
Giovanni Vincenzo Fattori nasce a Livorno il 6 settembre 1825 ultimo di quattro figli, da Giuseppe, modesto artigiano originario di S. Marcello Pistoiese e Lucia Nannetti, donna di buon cuore mediante la quale il giovane Fattori acquisisce quella semplicità e sobrietà che caratterizzeranno tutta la sua vita. L’attività del padre, che dopo avere lasciato la nativa Pistoia come cardatore di canapa aveva trovato maggior fortuna in una delle botteghe del mercato di Livorno e successivamente come mediatore di commercio nello stesso ramo, permette al giovane di far parte di una classe sociale piuttosto vivace e abbiente; ma più che per gli affari, a differenza del fratello Rinaldo che aveva intrapreso l’attività di canapino, il ragazzo presenta già dagli anni dell’infanzia un’attitudine straordinaria per il disegno. Avviato dunque agli studi artistici intorno al 1840, ha come maestro l’appena venticinquenne Giuseppe Baldini, personalità di primo piano dell’ambiente liberale livornese, che si era formato sui dettami puristi di Tommaso Minardi all’Accademia di S.Luca a Roma e aveva aperto a Livorno una scuola privata presso il teatro dei Floridi in S. Marco.

Nel 1845 il giovane lascia Livorno per trasferirsi a Firenze a studiare pittura, inserendosi da subito nel circolo liberal-guerrazziano e impegnandosi nel 1848 nella diffusione di stampa clandestina per il partito d’azione, mentre nel 1855 inizia a frequentare coetanei della stessa estrazione sociale animati da vivi sentimenti democratici che avevano l’abitudine di radunarsi in una soffitta di via Nazionale a leggere Guerrazzi e Foscolo. A Firenze, oltre ad impegnarsi in questa sua attività clandestina, grazie ad una raccomandazione accorata del poeta Giuseppe Giusti per desiderio dell’amica Giuseppina Chiti di Brescia, diventa allievo alla prestigiosa scuola privata di Giuseppe Bezzuoli anche se, figlio di gente del popolo, fatica a conquistarsi uno spazio nel bel mondo dell’aristocrazia fiorentina del quale lo stesso Bezzuoli era uno degli esponenti più in vista.
“Firenze mi ubriacò- scrive l’Artista- vidi molti artisti, ma nulla capivo: mi parevano tutti bravi e io mi avvilii tanto che mi spaventava il pensiero di dover cominciare a studiare.”
Lasciati gli insegnamenti privati del Bezzuoli per iscriversi ai corsi diretti dallo stesso all’Accademia, si rivela lo scolaro più sovversivo e stravagante, mosso da un’irrequietezza giovanile che lo spinge ad uscire dalle maglie di un mondo che non sente suo, come afferma nelle sue memorie:”fu uno studio che non concludeva nulla […..]Eravamo quattro alunni in una stanza e si dipingevano teste dipinte dal professore”.
All’Accademia, oltre alla scuola Superiore di Pittura del Bezzuoli e alla scuola libera del nudo del Pollastrini, segue gli insegnamenti di T. Gazzarrini (elementi) e del suo assistente B.Servolini (disegno delle statue), di E. De Fabris (prospettiva) e L. Paganucci (anatomia), ottenendo un profitto tutt’altro che brillante ritenendo inutile studiare la storia dell’arte “per fare l’Artista”, come affermerà lui stesso nelle sue memorie.
Tra il 1847 e il 1850 Fattori esegue copie dagli antichi maestri, ottenendo l’autorizzazione a studiare e copiare gli affreschi di Andrea Del Sarto nella Chiesa della Santissima Annunziata di Firenze; partecipa alle varie prove previste nei corsi d’Accademia conseguendo risultati non particolarmente soddisfacenti.

