La Natura come medium espressivo. Panoramica di artisti che utilizzano il mondo vegetale nella propria arte

di Francesca Piperis.

Ciò che negli anni Cinquanta nasce come necessità di far coincidere lo spazio fisico con quello artistico, si evolve nel corso dei decenni sino all’introduzione dell’ambiente vegetale all’interno di questa corrente sperimentale.

Il fiore, l’arbusto, il ramoscello, l’intera pianta divengono a partire dai primi anni Settanta parti integranti del minuzioso lavoro creativo dell’artista. Nei decenni seguenti, sono numerose le opere d’arte che vedono protagonisti elementi vegetali: dai dipinti alle performance installative, la natura diventa al contempo sfondo, materiale e contenuto. .

Nonostante la quantità e, soprattutto, la varietà degli artisti che fanno del mondo vegetale una tavolozza da cui attingere, nel presente articolo sono stati riportati alcuni nomi che certamente non rappresentano la totalità degli artisti stessi, ma sono interessanti per le modalità attraverso cui coinvolgono l’elemento vegetale all’interno del proprio lavoro.

Lavanya Mani – Travellers Tales (Blueprints), 2014, Natural dye, pigment paint, applique and cyanotype on cotton fabric. Installation size variable 144 x 108 in each; 365.76 x 274.32 cm each
fonte: Chemould Prescott Road

Lavanya Mani e il Kalamkari
lavanyamani.com

Lavanya Mani è un’artista indiana che fa della sua arte uno strumento di sensibilizzazione globale. La sua produzione non deriva strettamente da un’esigenza attivista o ambientale: l’artista ha cominciato ad utilizzare materiali, pigmenti, tessuti interamente naturali che le permettessero di raccontare una storia mediante l’accostamento cromatico e tessile di componenti differenti.

L’elemento metaforico è uno dei suoi più grandi alleati, partendo dal parallelismo tra i popoli colonizzati e le piante sradicate dal disboscamento, giungendo al confronto simbolico che la tradizione popolare fa tra le decorazioni tessili e la peccaminosità femminile, l’artista gioca con la mitologia e le credenze, per legare il passato ed il presente attraverso il fil rouge della consapevolezza. La Mani utilizza un’antica tecnica per il trattamento dei tessuti , nota come Kalamkari: ricca di rimandi alla sua cultura, la tecnica prevede una serie di passaggi di tintura partendo direttamente dal materiale grezzo, naturale, evitando di danneggiarlo con additivi chimici o artificiali.

Da sempre le sue opere hanno un intento narrativo legato al tema del viaggio coloniale, che solo negli ultimi anni ha sposato la causa climatica. Partendo da No Man’s Land sino a Portents (2020), numerosi sono i trittici e le opere singole che, mediante descrizioni di realtà distopiche – quasi post-apocalittiche – hanno lo scopo di accompagnare lo spettatore durante l’intero processo di consapevolizzazione riguardo una realtà naturale costantemente in pericolo.

Difatti, l’interesse per le sue produzioni risiede nella potenza narrativa delle tele, l’artista pone l’accento sulla riflessione personale circa le sorti collettive del pianeta e riesce nel suo intento grazie all’intersezione di colori e materiali di grande impatto visivo e simbolico per lo spettatore, che ne rimane ammaliato.

Giuseppe Penone – Alpi Marittime, 1968, 6 b/w selenium prints on baryte paper, 19.8 × 24.8 in. (48,5 × 63,2 cm ciascuna), GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Turin, Italy, Image © Greg Weight
fonte: giuseppepenone.com

Giuseppe Penone e il ritorno all’ambiente naturale
giuseppepenone.com

Giuseppe Penone, formatosi durante il periodo dell’arte povera (tendenza artistica volta ad un recupero di materiali grezzi, privi di particolari caratteristiche estetiche, mediante il rifiuto di tutto ciò che viene considerato prodotto di artificializzazione dell’arte) si concentra sul ritorno al luogo natio dell’oggetto, decostruisce l’artificiale fino alla sua retrocessione naturale.

Dagli alberi “scolpiti” agli esperimenti sul proprio corpo, l’occhio di Penone è allenato a cogliere la particolarità nel paesaggio che lo circonda, indagando sulle difficoltà a cui l’ambiente è sottoposto. Nell’opera Alpi Marittime (1967-1968), ad esempio, l’artista analizza le modalità con cui l’essere umano riesce ad interagire con l’ambiente naturale, modificandolo o danneggiandolo.
La performance prevede, infatti, la raccolta di azioni ed interventi diretti che mostrano allo spettatore le molteplici possibilità di vita simbiotica con la foresta, senza la necessità di disboscarla o sottometterla. Il suo operato viene anche concettualizzato dall’artista stesso con i seguenti versi:
Sento il respiro della foresta,
odo la crescita lenta e inesorabile del legno,
modello il mio respiro sul respiro del vegetale,
avverto lo scorrere dell’albero attorno alla mia mano appoggiata
al suo tronco.
Il mutato rapporto di tempo rende fluido il solido e solido il fluido.
La mano affonda nel tronco dell’albero che per la velocità della
crescita e la plasticità della materia è l’elemento fluido ideale per
essere plasmato.”
(Penone, 1968)
fonte: Penone, 1968, Garessio Alpi Marittime | Parole | Giuseppe Penone

