Il tempo sospeso dell’altrove. Intervista a Salvo Rivolo

di Mariateresa Zagone.

Il tempo sospeso dell'altrove. Intervista a Salvo Rivolo

Salvo Rivolo è nato a Palermo nel 1983 dove ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti. Nel corso degli anni, spaziando fra il disegno, la pittura e l’incisione ha affinato il proprio stile cominciando a plasmare una realtà progressivamente sempre più onirica.
Una delle caratteristiche principali dell’arte di Rivolo è il dialogo impattante dell’immagine col proprio supporto e lo studio dello stesso, dai vecchi quaderni ingialliti alle cartoline, dalle ricette mediche alla carta oleata di uso alimentare.

Da quando ho curato la sua prima personale messinese presso l’Art Gallery Fadibé nel 2019, caratterizzata soprattutto da piccoli ritratti di uomini e donne esemplari per il loro peso nella storia, l’artista ha proseguito la ricerca accelerando in particolar modo sul tasto della “sospensione del tempo”. Si trattava, allora, di delicatissime miniature, di ritratti di uomini e donne il cui pensiero e il cui agire, erano in palese ossimoro con il supporto dal quale prendevano vita sospesi come apparizioni, come guide silenziose e meditabonde al nostro incerto incedere smarrito.

Camille Claudel, Gustav Klimt, Virginia Woolf, Amelia Rosselli, Leonardo Sciascia, sono solo alcuni dei personaggi dalle cui foto Rivolo aveva tratto immagini che parlavano sia al nostro senso estetico che a quello etico, luminose presenze, icone di una religiosità laica che sembravano originarsi dai più svariati supporti.

La sua ricerca lo ha progressivamente portato alla resa onirica e irreale di scene spesso notturne e collettive, di rituali intorno a fuochi accesi sotto la volta stellata dall’atmosfera decisamente nordica, di consessi che ricordano Sabbah senza tempo i cui convenuti, uomini e animali, sembrano attendere un segnale, un momento, un qualcosa che possa giustificarne la riunione. I personaggi che popolano le sue tele sembrano venire fuori dalla mitologia celtica o germanica, attori trasognati che popolano notti cianotipiche che incombono su una terra e una natura arcane e piene di mistero.
Mariateresa Zagone

Salvo Rivolo – La cerimonia del fuoco, cm 100×160,mixed media on paper, on wood, 2022

L’intervista

[Mariateresa Zagone]: La domanda più frequente che ti viene posta è relativa al colore rosa che molto spesso utilizzi. Non partirei quindi da questa domanda. Mi interessa invece conoscere il legame fra il supporto e l’immagine. Credo infatti che nelle tue opere questo sia molto presente, quasi la scaturigine stessa dei tuoi dipinti e disegni. Ce ne vuoi parlare?

Salvo Rivolo

[Salvo Rivolo]: Si, in effetti questa è una domanda molto frequente. I colori che utilizzo nei miei lavori hanno sempre incuriosito. Io, come tanti artisti del passato, mi servo delle risorse autoctone del luogo in cui mi trovo in quel momento per realizzare un’opera.
In quel caso si trattava di una semplice carta alimentare rosa, di quelle che si utilizzano nelle macellerie di tradizione sicula, e mi ha incuriosito provare ad utilizzarla come supporto/fondino. In passato come ben sai, i miei lavori hanno giocato molto con supporti anche tra i più insoliti, mentre per quanto riguarda le mie ultime opere, sono tornato alla tela nel senso più tradizionale del termine. Molto dipende da ciò che voglio raccontare in quel dato momento.

La phantasia non è altro che l’immagine interiore. Da dove nascono i soggetti delle tue opere e che ruolo hanno, appunto, le tue immagini interiori, il tuo vissuto o ciò che materialmente vedi?