La sua vivacità giovanile si esprime a pieno nelle allegre e goliardiche riunioni presso il Caffè Michelangiolo di Via Larga dove, a partire dai primi anni Cinquanta, si riuniscono assiduamente artisti e patrioti e dove, assieme ad altri pittori, partecipa alla decorazione delle pareti della saletta privata con un Trovatore oggi disperso. Pur essendo tra i primi frequentatori del Caffè, non sarà mai un protagonista delle vivaci discussioni teoriche, per il carattere chiuso e per lo spirito libero.
A Livorno aderisce alla società segreta dei Progressisti – le cui riunioni erano presiedute dal Guerrazzi – fondata da Enrico Bartelloni che nell’assedio austriaco alla città del 1849 si mostra fra gli irriducibili in prima linea contro la restaurazione granducale. Di questo avvenimento il giovane Fattori, pur non partecipandovi direttamente, serberà un indelebile ricordo.
La scelta di letture eroiche e le frequentazioni patriottiche, risultano evidenti nei soggetti dei quadri storici: vicino ancora al gusto del Pollastrini è il dipinto di recente ritrovato, datato 1855, Elisabetta regina d’Inghilterra nell’atto di consegnare al Cardinale Arcivescovo il giovane Duca di York, dove la scena storica in costume è rappresentata in modo aneddotico e narrativo, quindi l’Ildegonda, dipinto ispirato alla novella di Tommaso Grossi, esposto alla Promotrice del 1855 e Maria Stuarda al campo di Crookstone, tela conservata presso la Galleria d’Arte Moderna di Firenze e tratta dall’opera l’Abate di W. Scott.
Agli inizi degli anni Cinquanta, alcuni frequentatori del Caffè iniziano a recarsi nella campagna toscana a dipingere “sul vero”; tra il 1853 e il 1854 anche Fattori si dedica allo studio del paesaggio, e si reca a dipingere all’aria aperta in compagnia del fiorentino Andrea Gastaldi.
Di questo periodo è un Autoritratto datato 1854 eseguito all’età di 29 anni, conservato a Palazzo Pitti, dall’impostazione ancora accademica e bezzuoliana, ma improntato da uno spirito già vicino alle nuove ricerche. Sempre in quell’anno Fattori incontra la donna che sposerà nel 1860 in prime nozze, Settimia Vannucci.

Nonostante l’impostazione sostanzialmente accademica fino al 1858 circa, Fattori subisce il fascino delle novità sul ton gris, introdotte da Serafino De Tivoli e Domenico Morelli al Caffè Michelangiolo al loro ritorno dall’Esposizione Universale di Parigi del 1855, ed aderisce a una nuova concezione del fare pittura basata sulla resa del “vero” nel chiaroscuro violento della “macchia”.
Nel 1859, affascinato dalla rivoluzione patriottica, grazie al passaggio del corpo di spedizione francese di Girolamo Napoleone attraverso Livorno, di cui fanno parte reparti di zuavi e turchi, e di cui segue le truppe, tra due ali festanti di popolo sino al pratone delle Cascine, a Firenze, ha la possibilità di dipingere impressioni sul “vero” ed abbozzare schizzi sui suoi tipici taccuini, dal vivo, osservando gli accampamenti dei soldati francesi, alla ricerca di un realismo di maggior sintesi rispetto a quello di altri suoi colleghi, come si può notare in alcune celebri tavolette dell’epoca.
Anno di svolta dunque il 1859 per Giovanni Fattori, anno in cui Nino Costa dopo avere visitato il suo studio in Piazza Barbano a Firenze ed avere osservato gli appunti di taccuino ed alcune tavolette, lo spinge ad abbandonare il quadro storico in costume che stava realizzando ed a cimentarsi in opere dal “vero” e di storia contemporanea, incoraggiandolo a dare inizio a quelle ricerche cromatiche e di luce, già sperimentate nel genere storico. Queste ricerche troveranno espressione immediata quando Fattori, alla fine del 1859, ottiene, in occasione del concorso indetto dal governo Ricasoli, la commissione del dipinto Il campo italiano durante la battaglia di Magenta che eseguirà negli anni 1860-1862 e che sarà esposto alla Promotrice Fiorentina, esempio di piena adesione alla realtà nel nuovo stile pittorico.