Piuttosto che sintesi artificiale, l’artista plasma la natura senza danneggiarla: la asseconda, ne esalta la bellezza evitandone la distruzione. L’elemento naturale diviene uno strumento di consapevolizzazione riguardo il rapporto che ciascuno di noi intraprende con il vegetale. Le opere di Penone invitano ad una profonda riflessione sulla convivenza pacifica tra l’uomo e tutto ciò che quest’ultimo dà per scontato: la sua linfa vitale.

Abel Rodriguez (Mogaje Guihu)
fonte: La Biennale di Venezia

Abel Rodriguez e l’inventario vegetale

Abel Rodriguez (Mogaje Guihu), esperto botanico del popolo Nonuya, avvia la sua carriera artistica partendo dall’esigenza di raccontare la sua terra, catalogare le specie vegetali e donare alla popolazione globale un ricco inventario tassonomico della flora amazzonica.

Rodriguez, che per la prima volta espone nei padiglioni della 60a Biennale dell’Arte di Venezia, vanta una vasta produzione di dipinti che, oltre l’arte, hanno uno scopo ben più nobile, quello di documentare la simbiosi di un popolo con la propria casa.

La dettagliata catalogazione di piante che l’artista ha conservato gelosamente all’interno del suo archivio personale, nonché la sua mente, gli hanno permesso una minuziosa riproduzione della flora amazzonica, basandosi interamente sull’unica fonte a lui nota: la memoria.
Grandezza degli arbusti, sfumatura di ogni singola foglia, persino le striature delle cortecce vengono riportate all’interno dei suoi “diari illustrati”.

Rodriguez ha sempre avuto a cuore la questione del disboscamento, in quanto vittima dello stesso, costretto a spostarsi dal suo luogo d’origine, scappando dallo sfruttamento a cui la sua terra era sottoposta. Utilizza, infatti, i suoi disegni per forgiare una coscienza collettiva che possa fungere da incontro tra popoli indigeni e occidentali, un modo per responsabilizzare gli uomini alla convivenza con gli elementi naturali.

L’artista non si è mai definito tale, tiene piuttosto ad associare la sua persona al ruolo di “portatore di conoscenza”, che tenta in qualche modo di educare i popoli alla bellezza del pianeta. La battaglia artistica di Rodriguez è solo un tassello di questa lunga storia educativa che gli artisti dell’ultimo decennio stanno scrivendo attraverso il proprio impegno creativo.

Cristina Barbieri – Micèlite
fonte: barbiericristina.com

Cristina Barbieri e la memoria organica
barbiericristina.com; Instagram; Youtube
Articolo su Arte.Go: La bioarte di Cristina Barbieri. Recensione e intervista

Continuando sul tema della memoria naturale, Cristina Barbieri si spinge oltre la materia osservabile, intraprende un viaggio all’interno dell’organico ripercorrendo le fasi mnemoniche della radice. La Barbieri racconta spesso della sua connessione profonda con ciò che studia e adopera nella sua produzione artistica: l’elemento naturale diviene musa, pennello e dipinto.

Nel suo minuzioso lavoro di decostruzione della corteccia, dalla spora all’epidermide, ogni componente viene sottoposta ad un processo di essiccazione, osservazione, associazione ad altri elementi così come a concetti esistenziali che abbracciano i materiali organici e ne delineano le peculiarità.

L’artista emiliana si sofferma sulla natura emotiva dell’ecosistema, utilizza i funghi come allegoria di un processo vitale destinato a riavvolgersi in eterno.

L’annullamento degli strumenti tradizionali dell’artista, sostituiti da spore ed arbusti descrive l’intento riflessivo della sua arte. Oltre l’analisi e la contemplazione vi è un’esigenza più profonda, quella di mostrare al suo pubblico le innumerevoli forme e sfumature che la natura offre costantemente che, attraverso un impiego etico, possono essere adoperate in maniera autobiografica, raccontando la propria storia. E’ qui che il ruolo dell’artista si fa da parte, dà spazio alla sua opera: la Barbieri lascia che i suoi materiali parlino direttamente allo spettatore, si mostrino a lui nella propria forma mutevole e insegnino al soggetto come essere ammirate e rispettate.

Natalie Jeremijenko – Declaration of Interdependence, 2023, installation view.
fonte: gardnermuseum.org

Natalie Jeremijenko e la bio-ingegneria
nat@cat.nyu.edu

Natalie Jeremijenko unisce il suo interesse per il vegetale alle sue competenze fisiche e ingegneristiche, dando vita a installazioni artistiche di inestimabile valore ambientale. L’artista, in questa panoramica, si pone come anello di congiunzione tra la riflessione e la sperimentazione: Jeremijenko definisce sé stessa come una sorta di fusione tra l’intento contemplativo e quello generativo.

