Il genio oltre la musica. La parabola pittorica di Miles Davis

di Fabiana Maiorano.

Il genio oltre la musica. La parabola pittorica di Miles Davis

È il 1980 e il telefono di George Butler squilla: Miles Davis decide di formare una band e tornare in pista dopo un ritiro dalle scene durato ben 5 anni. La sua personalità irrequieta sembra averlo portato al tracollo, complici anche la tossicodipendenza e la depressione, eppure il Principe delle tenebre ritorna a soffiare nella sua tromba più agguerrito che mai, macchiando il purismo jazz con nuove sonorità funk, pop ed electro, contaminandolo con la musica di Prince e Michael Jackson.

La storia del talentuoso trombettista dell’Illinois si sovrappone alla storia del jazz, di cui è importante innovatore, genio ribelle che conquista il cuore del grande pubblico arrivando a diventare una vera e propria icona pop.

La sua parabola artistica, però, non si limita solo al campo della musica, perché gli anni del ritorno sulle scene lo avvicinano al mondo della pittura, già esplorato negli anni Cinquanta.

Non è un virtuoso, bensì un autodidatta che realizza tantissimi dipinti e disegni con accostamenti cromatici spesso azzardati e figure stilizzate, ma la mancanza tecnica viene colmata da un animo esuberante che continua su carta e tela le sue riflessioni sulla musica, con una coerenza poetica sempre orientata al cambiamento.

Un cambiamento che per Davis è terapeutico per fronteggiare i suoi problemi di salute, infatti nella sua autobiografia scrive che “l’arte tiene la sua mente occupata con qualcosa di positivo quando non suona”. Ecco dunque che la sua mano, accompagnata dalle lezioni di Jo Gelbard (artista newyorkese, sua vicina di casa che diventa poi la sua compagna), realizza forme rozze e astratte che con ossessione cromatica inglobano volti e figure molto vicini ai lavori di Basquiat, Kandinsky o Picasso, nonché ai mascheroni dell’arte tribale africana.

Miles Davis e Jo Gelbard e alcuni dipinti realizzati insieme
Miles Davis e Jo Gelbard e alcuni dipinti realizzati insieme. Fonte “Miles and Jo: Love Story in Blue” di Jo Gelbard

Il suo stile pittorico, spontaneo e vivace, debutta nel 1983 con la copertina dell’album Star People e questa sua prima incursione grafica sottolinea ciò che anni prima aveva espresso con la sua musica: il groove africano, cultura alla base della nascita del jazz.

Nel 1989 disegna insieme a Jo un autoritratto che firma “Amandla” e qui il connubio arte-musica è ben sottolineato da un uso più saggio dei colori e delle forme che, unitamente al titolo del disco, inneggiano la libertà di un popolo e di un artista il cui volto e la cui tromba sovrastano la mappa del Sudafrica.

Con un sottile rimando nel titolo alle manifestazioni politiche contro l’apartheid, “Amandla è il volto ribelle di Davis che sfacciatamente mostra al mondo le sue capacità di uomo e artista libero che sa adattarsi a molteplici linguaggi espressivi, che pone musica e pittura sullo stesso piano per raccontarsi e raccontare la storia, un eclettico la cui personalità è caratterizzata da ciclici adeguamenti agli stimoli del mondo.

Miles Davis – Amandla, 1989

Di Miles Davis, come di ogni grande artista che si rispetti, si conosce tutto e niente: penetrare nei suoi pensieri è prerogativa di pochi intimi (forse) e dove non arriva il nostro orecchio giunge l’occhio a supporto, per comprendere appieno l’altra faccia di un genio autentico che compone e scompone la musica, la modifica e la astrae con colpi di luce e figure dai colori sgargianti che come un suono dalla sua tromba, sembrano voler evadere dalla tela con un’arroganza primordiale che vuol gridare al mondo che anche i colori si possono ascoltare.

Immagine in evidenza: “Miles painting” from “Miles Davis. The Collected Artwork