La serie dei quadri di battaglia prosegue con : Garibaldi a Palermo (1860), Carica di cavalleria a Montebello (1862), Garibaldi ferito ad Aspromonte (1863), gli studi intorno al passaggio del Mincio, Fanterie italiane alla Madonna della Scoperta (1864).
Nella primavera del 1863 la malattia della moglie Settimia, affetta da tubercolosi polmonare, lo obbliga a lasciare Firenze per tornare a Livorno dove è costretto ad un forzato raccoglimento.
Di questo periodo sono alcuni dipinti di scene militari di ampio respiro e di intensa espressività, nonchè ritratti nei quali raggiunge una profonda introspezione psicologica nella resa dei personaggi: Ritratto della prima moglie degli anni 1864-1865, Ritratto della cognata, Ritratto della signorina Siccoli, oltre ad alcuni quadri di paesaggi e scene di vita contadina quali Pasture del 1863 circa.
Agli anni 1865-1866 sono riferibili i capolavori Acquaiole livornesi, Costumi livornesi e Le Macchiaiole esposto quest’ultimo, nel 1866, alla Promotrice di Firenze.

Nel 1867, ad appena 31 anni, gli viene a mancare la giovane moglie e, come per compensarne la perdita e placare la profonda afflizione dell’animo, Fattori si applica alla pittura con rinnovato impegno, anche perché ha l’occasione di realizzare un’importante tela, cui aspirava da tempo, che diverrà uno dei suoi quadri più noti, L’assalto alla Madonna della Scoperta, grazie al concorso indetto nel 1866 dal ministro Berti per l’esecuzione di dipinti storici di grandi dimensioni. Tale opera fu acquistata nel 1871 dal Comune di Livorno e tuttora è conservata presso il Museo Fattori.
Il sodalizio di lavoro con il giovane Boldini lo avvicina al bel mondo borghese delle famiglie più in vista della città portandolo ad eseguire opere dal tono più mondano e a ritrarre con colori accesi signore che si riparano dal sole sulla spiaggia o che conversano amabilmente. Sono riferibili al 1866 circa, La Rotonda di Palmieri (1866), Signora all’aperto, Signora al sole, abbreviate, sintetiche tavolette, dove il ricorso alla “macchia” raggiunge i più alti esiti.
Nel luglio del 1867 Fattori viene ospitato dall’amico Diego Martelli nella sua tenuta di Castiglioncello dove si aggrega al gruppo di amici artisti quali Abbati, Sernesi, Borrani, Signorini, Cabianca ed altri, con cui dà luogo alla cosiddetta “Scuola di Castiglioncello”.
Giovanni Fattori, Terreno paludoso (1894); olio su tela, 74×204 cm, palazzo Pitti, Firenze Giovanni Fattori, In vedetta (1872); olio su tavola, 37×56 cm, collezione privata, Valdagno Giovanni Fattori, Barrocci romani (1872-73); tempera su tela, 21×31 cm, Galleria d’Arte Moderna, Firenze
Durante la sua permanenza e nei ripetuti soggiorni seguenti, tra il 1867 ed i primi anni Settanta, troverà innumerevoli spunti per le tematiche che saranno motivo centrale della sua produzione: lo studio dei bovi al carro, la concretezza della vita quotidiana, piccoli ritratti degli amici all’aperto eseguiti con tecnica modernissima (Diego Martelli a Castiglioncello, Ritratto dell’Avvocato Valerio Biondi, La signora Martelli a Castiglioncello) oltre a brevi tavolette di paesaggio (Pineta di Castiglioncello, Le botti rosse, Case e pagliaio).
