuri Ancarani. Lascia stare i sogni

martedì 4 Aprile 2023 - domenica 11 Giugno 2023

Yuri Ancarani. Lascia stare i sogni

sede: PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano (Milano).
cura: Diego Sileo, Iolanda Ratti.

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta la prima mostra monografica in Italia dedicata alla ricerca visionaria e poetica di Yuri Ancarani (Ravenna, 1972), le cui opere nascono da un’originale e accurata commistione fra cinema documentario e arte video. Con lo stesso sguardo lucido e imparziale che contraddistingue da sempre il punto di vista dell’artista, l’esposizione si propone di far emergere gli aspetti più autentici della sua produzione, rivelandone le diverse sfumature e i codici linguistici attraverso una vasta selezione di lavori del passato e una nuova opera pensata appositamente per il PAC.

Per la prima volta i film di Ancarani, presentati nei maggiori festival e nei musei d’arte contemporanea del mondo, si potranno vedere riuniti in una sola sede, grazie ad una selezione che va dagli esordi ai giorni nostri. Immagini in movimento impalpabili, che esistono e si muovono in ogni ambito, attraversando i confini stabiliti tra arte visiva e cinema.

Il titolo della mostra, “Lascia stare i sogni”, è una citazione tratta dall’ultimo film dell’artista, Atlantide: è la frase che il protagonista Daniele dice alla giovane fidanzata Maila, e che diventa un invito a vedere la mostra senza far riferimento a quei sogni spesso evocati dall’industria cinematografica. Come se, per entrare nei mondi raccontati e descritti da Ancarani, non fosse necessario scomodare grandezze inimmaginabili o oniriche, ma servisse solo uno sguardo capace di andare oltre le apparenze più scontate e oltre ciò che conosciamo, svelando mondi sommersi.

Il lavoro di Ancarani nasce in stretto rapporto con la realtà, osservata senza giudizio. “Nessuno crede più alle storie fantastiche; ora si ride quandosi guarda un film horror. Ciò che fa paura invece è proprio la realtà. Il mio cocktail è bellezza e realtà, e piace alle persone: crea scompiglio ed emozione dentro di loro”, sostiene l’artista, ed è proprio l’invito di Daniele a lasciar stare i propri sogni in favore di un approccio e di una fruizione più emotivi e radicali. Le inquadrature, il montaggio, la fotografia, il sapiente uso del suono ai fini della narrazione sono tutti elementi studiati e curati, che invitano lo spettatore a un’esperienza di visione scorrevole e immersiva, senza mai mistificarla o renderla, per l’appunto, onirica. I suoi racconti sono sempre coerenti, la realtà si mescola perfettamente alla finzione e il cinema diventa lo strumento per leggerla e interpretarla.

In mostra si potranno riscoprire i suoi primissimi lavori, come quelli della serie Ricordi per moderni, girati tra il 2000 e il 2009 e riuniti in un’unica installazione. Il progetto evoca ironicamente una società che si è lasciata alle spalle le sue tradizioni, scambiandole con un’idea di progresso ormai arresa alla desolazione e allo sfruttamento del paesaggio. Il lavoro prende spunto dallo stile di prosa di Pier Vittorio Tondelli (1955–1991) nel restituire sulla pagina quello che lui stesso chiamava “il suono del linguaggio parlato”, cercando di trasmettere l’esperienza orale nella riscrittura con termini linguistici forti e diretti.

Non mancheranno anche i lavori più noti e celebrati, come quelli della trilogia de La malattia del ferro, 2010-2012, e quelli della trilogia de Le radici della violenza, 2014 – in corso. Il Capo, 2010, è ambientato all’interno di una cava di marmo delle Alpi Apuane e ruota attorno al rapporto tra uomo e macchina nel paesaggio. Il capo cava è descritto mentre dirige le operazioni di taglio, sollevamento e spostamento dei materiali rocciosi, in un tacito monologo che si esprime unicamente attraverso gesti codificati. La voce umana è sostituita da quella dei macchinari in movimento in un logorio meccanico che restituisce la brutalità della situazione descritta. Piattaforma Luna, 2011, è girato all’interno di una camera iperbarica dove un gruppo di sei sommozzatori specializzati in lavorazioni a grande profondità svolge un’operazione off-shore condotta sulla piattaforma Luna. Per settimane la vita dei subacquei si svolge tra questo spazio e il fondo del mare, a 100 metri di profondità. Le scene mostrano un luogo del tutto innaturale caratterizzato da una serie di condotti valicabili e varchi a tenuta stagna dal sapore fantascientifico. Da Vinci, 2012, presentato anche alla 55° Biennale di Venezia, ha inizio dall’immagine di un organismo che pulsa, irradiato da capillari all’interno di membrane che vengono penetrate da pinze e beccucci metallici. Non è chiaro se si tratti di un film science-fiction o di un’esperienza iperreale. Ciò a cui si assiste è invece un feed video ad alta definizione di un’operazione realizzata con un sofisticato sistema chirurgico “da Vinci Si”. La tecnologia microinvasiva offre una visione ingrandita dell’area, dove il chirurgo manipola gli strumenti da una console esterna annullando qualsiasi contatto diretto con il corpo del paziente.

