La leggerezza faraonica del New MoMa

La_Leggerezza_Faraonica_Del_New_Moma_02L’arte e i suoi capolavori abitano luoghi invisibili nella rarefatta leggerezza del New Moma.
Nel 1929 per volere dei Rockefeller e di alcuni magnati dell’industria e dell’editoria, come Goodyear e Crowninshield, una perla incastonata tra Fifth avenue e la cinquantasettesima , iniziò a risplendere l’iridescenza dell’arte contemporanea.
Ben presto divenne lo spazio artistico dei grandi numeri, dei grandi nomi e dei grandi flussi di visitatori.
Cambiano le esigenze e il Moma si adegua con spazi espositivi corrispondenti a criteri architettonici – gestionali in grado di soddisfare gusti e tendenze.
Il trasferimento dopo soli due anni d’attività, qualche isolato più a sud, assume per l’istituzione Moma, una doppia valenza simbolica.
La conferma del successo, nato nel segno della qualità professionale e della sintesi culturale – interpretativa e l’evoluzione costante di un percorso artistico, che continua, oggi più che mai, a rappresentare una meravigliosa scatola di emozioni.
Gli interventi d’ampliamento e ricostruzione, vengono affidati ai più grandi architetti da Philip L. Goodwin, a Edward Durell Stone e Cesar Pelli.
Tutti, hanno scolpito lo spazio nel rispetto dell’arte intesa come scrigno della conoscenza da vivere nell’atemporalità della rinascita.
Conclude la schiera Yoshio Taniguchi. Granito, marmo, rovere, alluminio e cristallo danzano in 65mila metri quadrati, magistralmente orchestrati da una gen qialità perfettamente in bilico tra intuizione creativa, ordine matematico e soluzioni audaci.
Una metamorfosi della materia in percezione prospettica che fluttua verso il vuoto, punti di fuga che collocano l’opera d’arte nella leggerezza invisibile e nella trasparenza dell’aria, per respirare all’unisono con il mondo circostante.
Accordi e armoniche melodie baluginano nell’infinito e dall’infinito in una struttura agile, dove l’immensità è riverberata con discrezione, la dinamicità strutturale calcolata e rigorosamente lineare.
Un tempio per servire l’Arte, per coglierne gli aspetti più intimi e nascosti.
Tagli netti, finestre e aperture sviluppate in una concretezza librata e avvolgente, che traspira arte, che fa intravede “ La danza “ di Matisse da una balconata in cristallo, che segue un percorso comunicativo con la sala successiva anticipando la grandiosità delle “ Ninfee” di Monet.
Un museo dove l’esposizione è anima, centro nevralgico, cuore pulsante dentro il quale fluttua lo spirito dell’artista e del visitatore in una simbiosi libera da ombre e discutibili giochi architettonici che possono solo ostruire il dialogo con l’arte.

Antonella Iozzo