Nel 1868 partecipa alle manovre di Fojano della Chiana dirette da Nino Bixio; ora nei suoi dipinti di soggetto militare si coglie un’attenzione diversa riguardo agli aspetti più quotidiani, una partecipazione ai momenti anti-eroici del soldato, e gusto per l’aneddoto nel descrivere i soldati fuori dai ranghi d’ordinanza. Di questo periodo è l’opera Accampamento d’istruzione a Fojano, nota soltanto da una fotografia ottocentesca.
Nel 1869 viene nominato professore corrispondente dell’insegnamento superiore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove annovererà tra i tanti allievi, Ruggero Panerai, Guglielmo Micheli, Plinio Nomellini, Mario Puccini e Oscar Ghiglia.
Tra il 1871 e il 1872, di ritorno da un primo viaggio a Roma, esegue il dipinto Mercato di cavalli a Roma in piazza Montanara, composizione molto complessa comprendente ben ottanta figure tra uomini ed animali, premiata, in seguito, all’Esposizione di Vienna del 1873 e a quella di Filadelfia del 1876 e che egli ritenne come una delle sue opere meglio riuscite, nota a noi purtroppo soltanto da riproduzioni fotografiche, perché andata perduta nel naufragio della nave, nel 1880, di ritorno dall’Esposizione di Melbourne.
Dal 1872 inizia inoltre a frequentare la villa di campagna di Francesco e Matilde Gioli a Vallospoli presso Fauglia dove dipinge tra l’altro, Ragazza che cuce in giardino, Vallospoli; nel 1875 si trasferisce a Parigi per visitare il Salon insieme agli amici Francesco Gioli, Egisto Ferroni e Niccolò Cannicci, ospite dell’amico Federico Zandomeneghi, dove rimane per poco più di un mese, traendo qualche suggestione senza mostrarsi particolarmente attratto dalle novità della pittura impressionista tranne che per i modi più classici di Manet.
Dal 1876 si applica al suo quadro militare di maggior impegno e di più complessa articolazione visiva, Il quadrato di Villafranca, detto anche Battaglia di Custoza, terminato nel 1880, acquistato nel 1883 per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; nel 1882, alla Esposizione Solenne della Società d’Incoraggiamento di Firenze, Fattori ha l’onore di veder acquistato dal re Umberto I il dipinto Carica di cavalleria, ora conservato presso la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, opera replicata dall’Artista stesso nella sua più impegnativa acquaforte (1883-1884), su incarico della Società d’Incoraggiamento di Belle Arti di Firenze.
Una fugace passione durata tre anni, dal 1880 al 1883, per la giovanissima istitutrice di casa Gioli, la diciannovenne Amalia Nollemberger, rinnova la sua vena creativa e lo spinge verso una pittura idillica che si esprimerà in opere quali Sosta alle cascine, Coperte rosse, Viale alle cascine, Gotine rosse. Costretto a troncare la sofferta relazione, fautrice di dissapori con la famiglia Gioli, l’Artista abbandona la campagna livornese per rivolgersi ad altri luoghi che diverranno testimoni della sua poetica futura fatta di soggetti campestri e maremmani : la tenuta della Marsiliana presso Grosseto, dove già era stato ospitato dal principe Tommaso Corsini nel 1882 e dove conosce la realtà selvaggia e rurale dei butteri, quindi Varramista presso Castel del Bosco a Pontedera, dove un discendente dei Capponi imparentato con i Corsini, il marchese Paolo Gentile Farinola teneva la residenza estiva, infine S. Godenzo nel Mugello, ospite dell’amico Gustavo Pierozzi.
