di Teresa Lanna.
Questo articolo è parte della rassegna “Altre Ecologie – Quando l’Arte protegge il Pianeta“
Evento in partnership con “La Nuova Ecologia“

“Il momento di agire è adesso“: non è uno dei comuni slogan propagandistici ad effetto che vengono diffusi sui social network o pronunciati sovente, magari in prossimità di un appuntamento elettorale che coinvolge milioni di persone. Si tratta, piuttosto, di un imperativo categorico, ribadito puntualmente, a chiare lettere, da Extinction Rebellion: un movimento di disobbedienza civile internazionale e politicamente apartitico che si batte contro l’estinzione di massa ed il collasso climatico. Il gruppo utilizza tattiche di ribellione pacifica, quindi non violenta, per interrompere attività ordinarie, come ad esempio le normali routine lavorative, e così attirare l’attenzione sulla crisi climatica.

Extinction Rebellion (XR) nasce nel 2018, nel Regno Unito, ad opera di un gruppo di attivisti, tra cui Gail Bradbrook e Roger Hallam. La mattina del 31 Ottobre 2018, diversi cittadini britannici si radunarono in Parliament Square, a Londra, per rendere pubblica la Dichiarazione di Ribellione di fronte alla sede del governo inglese. Gli organizzatori, che non si aspettavano un numero cospicuo di persone, si trovarono di fronte a millecinquecento ribelli, riuniti insieme per quella che sarebbe diventata la prima azione di disobbedienza civile di Extinction Rebellion.

Nelle settimane successive, in seimila giunsero a Londra da ogni parte d’Europa, Italia compresa, per partecipare alla prima Ribellione Internazionale. In quell’occasione, i membri di XR misero in atto una serie di azioni pacifiche di protesta: bloccarono cinque ponti sul Tamigi, paralizzando, di fatto, il centro della città londinese; piantarono alberi a Westminster, seppellirono una bara, che rappresentava il futuro del pianeta, nel mezzo di Parliament Square; inoltre, si incatenarono ai cancelli di Buckingham Palace, scrissero una lettera alla Regina d’Inghilterra e, infine, cantarono e danzarono nelle strade della capitale del Regno Unito.
Nell’aprile e nell’ottobre del 2019, marciarono nuovamente a Londra; questa volta in diecimila; in seguito, a Parigi, Amsterdam, Madrid, Delhi, New York, Buenos Aires e in decine di città in tutto il mondo, subendo violenze, abusi di potere e migliaia di arresti che, però, non sono riusciti a scoraggiarli nel portare avanti la loro giusta causa.

In Italia, Extinction Rebellion nasce all’inizio del 2019, attraverso una decina di ribelli sparsi in tutta la penisola, che per mesi organizzarono presentazioni, volantinaggi, piccole azioni dimostrative per raggiungere quante più persone possibili e lanciare l’allarme sulla crisi climatica ed ecologica. Ora sono centinaia, da Torino a Bologna, da Napoli a Milano. Senza avere alcun leader, ogni nuovo gruppo rende il movimento più forte, fornendo nuove prospettive, saggezza, competenza, energia ed ispirazione.
XR ha sostanzialmente tre richieste principali, indirizzate ai governi; in primis, dire la verità sulla gravità della crisi climatica ed ecologica, comunicando in modo costante con tutti i media per informare il pubblico. Inoltre, agire adesso: i governi devono intraprendere azioni immediate e drastiche per ridurre le emissioni di gas serra e prevenire il collasso climatico, fermando la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità ed azzerando le emissioni di gas serra entro il 2025. Infine, andare oltre il sistema economico e politico attuale, che deve essere trasformato al fine di creare una società giusta e sostenibile. XR è stato criticato per le sue tattiche di disobbedienza civile, che alcuni considerano dirompenti e controproducenti. Malgrado le forti opposizioni, però, è diventato uno dei movimenti ambientalisti più visibili ed influenti al mondo.
Oltre ad esso, esistono tantissimi gruppi di attivisti ambientali che operano a livello locale, nazionale ed internazionale, facendo dell’arte uno strumento d’eccellenza della loro azione pro ambiente. Tra i più noti ed influenti, si possono annoverare: Inland, Cape Farewell, Dear Climate e Stop Shopping Church.
Ma andiamo con ordine, facendo una panoramica che non osservi necessariamente un criterio di natura esaustiva o cronologica, bensì semplicemente orientativa, frutto di una selezione di alcuni gruppi che, attraverso le loro attività ed esperienze, rendono l’idea di come l’arte e la cultura possano diventare strumenti di azione per il clima.

