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Zehra Doğan. Avremo anche giorni migliori – Opere dalle carceri turche
venerdì 15 Novembre 2019 - domenica 1 Marzo 2020

sede: Museo di Santa Giulia (Brescia).
cura: Elettra Stamboulis.
“Avremo anche giorni migliori – Zehra Dogan. Opere dalle carceri turche” è un progetto originale curato da Elettra Stamboulis e costituisce la prima mostra di impianto critico curatoriale dedicata all’opera della fondatrice dell’agenzia giornalistica femminista curda “Jinha”.
L’arte di questa artista si interseca e intreccia con la vicenda personale e, inevitabilmente, con i drammatici eventi politici della più stringente attualità. La mostra fa luce sulla sua poetica, affrontandone le tematiche e i motivi ricorrenti, evidenziandone la complessità linguistica e mostrando l’ampia gamma di supporti e tecniche utilizzate per produrre opere d’arte: oggetti inconsueti, estremamente fragili, ma di grande potenza espressiva.
Il percorso espositivo concepito da Elettra Stamboulis riunisce circa 60 opere inedite, tra disegni, dipinti e lavori a tecnica mista, che interessano tutto il periodo della detenzione dell’artista nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, dove Zehra è stata rinchiusa per 2 anni, nove mesi e 22 giorni con l’accusa di propaganda terrorista per aver postato su Twitter un acquarello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.
Accanto alle immagini, anche brani del diario scritto durante la prigionia. Si tratta di riflessioni in cui Zehra Dogan più volte fa riferimento ad artisti che nel corso della storia hanno manifestato il proprio dissenso senza pagarne, almeno apparentemente, le conseguenze e a quegli artisti che invece si rifiutano di prendere una posizione.
La mostra dà conto della necessità irrefrenabile di produrre e raccontare non tanto la propria, quanto l’altrui condizione con l’immagine e la parola. Dalla carta di giornale alle stagnole dei pacchetti di sigarette, dagli indumenti di uso comune ai frammenti di tessuto: ne emerge una amplissima gamma di strumenti e materiali, spesso legata alle particolari contingenze entro le quali le opere hanno trovato vita. Qualunque elemento tratto dal quotidiano incorre nella creazione, come il caffè, gli alimenti, il sangue mestruale o i più tradizionali pastelli e inchiostri, quando reperibili.
Una prima sezione della mostra è dedicata alle macchie, forme generatesi dalla casuale sovrapposizione di materiale a un supporto scelto in quel momento come superficie creativa. A partire dalle macchie l’artista delinea un immaginario simbolico, dominato dalla figura umana sintetizzata nell’esaltazione di alcune componenti specifiche come gli occhi, le mani e gli attributi della femminilità. La figura femminile, quale singolo individuale o corpo collettivo, costituisce la seconda sezione di questo itinerario. Attivista femminista, tra i primi giornalisti internazionali ad avere raccolto le testimonianze delle donne Yazide scampate all’ISIS, Dogan dedica alla rappresentazione della donna la parte più vasta della propria produzione.
Il corpo rientra nella rappresentazione politica con scene di guerra in cui di nuovo incorre la predominanza della presenza femminile, a sottolineare come la prima delle battaglie da vincere sia quella contro il patriarcato. Pablo Picasso, quello di “Guernica” e dell’elaborazione di un linguaggio specifico della disperazione è, nelle parole dell’artista stessa, il punto di riferimento fondamentale per definire una narrativa del dolore.
Conclude la mostra un nucleo di opere create dopo l’esperienza in carcere.
Zehra Dogan è stata rilasciata il 24 febbraio 2019. La sua storia di artista dissidente ha da subito raccolto l’interesse e la solidarietà del mondo dell’arte internazionale, tanto che Ai Weiwei le ha scritto una lettera personale e, lo scorso anno, Banksy le ha dedicato il più ambito dei muri di Manhattan, il Bowery Wall, con un’opera che la raffigura dietro le sbarre, mentre impugna la sua arma più potente: una matita. In tutto questo periodo, l’artista non ha mai cessato la propria attività artistica e giornalistica, realizzando opere con materiale di recupero, collaborando con le compagne detenute nella costruzione di immagini e nella realizzazione di un giornale di bordo che documentasse la loro detenzione.
La mostra “Avremo anche giorni migliori – Zehra Dogan. Opere dalle carceri turche” è affiancata da un ricco programma di attività di approfondimento per il pubblico adulto, per le famiglie e le scuole, a cura dei Servizi educativi della Fondazione Brescia Musei. Tra questi appuntamenti, anche un incontro aperto al pubblico in mostra con l’artista dedicato alla memoria di Hevrin Khalaf, in calendario sabato 23 novembre alle 16:00.
