di Giorgia Mocci.
Fabio Imperiale è un artista romano che si contraddistingue per l’adozione di uno stile unico, capace di emozionare con la scelta di soggetti pittorici particolari. Al centro della sua attenzione c’è l’universo femminile a cui ha dedicato molte opere. Si tratta di ritratti di donne che spesso sono riprese di spalle o di tre quarti con il viso coperto. Sono tutte figure meditative, contemplative e allo stesso tempo misteriose.
Con un tocco gentile e garbato l’artista romano riesce a restituirci uno spaccato di vita sociale in cui si affrontano temi importanti, come ad esempio l’empowerment femminile e la parità di genere, aventi un impatto sociale molto forte. Per dipingere utilizza materiali insoliti, come ad esempio il caffè, il bitume e l’inchiostro. Del caffè ama il colore, l’aura di romanticismo che emana, del bitume gli piace l’aspetto terreno che lo lega alle miniere presenti in Abruzzo, in cui spesso si reca.
Fabio Imperiale è nato nel 1981 a Roma. Sin da piccolo mostra interesse per il disegno e da adulto scopre l’amore per la pittura a cui si avvicina dopo aver conseguito il diploma presso l’accademia di grafica. Inizialmente si interessa a dei soggetti pittorici molto particolari come le folle in un paesaggio urbano dinamico. Successivamente si cimenta nella pittura di figure solitarie che si trovano spesso in luoghi indefiniti e sconosciuti. Nelle sue ultime opere ritrae esclusivamente donne e utilizza supporti spesso insoliti, come ad esempio le cartoline, le buste da lettera, le mappe e su di essi getta le basi per i suoi lavori con cui inizia a farsi strada nell’ambito artistico nazionale e internazionale.
L’intervista
[Giorgia Mocci]: Nel corso degli anni come hai definito la tua tecnica artistica?
[Fabio Imperiale]: Io sono autodidatta e questo sicuramente ha influito sul mio modo di apprendere sia da giovane sia nel corso degli anni… quindi ho appreso principalmente sperimentando, perché non ho una formazione artistica, soprattutto negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Ho vissuto in un ambiente totalmente avulso dal mondo dell’arte. Ci sono arrivato tardi e piano piano ho recuperato un po’ di tempo perduto costruendo il mio bagaglio culturale e tecnico studiando da solo, sperimentando e provando. Ho frequentato un corso di grafica che mi ha aiutato nello studio della fotografia, a sviluppare un certo tipo di sguardo e d’attenzione. Ho frequentato l’Accademia di Belle Arti per pochi mesi, avevo già 26 anni, facevo il grafico e avevo poco tempo a disposizione.
Prima di definire lo stile e le tecniche della tua arte, hai avuto qualche mentore che ti ha aiutato a crescere professionalmente? Se si, che influenza ha avuto nel tuo percorso lavorativo?
No, non ne ho avuti, in tutta la mia fase di sperimentazione sono sempre state importanti le mie conoscenze: colleghi, colleghe, amicizie. Nel corso degli anni mi è capitato di imbattermi in persone, in opere o in materiali che sono stati per me dei mentori, catturandomi, facendomi sentire un senso di appartenenza. Queste esperienze fanno parte del mio bagaglio culturale e formativo. Non ho avuto mentori veri e propri.
Ci sono stati dei momenti importanti o significativi nell’ambito della tua carriera artistica che ti hanno condotto al successo?
I momenti importanti per me sono stati pochi, ma molto significativi. Nell’ottobre del 2004, quando ho steso i colori ad olio sulla tela per la prima volta per pura curiosità… è stato subito un colpo di fulmine, un innamoramento. Non sono mai riuscito a descriverlo in un altro modo. Questa è stata la prima volta che ho iniziato a dipingere. Nel 2009, quando per la prima volta ho venduto un’opera mediante una Galleria per un prezzo abbastanza importante. Questo è stato un momento molto importante, perché mi ha fatto capire che posso vivere d’arte, riuscendo a raggiungere l’indipendenza economica. In quel momento ho pensato che ce l’avrei fatta. Nel novembre 2012, quando ho avuto la mia prima mostra personale in Galleria che era il punto di arrivo di anni molto intensi di lavoro e di sperimentazione. Si tratta di una mostra frutto di anni di lavoro e sacrifici. Da quel momento ho iniziato a vivere d’arte, lasciando il mio lavoro di grafico. Un altro momento importante è stato quello del Covid, in quanto venivo da anni troppo uguali durante i quali dipingevo molto, vendendo, sentendomi affaticato sul piano della ricerca. Durante il Covid mi sono fermato e ho deciso di rallentare la produzione creativa, in quanto le opere hanno bisogno del tempo necessario per la loro realizzazione ed elaborazione. Di lì a poco ho ideato un progetto che ho proposto alla Galleria Cris Contini Contemporary che ha accettato. Due anni e mezzo dopo, il momento della mostra è stato un punto di arrivo molto importante.
Nell’ambito della tua carriera, quali sfide creative hai dovuto affrontare? Hai mai avuto momenti di blocco artistico nel tuo percorso?