Esemplare di questa unione è il progetto “Declaration of interdependence”, realizzato ed esposto nel 2023 all’interno del Isabella Stewart Gardner Museum. L’opera, con il chiaro intento di citare il documento storico d’indipendenza americana, racconta la volontà dell’artista di dimostrare al pubblico le numerose potenzialità di interazione e coesistenza tra le piante e l’artificio umano. La lunga lastra bianca posta sulla facciata del museo si pone come stendardo di un’architettura “vivente” che unisca la componente estetica a quella ambientale. Le piante qui non sono un mero ornamento parietale ma divengono materiali da costruzione, parti integranti del progetto architettonico.

Natalie Jeremijenko, in tal modo, descrive attraverso le sue opere le infinite compatibilità tra i due mondi e, soprattutto, le numerose possibilità di salvaguardarli entrambi evitando che uno prenda il violento sopravvento sull’altro.

Henrik Håkansson – Paintings of Trees for Birds, 2021-07-20 – 2021-11-15
fonte: franconoero.com

Henrik Hakansson e la sperimentazione ambientale
henrikhakansson.com; Instagram

Seguendo la strada della sperimentazione a partire da ciò che viene innocuamente offerto all’uomo dalla natura che lo circonda, Hakansson è uno tra i più rilevanti artisti a compiere dei veri e propri esperimenti all’interno delle sue installazioni. Ne è un esempio l’esposizione “Paintings of Trees for Birdsche rappresenta il ciclo di vita della pianta attraverso la metafora del quadro: la bottiglia che contiene il ramoscello equivale alla cornice di un dipinto che si autodetermina. La crescita stessa è il focus dell’opera, il suo divenire all’interno dello spazio espositivo ha un duplice scopo: quello artistico e quello ambientale. Durante l’intero periodo della mostra la pianta è soggetta ad un processo di sviluppo che, giorno per giorno, offre al pubblico uno spettacolo sempre inedito; al termine dell’esposizione le stesse piante, ormai formatesi, vengono riportate al suolo naturale.
In tal modo il progetto assume un valore divulgativo, artistico e allo stesso tempo ecologico.

Alla base dei suoi lavori vi è sicuramente la necessità di comprendere in che modo specie di diversa natura riescano a relazionarsi reciprocamente. In particolare, le sue opere spingono lo spettatore ad interrogarsi sul modo in cui egli interagisce, utilizza e vive lo spazio circostante: ciò che rende tale un individuo è la sua coesistenza all’interno di una dimensione abitata da altrettanti elementi viventi. E’ questo il concetto che muove Hakansson verso la via produttiva.

Dall’intersezione tra livelli mediali differenti (installazione, fotografia, cinema, suono, scrittura) deriva una realtà creativa parallela, in cui il soggetto è incoraggiato ad osservare. I progetti di Hakansson fungono da lente di ingrandimento, i suoi materiali da strumenti di lavoro per l’artista e il suo pubblico. L’esplorazione – collettiva e individuale al tempo stesso – di nuove dimensioni abitabili conduce alla scoperta di innumerevoli possibilità di dialogo tra l’uomo, l’ambiente e la natura che lo abita.

Ackroyd & Harvey – FlyTower, National Theatre, London, 2007, Commissioned by the National Theatre, Produced by Artsadmin, Supported by Arts Council England
fonte: Ackroyd & Harvey

Ackroyd & Harvey: l’attivismo artistico
ackroydandharvey.com
Articolo su Arte.Go: L’arte vivente di Ackroyd & Harvey, tra Beuys ed Extinction Rebellion

Sulla scia dell’opera “vivente”, gli artisti e attivisti inglesi Heather Ackroyd e Dan Harvey si cimentano nell’arte naturale basandosi sull’utilizzo della pianta come strumento e contenuto dell’immagine al tempo stesso.

Alcuni dei loro progetti più interessanti si focalizzano sull’utilizzo dell’erba come materiale da disegno: sfruttandone la sensibilità ai raggi di luce, gli artisti trattano il foglio d’erba come fosse una lastra d’argento all’interno della camera oscura. La stratificazione dei ramoscelli delinea, dopo varie fasi di esposizione solare, l’impressione dell’immagine.

Alcune “fotografie viventi” sono esposte all’interno della mostra “Altre Ecologie – Quando l’Arte protegge il Pianeta” ed approfondite nell’intervista effettuata da Maurita Cardone alla coppia artistica.
Francesca Piperis

Immagine in evidenza
Lavanya Mani – Signs taken for wonders, 2009, Natural dye, applique (batik) & machine embroidery on cotton fabric, 72 x 136 in; 182.9 x 345.4 cm
fonte: Chemould Prescott Road
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