Ogni lavoro che realizzo non è mai connesso ad un’idea chiara e nitida, al contrario, mi piace trarre spunto, ad esempio, da letture o dalla visione di alcuni Film. Una grande fonte d’ispirazione è sicuramente tutto ciò che mi capita intorno nel quotidiano, che appunto sotto forma di schizzo, visioni del tutto casuali. Dopo una prima messa a fuoco e una serie di rielaborazioni di quello che prende forma attraverso l’immaginazione, trasferisco tutto sui miei dipinti, attraverso una trasposizione pittorico-emotiva.
La figura del puer è un’immagine che persiste nelle mie opere, sotto la potente influenza di Carl Gustav Jung e i suoi studi delle figure archetipiche della psiche umana. Parlo di quel concetto che ruota attorno all’eterno fanciullo, di quel bambino interiore che in ognuno di noi, non smette mai di esistere, influenzando il processo di evoluzione emozionale di ciascun essere umano. È qualcosa di estremamente intimo per me e arduo da esplicitare, tanto a parole quanto attraverso il medium della pittura. Da qui la mia scelta di inserire la figura del fanciullo all’interno di paesaggi onirici: il limes tra la dimensione reale e quella più interiore è sfocato, ma creando una profonda commistione tra la spinta che proviene dall’istinto e le sensazioni che ne derivano, cerco di condurre chi osserva l’opera, ad aprire delle finestre tra poesia e realtà.

Quando ti sei accostato alla pittura?

Posso affermare che la mia passione per l’arte sia nata insieme a me. Fin da quando ero un bambino, i miei genitori mi portavano a visitare aree archeologiche e musei e alla visione di quegli splendori dell’arte antica, fin da subito ho compreso che c’era qualcosa di affascinante e speciale che mi attraeva e incuriosiva, curiosità che assecondo tutt’oggi con grande impegno, infatti per me senza la curiosità e la scoperta, non ci potrebbe essere il racconto e la trasposizione artistica. Non mi ispiro a nessuno, ho sempre guardato la pittura e il disegno dei grandi artisti da ammiratore, ma credo che sia sbagliato ispirarsi a qualche artista del passato: tutto va osservato, tutto va rielaborato, ma tutto ciò che si vuole comunicare deve essere sempre nuovo.

La tua pratica del disegno è giornaliera e continua, quasi meditativa ed autoanalitica. Ce ne vuoi parlare?

É una pratica che non va mai messa da parte, questo è un errore che fanno in molti, prediligendo la pittura.
Credo che disegno e pittura abbiano un collegamento strettamente sentimentale, bisogna dedicare del tempo al disegno come pratica quotidiana, per me esso è l’anima della pittura.

Il genere del ritratto ti accompagna da sempre. All’inizio erano soprattutto immagini di uomini e donne dalla vita paradigmatica, come volessi sottolinearne il valore e indicarlo come esempio. E’ così?

Il ritratto mi ha sempre incuriosito, ti offre molte possibilità di resa, è elemento portante della mia pittura, mi affascina studiarlo, sia tecnicamente che poeticamente.
Non ho mai smesso di eseguire ritratti, mi danno la possibilità di connettermi emotivamente con il soggetto, connessione che può avvenire anche tra soggetto ritratto ed osservatore, chiaramente ognuno a suo modo, in maniera intima e personale.

Hai scelto la figurazione, e della figurazione hai scelto la figura umana come soggetto principale, ma chi sono i tuoi uomini, gli adolescenti, i bambini protagonisti delle tue opere?

I protagonisti delle mie opere nascono dalla mia sfera personale e piuttosto intima. Credo che il mio percorso di vita abbia inciso in maniera radicale sulle mie scelte stilistiche e, più in generale, sul mio modus operandi. In particolare sono le difficoltà che ho incontrato durante il mio cammino che hanno condotto la mia ricerca artistica verso una profonda trasformazione tutt’ora in itinere. Mi riferisco al fatto che alcune situazioni più o meno spiacevoli vissute sino ad oggi, mi hanno portato verso un possibile scenario nel quale superare tali eventi attraverso una sorta di catarsi, ottenendo così solo puro godimento sperimentale.

Anche il mondo dell’infanzia, della scuola e dei giochi, filtrato dalla memoria o dal sogno, popola le tue opere, soprattutto quelle di formato più grande in cui le figurine si animano in prospettive lontanissime e scorciate. Parlaci di questi mondi.

