di Francesco Palumbo, Avvocato in diritto penale
É tendenza e non solo moda, l’incontro tra senso estetico e contenuto economico. Infatti, acquirenti eleganti ed imprese di successo valorizzano sempre più le loro pareti con falsi d’autore. Come anche strutture, B&B, case vacanze, alberghi, che accoglono ospiti e visitatori in camere trasformate in vere e proprie gallerie d’arte. Una nuova strada per possedere l’arte nella sua forma di espressione più valida. È possibile quindi, mentre si è persi nell’estasi delle immagini dipinte su tela, che siamo a rimirare un falso. Anche perché, avere nella stessa catena alberghiera o uffici, dislocati per il mondo, un identico Torre Rossa di De Chirico, Kandinsky o La Persistenza della Memoria di Dalì, è una impresa ardua.
In Italia, le varie ipotesi delittuose, in tema di contraffazione di opera d’arte, sono state raccolte dall’art. 178 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la cui applicabilità, va intesa a tutte le contraffazioni di opere d’arte, incluse le opere di autore vivente ed aventi meno di cinquant’anni e non solo quelle che riproducano beni culturali. Pertanto, bisogna differenziare, prima di tutto, la contraffazione, che consiste nell’imitare un’opera per venderla come originale: questo è il reato classico di falso; l’alterazione, consta nel modificare l’essenza di un’originale agendo su di essa; la riproduzione, consiste invece nella riproduzione tecnologica delle copie di un’opera originale che poi si tenta di vendere per autentica; è questo il caso delle litografie, serigrafie, xilografie, ecc.
Discorso diverso meritano i multipli, copie duplicate da una matrice originale. La moltiplicazione diventa reato soltanto quando la tiratura delle copie non è autorizzata e firmata dall’autore, ma reca la firma apocrifa.
Orbene, la prima ipotesi, prevista dall’art. 178 del codice dei beni culturali e del paesaggio punisce tutti coloro che, al fine di trarne profitto, controffacciano, alterino o riproducano un’opera di pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico. Trattasi quindi di reato comune, potendo essere perpetrato da chiunque, ma affinché si configuri, necessita dell’elemento soggettivo del dolo specifico. Quanto all’elemento materiale, non vi è distinzione in ordine alla tipologia dell’opera pittorica, grafica, scultorea, etc. o alla tecnica adoperata per la sua realizzazione; indifferente il numero delle copie fatte e messe in circolazione. Va segnalato come la Suprema Corte esclude l’antigiuridicità della condotta al fine della contestazione di questa figura delittuosa laddove il soggetto abbia realizzato e messo in circolazione una o più copie di opera legittimamente posseduta, essendo stata prospettato in tale eventualità solo un problema di tipo civilistico, correlato alla tutela del diritto di autore.
La normativa punisce non solo chi falsifica un’opera d’arte, ma anche chi pone in commercio o detiene per farne commercio o introduce nel territorio dello Stato come autentiche, opere contraffatte, alterate o riprodotte; pur trattandosi di tre tipologie diverse, esse determinano gli stessi effetti sul piano penale, purché il soggetto agente sia consapevole della non autenticità del bene alienato, agendo così con dolo. Si tratta, quindi, di reato comune, poiché, e di figura criminosa che assume carattere permanente nel caso della detenzione preordinata alla vendita. Dalla giurisprudenza inoltre, è stato configurato di merito e di legittimità, il concorso formale con i reati di truffa e ricettazione previsto dall’art. 648 c.p. in quanto non si configura un concorso apparente di norme incriminatici, mancando il requisito della stessa materia di cui all’art. 15 c.p.; le due condotte infatti sono diverse, la prima consiste nell’acquisto e più in generale nella ricezione di cose provenienti da reato, mentre la seconda nella detenzione per vendita o nella messa in circolazione di beni o marchi con segni contraffatti. In tal modo, le due azioni non sono contestuali, dal momento che l’azione raffigurata nella prima norma è istantanea, mentre la detenzione a fini di vendita è permanente ed interviene successivamente. Nell’ipotesi di vendita di un dipinto d’autore con falsa firma, il delitto di ricettazione concorre con quello di messa in commercio di opere d’arte contraffatte; infatti la ricettazione ha quale interesse giuridico tutelato quello di impedire la circolazione di cose provenienti da delitto, mentre il delitto previsto dall’art. 3 L. n. 1062/71 protegge l’interesse alla regolarità ed onestà degli scambi nel mercato artistico e dell’antiquariato.
In base all’art. 64 comma 1 del t.u. dei beni culturali e del paesaggio coloro che esercitano il commercio di opere d’arte, oltre a dover denunciare l’attività commerciale all’autorità di pubblica sicurezza e annotare giornalmente, su apposito registro, le operazioni commerciali, hanno l’obbligo di fornire all’acquirente la documentazione attestante l’autenticità o almeno la probabile provenienza o un documento recante tutti i dati disponibili sull’autenticità o la probabile provenienza.
Relativamente a queste disposizioni bisogna chiarire sui contenuti delle ultime fattispecie contemplate dall’art. 178 lettere e) e d) siamo in presenza di reati in cui l’elemento psicologico è il dolo generico; la condotta tenuta dal venditore assume rilievo anche ai fini civilistici, come causa di risoluzione del contratto. La buona fede del venditore di un’opera d’arte erroneamente attribuita ad un determinato autore non ne esclude, di per sé, la colpa, se non sia in concreto provato, che l’errore avrebbe potuto essere evitato con l’ordinaria diligenza.
Il secondo comma dell’art. 178 fa emergere un’aggravante del reato con la conseguente interdizione, nel momento in cui i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività commerciale; tale sanzione pare dunque possibile nel caso in cui l’attività venga svolta non solo saltuariamente, ma a livello professionale. Salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato.
Dunque, il falso d’autore non è reato, quando viene dichiarato espressamente come tale. In pratica, serve manifestare chiaramente all’atto della vendita o della esposizione che le opere non sono autentiche, mediante appunto scritto sull’opera o, quando non è possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell’imitazione, mediante dichiarazione rilasciata all’atto della esposizione o della vendita. Un vero e proprio “certificato di falso d’autore”, insomma.
Francesco Palumbo
Avvocato in diritto penale.
Studio: Via D. Scaramella 15/bis, Salerno
Tel: 349 7781080
Immagine in evidenza: “Han van Meegeren nell’ottobre 1945 mentre dipinge un falso Vermeer” di Koos Raucamp (ANEFO) – GaHetNa (Natiionaal Archief NL), CC BY 4.0