Zehra Dogan è nata nel 1989 a Diyarbakir, in Turchia. Si è laureata alla Dicle University’s Fine Arts Program e ha co-fondato la prima agenzia stampa costituita unicamente da donne, JINHA (Jin in curdo significa donna), per la quale ha lavorato dal 2010 al 2016, finché JINHA non è stata chiusa da un decreto governativo. Nel corso di questi anni, Zehra Dorgan è stata insignita di diversi premi, come il Metin Göktepe Journalism Award, uno dei più prestigiosi in Turchia e recentemente il premio “Exceptional Courage in Journalism Award”, della Fondation May Chidiac (MCF) in Libano. Durante la guerra in Iraq e Siria, l’artista e giornalista ha seguito direttamente le vicende da entrambi i paesi ed è stata una delle prime giornaliste a raccontare la storia delle donne Yazide ridotte in schiavitù dall’ISIS nel nord dell’Iraq. Nel periodo del conflitto nelle aree curde della Turchia, Dogan ha provato a raccontare la guerra nelle città interessate dal coprifuoco come Cizre e Nusaybin, zone in cui la presenza dei giornalisti era bandita dal governo nazionale. Nel luglio 2016, Zehra Dogan è stata imprigionata a Mardin, il giorno dopo aver lasciato Nusaybin. A seguito di un processo, nel marzo 2017 è stata condannata a scontare 2 anni 9 mesi e 22 giorni di carcere per “propaganda terrorista” a causa dei suoi scritti giornalistici e di un acquerello. Il 23 ottobre 2018 un prelievo forzato ha condotto l’artista dalla prigione di Diyarbakir a quella a più alta sicurezza di Tarso. L’opera di Zehra è stata esposta nell’agosto 2016 in Francia, presso il Douarnenez Film Festival. Nel 2017, in attesa del processo dopo la prima detenzione, ha organizzato una mostra a Diyarbakir, dal titolo “141” (il numero dei giorni trascorsi in cella) con i dipinti realizzati in prigione. L’8 ottobre 2018, in occasione del’84 International Pen Congress in India, Zehra Dogan diviene un membro onorario dell’associazione in absentia. Nello stesso anno, le opere incluse in “141” e i dipinti prodotti tra la sua liberazione e successive ri-incarcerazione, così come i seguenti lavori realizzati in carcere sono stati esposti in Europa grazie al lavoro dei volontari dell’associazione Kedistan. A novembre 2019 sarà pubblicato dalla casa editrice Editions de Femmes il suo carteggio con Naz Oke durante la prigionia dal titolo “Nous aurons aussi de beaux jours”, da cui trae ispirazione il titolo della mostra di Brescia.
Elettra Stamboulis (Bologna, 1969) è curatrice di mostre d’arte contemporanea e fumetto, sceneggiatrice per il fumetto e dirigente scolastica. Vive a Ravenna con il compagno, Gianluca Costantini. Ha curato le mostre di numerosi autori di fumetto italiani e stranieri, in Italia e all’estero. In particolare, ha curato l’unica mostra degli originali di Marjane Satrapi nel 2005 “Marjane Satrapi ovvero dell’ironia dell’Iran” e la mostra itinerante di Joe Sacco, “Nuvole da oltre frontiera”. Ha diretto e progettato il festival internazionale del fumetto di realtà Komikazen (2005 – 2015) che ha portato in Italia il Graphic Journalism e promosso l’attivismo grafico. Ha collaborato con diverse riviste tra cui Linus, Pagina 99, EastWest, Internazionale, Le Monde Diplomatique. Membro del collettivo redazionale di “InguineMAH!gazine”, storica rivista dell’underground italiano che ha pubblicato fumetti di autori dal tutto il mondo e italiani, tra cui gli unici fumetti di Blu e Ericailcane, ha curato, insieme a Gianluca Costantini e Marco Lobietti, il progetto editoriale G.I.U.D.A. Geographical Institute of Unconventional Drawing Art. È direttrice artistica della biennale giovani artisti della Romagna dal 2004. Ha scritto le sceneggiature per le Graphic Novel: “L’ammaestratore di Istanbul” (Comma 22, 2008 – Ristampa Giuda edizioni 2013, ebook in inglese di VandaPublishing), “Officina del macello”, (Edizioni del Vento, 2008 – Ristampa di Eris Edizioni 2014), “A cena con Gramsci” (BeccoGiallo 2012), “Arrivederci Berlinguer” (Becco giallo 2013), “Pertini tra le nuvole” (Becco giallo 2014), “Diario segreto di Pasolini” (Becco giallo 2015), tutti disegnati da Gianluca Costantini. “Piccola Gerusalemme”, disegnata da Angelo Mennillo (pubblicata in greco, turco e francese. Edizione italiana Mesogea edizioni 2018). Ha sempre affiancato alla scrittura e alla curatela l’attività di docenza ed è dirigente scolastica del Liceo Artistico e Musicale di Forlì.
Ufficio Stampa: PCM Studio
Inaugurazione: venerdì 15 novembre, ore 19:00