Ci tengo a precisare che i quadri con questo tipo di raffigurazioni, appartengono a vecchie produzioni. Sono opere che guardano ad un passato fatto di suggestioni, di riflessioni e di incontro, hanno inoltre la capacità del sogno di accompagnare lo sguardo oltre il reale.
Costruisco la scena con un’impronta incisiva e realistica in cui il disegno, la grafite, la pittura, la superficie della scena e tutto ciò che è riverso sull’opera, concorrono a interpretare un ruolo, una scena immaginifica trascritta attraverso il segno grafico

Il tuo linguaggio è stato spesso definito “sociale”, ti ci ritrovi in questa “etichetta”?

Il carattere sociale o di “denuncia” nelle mie opere sono gli altri a vederlo in realtà, io intendo, come dicevo in precedenza, raccontare tutto ciò che vivo, osservo, sento e vedo con il mio sguardo, elementi che si trasformano in ricerca e che chiaramente rispecchiano il tempo in cui vivo, quindi può esserci qualche elemento sociale ma in maniera del tutto inconscia.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Amo la poesia in tutte le sue forme, in particolare quella di Salinas e Sandro Penna. Qualche anno fa inoltre, ho scoperto Gabriele Galloni, poeta morto in età molto giovane, in lui rivedo molti elementi della mia poetica, soprattutto quella dei miei lavori più recenti.

La frase più fastidiosa che ti sei sentito dire circa il tuo lavoro?

“I tuoi lavori sono belli, ma sono inquietanti”, la frase più scontata al mondo, pronunciata a mio avviso da qualcuno che probabilmente non ha la minima cultura e capacità di saper leggere un’opera.
In ogni caso non ho paura di essere inquietante, anzi, mi identifica e si diversifica da un’arte sempre più omologata.

La descrizione più calzante del tuo lavoro?

“Un magnifico ossimoro. Salvo ci accompagna dentro scenari incerti, sospesi e meravigliosi sovrastati da assordanti silenzi e immobilità.”
Questa non è mia, ma è una delle frasi più belle e calzanti che abbia mai letto sul mio lavoro.

Cosa pensi, in generale, del “sistema dell’arte”?

Penso che oggi la situazione sia imprigionata in una sorta di stallo. Non vedo evoluzioni, non vedo più entusiasmo, o mecenati, o investimenti sulla cultura. Credo che sia un sistema che dovrebbe essere un po’ risvegliato, svecchiato, alleggerito, allo stato attuale è come se non ci fosse futuro per le nuove leve e la tecnologia ci abbia fagocitati anziché aiutarci a migliorare. è come un’involuzione dell’evoluzione.

Quali artisti e/o quali correnti hanno segnato maggiormente il tuo linguaggio?

Anche qui, non ho dei nomi in particolare, diciamo che la pittura di Francisco Goya, William Blake, Rembrandt, Piranesi e tanti altri.
Il Manierismo è un momento artistico che reputo straordinario, anche il neoclassicismo per certi versi ha contaminato il mio operato.

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Non ho un nome in particolare, ho collaborato con molti curatori, tutti con caratteristiche differenti ma in armonia con le mie corde. Mi auguro che i prossimi con cui avrò a che fare sapranno sposare i miei progetti rispettando empaticamente il mio lavoro

Ci vuoi parlare dei tuoi prossimi progetti?

Attualmente sono impegnato per due eventi in programma (che si svolgeranno nel mese di marzo rispettivamente al Superstudio Maxi di Milano per UnFire 2023 e una mostra tripersonale allo SpazioIf di Palermo, che mi vedrà confrontarmi con due artiste della mia città: Daniela Balsamo e Floriana Romeo), quindi attualmente mi sto occupando di questi eventi piuttosto che progettare altra produzione. Sicuramente da aprile sarò impegnato nella realizzazione di nuovi cicli pittorici nei quali ad accompagnare la figura umana sarà presente la natura.

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Immagine in evidenza: Salvo Rivolo – Oltre le differenze, 50×70 cm, oil on paper, on wood, 2021 (part.)