Inland è un collettivo artistico creato nel 2010, in Spagna, da Fernando García-Dory (Madrid, 1978), per ripensare, in modo collaborativo, le connessioni tra ruralità e cultura. Il movimento sviluppa una pratica che oscilla fra arte ed agro-ecologia per dare vita a strategie alternative di azione ecologica e rivitalizzazione rurale. Esso affronta vari problemi di un sistema che sta crollando a livello ambientale, culturale e finanziario, colpendo sia il pianeta che l’individuo, formulando strumenti critici ed applicandoli attraverso la pratica sperimentale. Inland si basa sulla premessa che il rurale offra uno spazio fisico e culturale per la generazione di diversi modi di vita che differiscano dal modello prevalente. Il movimento ha una sorta di manifesto fondato su tre parole: Arte, Agricoltura e Territorio, incoraggiando il recupero dei mezzi di sostentamento ed utilizzando tutti gli strumenti rappresentativi a sua disposizione per espandere, al di là dei contesti in cui interviene, ciò che viene prodotto nell’istante e nell’immediatezza del quotidiano. Il valore di Inland risiede nell’applicabilità del suo metodo, che promuove cellule in specifiche località rurali, alcune delle quali rimangono segrete, operando, nello stesso tempo, a livello sovranazionale, istituendo agenzie in diversi paesi per influenzare i quadri di politica agraria e culturale in Europa.

Tra il 2021 e il 2022, Fernando García-Dory partecipa al progetto Rethinking Nature, presso il Museo Madre di Napoli, che mostra la vitale importanza dell’arte contemporanea nell’ambito di una serie di processi culturali e politici in grado di ripensare collettivamente i fondamenti etici dell’esistenza nel mondo, facendo luce sulle forme di interconnessione che legano l’intero pianeta. Il progetto articola dei vocabolari creativi sperimentali volti a produrre forme alternative di conoscenza e di pratica sociale incentrate sull’ecologia politica, dimostrando l’urgenza di costruire relazioni basate su valori nuovi e di porre in atto un cambiamento radicale per affrontare una crisi che da tempo è presente in molte geografie. In occasione dell’iniziativa promossa dal Museo napoletano, García-Dory presenta un’installazione che prende spunto, in particolare, dalle attività di Inland nel nord della Spagna. L’opera, multisensoriale, mostra un paesaggio sonoro in cui il suono prodotto dalle api, che ha proprietà curative grazie alle sue frequenze, si intreccia ad un coro di donne impegnate nella pratica tradizionale di “raccontare alle api”, ossia narrare alle api la morte di membri della propria famiglia al fine di evitare ulteriori lutti. L’installazione diventa, così, un rifugio, una zona di comfort in cui sottolineare gli aspetti curativi che affiorano dalla collaborazione tra vari esseri viventi, in linea con gli ecosistemi simbiotici che Inland gestisce nel nord della Spagna, dove il collettivo ha creato nuovi apiari per proteggere le api e fornire agli abitanti miele, propoli e pappa reale. Ecco la dichiarazione dell’artista in occasione della presentazione del suo lavoro presso il Museo sito nel capoluogo partenopeo.