San Siro, 2014, racconta invece i momenti che precedono l’inizio di una partita nell’omonimo stadio. Tombini, cavi elettrici, serrature e gradinate sono lo scheletro della struttura calcistica, il cui “stomaco” è disseminato da griglie di pannelli luminosi che favoriscono la manutenzione dell’erba. Se nelle riprese Ancarani descrive operazioni di routine di controllo e preparazione del campo, con il suono – cadenzato dall’esplosione dei petardi usati per allontanare i piccioni dal prato – imprime l’eco del vuoto che di lì a poco, con l’inizio del gioco, viene riempito dall’energia dei giocatori e della tifoseria. San Vittore, 2018, prosegue le indagini di Ancarani sulla messa in scena delle diverse sfaccettature della violenza e del “trauma” nel quotidiano, esplorando l’esperienza infantile all’interno delle carceri. L’artista con attenzione clinica si sofferma sulla descrizione dei controlli di sicurezza a cui sono sottoposti i minori per visitare i propri genitori all’interno di San Vittore. Nuovamente Ancarani mette a fuoco un momento specifico delle procedure per rimandare alla struttura complessiva. Evadendo retoriche narrative precostituite, la prigione è descritta attraverso alcuni dei suoi elementi di contenimento: i muri, le finestre sbarrate e il metal detector. San Giorgio è l’opera non ancora terminata di Ancarani che chiude la trilogia de Le radici della violenza. Nonostante il suo status ancora in divenire, Ancarani decide di esporla insieme alle altre sue produzioni, dando luogo a un senso di indeterminatezza nel racconto espositivo: una via di fuga per l’osservatore che si addentra nella mostra. Le riprese sono caratterizzate da toni freddi e scostanti in netta contrapposizione con la lucentezza dell’oro dei lingotti nelle casseforti, in uno sforzo dichiaratamente manieristico. Addentrandosi nelle sequenze si scopre ciò che è celato all’interno delle minuziose procedure di vigilanza: la distruzione dei registri cartacei delle transazioni che determinano il valore del metallo prezioso.

Completano la mostra The Challenge, 2016, Whipping Zombie, 2017, e il lavoro ideato appositamente per questa mostra e prodotto dal PAC con il contributo di ACACIA Associazione Amici Arte Contemporanea Italiana, composta da collezionisti mecenati e appassionati d’arte che dal 2003 sostengono e promuovono l’arte contemporanea in Italia.

Le immagini di The Challenge ci portano nel deserto del Qatar durante i preparativi di una competizione di falconeria che racconta gli eccessi della società qatarina. Le scene si articolano attorno alla descrizione di alcune attività di intrattenimento delle diverse comunità maschili che gravitano attorno al culto della motocicletta, le corse in auto, le gare di falconeria, fino all’immagine surreale di un uomo con un ghepardo al guinzaglio su una Lamborghini che sfreccia nel deserto. Il film scorre lungo sequenze rigorose realizzate con l’uso frequente di fotogrammi basati sulla simmetria dell’asse centrale dell’inquadratura, insieme a momenti in cui la visione diventa frammentata e la camera, posta sulla testa del falco, restituisce prospettive taglienti e ansiose. In Whipping Zombie i limiti tra cinema etnologico e documentativo sembrano annullarsi in una silenziosa coesistenza tra artificio e memoria. Il video è incentrato sul cosiddetto “Kale Zonbi”, o l’omonima danza tradizionale “Whipping Zombie”, in cui gli abitanti di un villaggio di Haiti compiono gesti che rievocano dinamiche di violenza coloniale, fino ad arrivare a stati di trance. Il rituale, basato sulla reiterazione di percussioni e flagellazioni, è una forma di esorcizzazione di un passato non troppo lontano. Il nuovo lavoro, invece, dal titolo Il popolo delle donne, è un incontro generazionale con la psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi ambientato in un cortile dell’Università degli Studi di Milano.

Immagine in evidenza
Il Capo, 2010. Still video. Courtesy Studio Ancarani

Dettagli

Inizio:
martedì 4 Aprile 2023
Fine:
domenica 11 Giugno 2023
Categoria Evento:
Tag Evento:
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Luogo

PAC PADIGLIONE D’ARTE CONTEMPORANEA DI MILANO
Via Palestro, 14
Milano, 20122 Italia
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02 88446359
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