Nasce in Fattori un nuovo gusto del paesaggio (La libecciata), una nuova partecipazione alla vita della natura, una visione più disincantata e amara di un mondo naturale che non conserva più nulla di idillico, ma che si presenta rude e talvolta crudele nelle impressioni colte alla tenuta della Marsiliana e a Varramista. Negli anni Ottanta dunque, grazie alla suggestione di queste esperienze e di questi luoghi, si appassiona all’illustrazione del sociale, dei costumi contadini, dei potenti butteri, con tematiche che troveranno sviluppo ne la Marcatura dei puledri in Maremma del 1881 esposto alla mostra di Venezia nel 1887, Mercato a S. Godenzo, presentato all’Esposizione di Belle Arti a Roma all’inizio del 1883, premiato nel 1889 a Colonia e insignito di menzione d’onore all’Esposizione Universale di Parigi, Il carro rosso e la bellissima tela Riposo, conservata a Brera.
Oltre ad insegnare presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze come professore onorario, negli anni Ottanta contribuisce all’educazione pittorica delle giovinette di buona famiglia, conquistandosi in tal modo la benevolenza di quella aristocrazia fiorentina che in passato l’aveva sempre disdegnato.
In questi stessi anni Fattori intensifica con grande profitto il linguaggio peculiare dell’acquaforte, a cui si dedica con intensa applicazione e passione, strumento fra i più adatti a rendere l’atmosfera di aspro e pessimistico naturalismo di quegli anni; grazie ad esso, raggiunge una nuova libertà d’espressione nell’uso del mezzo tecnico, dove il segno si fa inciso e scavato, composto con estremo rigore formale ma libero da schemi e anticipatore di tanti stilemi del Novecento.
Tra i diversi riconoscimenti, ottiene per gli anni 1901–1905, la nomina a membro della Commissione Artistica della R. Calcografia di Roma.
Nel 1891 sposa Marianna Bigazzi Marinelli, che frequentava già da tempo, per facilitare, con la formalizzazione dell’atto, le nozze dell’adorata figliastra Giulia con il pittore uruguayano Domingo Laporte; la donna morirà nel 1893 lasciandolo tra le braccia della futura terza moglie, l’amica di lei Fanny Martinelli, due donne alle quali Fattori dedicherà intensissimi ritratti (Ritratto della seconda moglie, Ritratto della terza moglie), oltre a quello di Giulia (Ritratto della figliastra), considerato uno dei capolavori della ritrattistica ottocentesca. Nel 1893, già avanti nell’età, esegue il grande dipinto Mandrie maremmane, conservato a Livorno presso il Museo Fattori e, sempre in quegli anni, il celebre Autoritratto realizzato nel suo studio; dal 1895 comincia a partecipare regolarmente alle Biennali Veneziane e si dimostra particolarmente attivo, ottenendo grande consenso da parte del pubblico anche internazionale, esponendo a Berlino nel 1896, nel 1897 a Dresda e nel 1900 a Monaco e a Parigi. Agli inizi del nuovo secolo esegue Cavallo morto, Mandriana trascinata da bove infuriato ed altri dipinti improntati da una vena malinconica.
Negli ultimi anni della sua vita svolge anche l’attività di illustratore di opere letterarie: La vita Militare di Edmondo De Amicis nel 1891, I promessi sposi nel 1895, La Divina Commedia nel 1900 e il Don Chisciotte di Cervantes.
Muore a Firenze il 30 agosto 1908 assistito dall’allievo Malesci nominato da lui erede universale; gli vengono tributati funerali solenni e la sua salma viene trasferita a Livorno, sepolta nel Famedio di Montenero.
Dal Catalogo “Giovanni Fattori tra epopea e vero. Omaggio nel centenario della morte” (Silvana Editoriale) pubblicato in occasione dell’omonima mostra a cura di Andrea Baboni.
20 aprile – 6 luglio 2008
Granai di Villa Mimbelli
ala espositiva del Museo Civico G.Fattori
via San Jacopo in Acquaviva
Livorno
Mostra promossa dal Comune di Livorno e dalla Fondazione Cassa dei risparmi di Livorno.
Ufficio Stampa: Studio Esseci