Passiamo a Cape Farewell. Correva l’anno 2001 quando David Buckland, artista, designer e film-maker, decide di fondare il movimento citato, del quale è, sin da allora, direttore. Cape Farewell è un programma internazionale no profit con sede nel Regno Unito che coinvolge talenti creativi, scienziati ed informatori, invitandoli ad appurare concretamente gli effetti del cambiamento climatico, raccontando la propria esperienza attraverso gli strumenti ed i mezzi a loro più congeniali: opere d’arte, esposizioni, pubblicazioni ed ausili didattici, al fine di mettere in luce i rischi che il riscaldamento globale porta con sé ed, inoltre, coinvolgere ed ispirare una società futura sostenibile, sollecitando una risposta culturale al problema.
Tra le esperienze artistiche scaturite dal progetto Cape Farewell, ne citiamo due: nello specifico, quella del romanziere Ian McEwan e quella della coreografa Siobhan Davies, entrambi membri della Cape Farewell Expedition del 2005 a Spitsbergen, nelle Svalbard, nel Mar Artico, insieme ad altri sedici artisti. Mentre il riscontro di Davies alla sua esperienza è un’opera che incarna l’idea di fragilità del corpo che aveva sperimentato nell’Artico, McEwan scrive Solar (2010), un romanzo satirico ed allegorico su un fisico avido ed egoista, vincitore del Premio Nobel, che si mostra completamente indifferente al disastro ambientale, affermando addirittura che molti, se non tutti, i pericoli ambientali siano frutto della fantasia o dell’esagerazione altrui. Il lavoro artistico di Davies è rappresentato da una proiezione in 3D, Endangered Species, in cui una ballerina, Sarah Warsop, danza all’interno di una teca museale, indossando un costume composto da lunghe aste flessibili, che si moltiplicano via via che la coreografia va avanti, limitando sempre di più i movimenti della danzatrice. Mentre, infatti, in un primo momento, queste bacchette sembrano ampliare i confini del corpo di Sarah, alla fine, invece, finiscono per restringere ed addirittura sopprimere la sua esile figura. Abituata ad usare il proprio corpo in maniera espressiva, Siobhan Davies si rende conto sin da subito di come le temperature sottozero dell’Artico limitino in modo considerevole la sua capacità di muoversi e respirare liberamente e la sua concentrazione si sposta esclusivamente sulle ossa, la pelle e il respiro. Il video di Davies è una metafora dell’impatto fisico ed emotivo dell’artista causato dalla sua esperienza vissuta nell’Artico, ma anche della vita condotta dagli animali rinchiusi negli zoo. L’elemento-chiave del romanzo di McEwan, al contrario, è l’ironia, che diviene strumento per prendere in giro l’equipaggio della Cape Farewell Expedition, e soprattutto per rappresentare l’antieroe Michael Beard, che prende parte alla spedizione ma che, in realtà, rimane fortemente sconvolto da essa, tanto da immaginare, pur temendo di morire per ipotermia, un suo collega che promulga il proprio necrologio in televisione, dichiarando: “È andato a vedere con i suoi occhi il riscaldamento globale“. Attraverso l’ironia, McEwan riesce a catalizzare l’attenzione del lettore, in particolare, su due grandi difetti dell’umanità: l’egoismo e l’incoerenza, che sono tra le principali cause della maggior parte delle problematiche ambientali. Ambedue gli artisti raffigurano il pianeta Terra come un ecosistema autonomo, il cui funzionamento non dipende dall’uomo, ma che l’uomo deve rispettare se vuole sopravvivere.




“The posters can be printed from your computer, hung up in your workplace cafeteria or school lunchroom, sheet-mulched into your neighborhood carbon capturing food forest or slipped into the magazine rack at a freeway filling station”.
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Nell’anno 2012 nasce Dear Climate; fondato da Una Chaudhuri, Fritz Ertl, Oliver Kellhammer e Marina Zurkow, è un progetto di ricerca creativa che, tra le altre cose, modifica le tecniche di meditazione per condurre spettatori ed ascoltatori ad avere una visione più informata e più realistica. Il movimento ha molte incarnazioni: poster, meditazioni guidate, installazioni, workshop, e così via. I membri attualmente attivi sono Una Chaudhuri e Marina Zurkow. Marina Zurkow tenta di operare una connessione tra persone, natura, cultura e disordini ambientali, con umorismo e nuovi modi di conoscere, connettersi e sentire. Lavora come membro fondatore di numerose iniziative, tra le quali Making the Best of It: Nimble Foods for Climate Change, Dear Climate, Climoji e Investing in Futures. È, inoltre, membro fondatore del collettivo teatrale Climate Lens. Tra le motivazioni che hanno spinto i membri del movimento a diventare attivisti c’è l’opposizione al potere schiacciante della loro “chiesa”, rappresentata, a seconda dei casi, dalle multinazionali, dal governo, o dalla polizia. La loro coscienza, a quanto affermano, è stata risvegliata dalla testimonianza diretta di episodi sempre più numerosi di crudeltà, consumismo ottuso, razzismo, omofobia e mancanza di rispetto per la Terra.