I blocchi artistici esistono sempre, fanno parte della vita, del lavoro. In passato la prendevo molto male, dicendo che non avrei mai più avuto voglia di dipingere. Dopo aver capito la dinamica, ho iniziato ad accettare questi periodi di blocco. Ogni blocco è sempre stato una sfida. Soprattutto Marginalia è stata una sfida sotto vari punti di vista ed è stato il motivo per cui ho ideato questo progetto: per mettermi alla prova.
Parliamo della tua mostra presso la Fondazione Luciana Matalon, “Marginalia“. Esiste un significato nascosto dietro il suo nome e in che modo la sua denominazione si rifà alla storia delle donne ritratte?
Il nome Marginalia non si rifà alle storie delle donne ritratte, perché non conoscevo la loro esistenza. Si rifà al modo in cui io sono entrato in contatto con la loro quotidianità. I Marginalia sono appunti e scritte che venivano riportati accanto a un testo e che esistevano prima dell’invenzione della stampa. Si tratta di riflessioni che le persone riportavano in un testo. Questo progetto si chiama Marginalia perché ho pensato di muovermi all’interno delle storie delle donne, restando ai margini.
Il corpo femminile viene da te rappresentato con grande delicatezza e garbo nelle opere esposte in Marginalia, eppure dietro di esso sono celate delle storie femminili molto significative e capaci di raccontare temi di forte impatto. Vuoi approfondire questo aspetto?
Il modo in cui rappresento il corpo femminile con garbo e delicatezza riflette il mio modo di dipingere. Credo che nel mondo sia molto importante approcciarsi all’altro con garbo, delicatezza e rispetto. Si tratta di cose semplici che, se venissero attuate, farebbero la differenza. Le storie delle donne rappresentate in Marginalia sono state scelte per due aspetti: uno è un aspetto narrativo legato a una parte scritta. Dovendo raccontare 20 storie, abbiamo cercato di sceglierle differenti tra loro. La forza di Marginalia, infatti, è il racconto complessivo, lo sguardo generale che si può avere su un piccolo spaccato di universo femminile. La singola storia interessa molto relativamente; ciò che si deve percepire è che si tratta di storie molto diverse e significative tra loro. Il secondo aspetto è la motivazione sociale, soprattutto in un momento storico come quello attuale, anche se prevalentemente io ho voluto dare un significato artistico alla mostra. Sono consapevole però del fatto che l’arte ha questo potere: affrontando le storie di 20 donne, sono state raccontate tematiche molto impegnative e molto forti legate a concetti come l’autodeterminazione e l’empowerment. Immaginavo che la mostra potesse riguardare certe tematiche e di questo ne sono lusingato. È iniziata in un periodo in cui la tematica della violenza contro le donne è diventata centrale in seguito all’omicidio di Giulia Cecchettin; pertanto, non volendo, ha acquisito una connotazione sociale.
Per dipingere i tuoi ritratti e le tue opere, utilizzi materiali molto particolari, come il caffè, il bitume, l’inchiostro. Perché li hai scelti?
Li ho scelti in primo luogo per motivi istintivi ed estetici. Il tipo di tonalità, di colore del caffè e del bitume si prestano molto bene, perché sono i colori della memoria, della nostalgia, del romanticismo e perché rappresentano il mio modo di vivere, di dipingere. Parlando dei supporti specifici su cui dipingo, queste tonalità sono l’ideale per creare un contatto tra la pittura e il supporto, tra il mio intervento e il tempo. Dipingere con il caffè è romantico e mi piace il suo aroma. Mi piace il bitume perché è un elemento molto terreno che mi lega alle miniere di bitume del Gran Sasso in cui spesso mi reco.
In un mondo in cui le donne sono spesso vittime di una società maschilista, tu che atteggiamento assumi, considerando che molte delle tue opere artistiche sono dedicate proprio al mondo femminile e a temi di forte impatto come la parità di genere e l’empowerment femminile?
Io sono per l’uguaglianza tra uomini, donne e generi . Non credo nei confini territoriali e sono una persona molto aperta su questi temi. La lotta attuale per la parità è una battaglia importante, ma allo stesso tempo pericolosa che deve essere fatta in modo giusto. Ciò che mi è piaciuto, in legame al mio progetto, è il modo in cui la mia opera si lega al contesto sociale. Questo aspetto mi ha condotto ad assumere un atteggiamento autocritico sulla questione. Mi sono sentito caricato di una responsabilità in merito, ho intensificato il mio legame con l’attualità. Avere un atteggiamento positivo e moderato sulla questione del patriarcato è determinante soprattutto per gli uomini in tal senso.
Che progetti hai per il futuro?
Marginalia non finisce qua… la mostra è stato un fantastico punto di partenza. Non posso dirti nulla, ma ti posso dire che Marginalia non finisce qua.
Riferimenti
Fabio Imperiale official website
Copyright
Tutte le immagini © Fabio Imperiale – Courtesy Cris Contini Contemporary
Immagine in evidenza
Fabio Imperiale, Posare gli occhi – (Piemonte), 2022, caffè e bitume su cartoline antiche su tavola cm 99 x 96. Courtesy Cris Contini Contemporary