Sia che disegni o dipinga o si dedichi alla scultura, Balena tende infatti e soltanto a costruire una metafora dell’esistenza nella sua parabola di vita e di morte, nel suo intreccio di oggettività e soggettività, nel suo flusso drammatico fra tempo storico e tempo naturale, tra libero arbitrio e ineluttabilità della natura.
Ecco perché, sulla complessità di una simile trama, non intende, in nessun caso, fare un discorso vago e approssimativo, bensì un discorso preciso e calzante, ricorrendo, appunto, alle immagini dei “tre regni”, dove la nostra vicenda si svolge fatale e insieme imprevedibile.
L’indagine analitica del girasole, degli uccelli, dell’uomo così come Balena la conduce è già di per sé parte integrante del traslato ch’egli elabora e propone.
Il metodo stesso, cioè, è già una metafora.
E in tale metodo, tra disegno, pittura e scultura non esiste differenza, ma identità, così come non c’è differenza, nell’intimità della loro sostanza, tra il mondo vegetale, animale e umano presi in considerazione.
Quelle di Balena, le sue immagini, sono quindi anatomie poetiche, non certo anatomie naturalistiche, anche se, al loro scopo, egli si serve proprio di un deciso rimando alla naturalità in cui ogni forma d’esistenza si determina e compie il suo ciclo.
C’è un’acuta tensione intellettuale in questa particolare indagine di Balena, c’è una lucida inquietudine, quasi un’ossessiva insistenza.
Si guardi il modo penetrante, talvolta freddo e tagliente, talaltra più addensato e aggressivo, con cui egli affronta di volta in volta i suoi temi: come incide le “teste” devastate dei girasoli, i loro gambi nodosi, le foglie, le radici; come, con raffinata tecnica e pungente perspicuicità, mette in evidenza, isola e sospende nello spazio filamenti, radichette, nuclei organici; come diventi significativo lo scheletro di un volatile disposto quale esemplare di museo dentro il traliccio di una teca.
Il cranio metallico del corvo armato del forte becco, accanto ad un altro cranio ligneo, in un gioco di arti disposti plasticamente all’interno di una gabbia espositiva, sono gli elementi che danno forma alla scultura più grande su cui, tra le tante altre prove, Balena ha maggiormente lavorato.
Non è che in questo lavoro egli non abbia avvertito varie suggestioni.
Al contrario, Balena ha filtrato consapevolmente l’intera cultura delle avanguardie, a cominciare dal dadaismo al surrealismo, ma da ciò ha ricavato una lezione che se ne distacca con altrettanta chiarezza.
Tale distacco si deve al suo assunto di assunto di fondo, che è appunto quello di inventare un’immagine che dia conto, che rappresenti la conflittualità dell’esistenza senza tremori, senza superstizioni o cabale varie, laicamente insomma, anche sapendo che in essa s’incontrano e s’aggrovigliano tanti insoluti problemi.
Mario De Micheli
(“I tre regni di Vincenzo Balena”,gennaio 1984)
Estratto dal catalogo edito dalla Galleria del Naviglio, Milano 1984: “Sculture di Vincenzo Balena”
Città di Castelfranco Veneto
Casa di Giorgione – Castelfranco Veneto (Treviso)
dal 2 al 24 ottobre 1993
testi di Mario de Micheli, Lea Vergine, Giovanni Raboni, Marco Rosci