Stop Shopping Church, infine, è un movimento fondato a New York City, la cui missione è promuovere un messaggio di anticonsumismo, evidenziando gli aspetti negativi dello shopping eccessivo e il suo impatto sull’ambiente e sulla società. Guidati dal Reverendo Billy (interpretato da William Talen), il gruppo organizza manifestazioni pubbliche e spettacoli che spesso comprendono canti del Coro Stop Shopping. L’interesse dei membri va ben oltre il semplice shopping etico, sostenendo un cambiamento completo nel modo di concepire il consumo ed il nostro rapporto con il pianeta. Al centro della filosofia del gruppo, c’è la critica al consumismo sfrenato, visto come una forza distruttiva che alimenta l’avidità aziendale, sfrutta le risorse naturali e danneggia le comunità. I seguaci della Stop Shopping Church credono che la nostra ossessione per l’acquisto di beni materiali ci allontani dai valori fondanti della vita e ci renda complici di un sistema che privilegia il profitto a discapito della sostenibilità. Le loro azioni comprendono sermoni satirici, con Talen che, vestito da predicatore e accompagnato dal coro Stop Shopping Choir, inscena sermoni ironici e provocatori nei pressi di centri commerciali e grandi magazzini, criticando le tattiche di marketing aggressive e l’ossessione per il consumo. Inoltre, incursioni che vedono il gruppo entrare all’interno dei negozi ed interrompere le normali azioni quotidiane con canti, slogan e performance teatrali. Infine, proteste e manifestazioni. In occasione di eventi pubblici o lanci di nuovi prodotti, infatti, il gruppo organizza proteste creative per denunciare gli effetti negativi del consumismo e promuovere alternative più sostenibili, per un futuro più giusto e vivibile, invitando le persone a ridurre drasticamente i propri acquisti, a valorizzare i beni esistenti, a sostenere aziende etiche e ad impegnarsi in attività che favoriscano il benessere collettivo.
Il movimento nasce nel 1992 in risposta all’aumento dello shopping natalizio. Le sue manifestazioni, spesso, come anticipato, prendono di mira soprattutto grandi magazzini e centri commerciali, con azioni di disturbo che creano, inevitabilmente, non pochi disagi a clienti ed addetti ai lavori; tuttavia, il gruppo ha anche ricevuto elogi per aver sollevato importanti questioni sul consumismo e la globalizzazione.
“Il momento di agire è adesso“: come detto all’inizio, questo è uno degli imperativi categorici degli XR, uno dei tantissimi gruppi attivisti pro ambiente che sottolineano come l’azione collettiva sia essenziale, così come la condivisione di un obiettivo comune: prendersi cura del pianeta terra che ci offre ospitalità e che rappresenta, da sempre, uno dei più bei capolavori donatici gratuitamente, ma che, per alcune azioni poco rispettose nei suoi confronti, subisce danni sempre più gravi.
A questo punto, pare non ci sia aforisma più adatto di quello attribuito ad uno dei più grandi esponenti della Pop Art, Andy Warhol: «Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare».
Che sia da guida per ciascuno di noi, a partire dal più piccolo gesto quotidiano compiuto nel nostro sempre più frenetico vivere.
Teresa Lanna
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Extinction Rebellion_June 22nd 2020, Extinction Rebellion Bristol walk their ‘message cubes’ to College Green, Bristol (fonte Facebook)
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