
Il Palazzo nel quale ha sede la Pinacoteca di Brera fu eretto verso la metà del ‘600 per i Gesuiti nel luogo dov’era la vecchia casa degli Umiliati, su piani di uno dei maggiori architetti del tempo, Francesco M.Richini, e per opera del figlio di lui, Gian Domenico, e degli architetti Quadrio e Possono.
Vi restarono i Gesuiti fino al 1772, allorché, soppresso l’Ordine, il Palazzo ebbe destinazione laica, per avvenire sede, in seguito, delle grandi istituzioni culturali milanesi: la Biblioteca, l’Osservatorio Astronomico, l’Accademia dì Belle Arti, l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere.
Per il severo e solenne cortile monumentale, per la grandiosità dei suoi loggiati e delle scalee, per la spaziosità delle sale, è considerato uno dei più importanti e nobili palazzi d’Italia.
Famosa è, poi, la statua di Napoleone I, in figura di Cesare vittorioso, del Canova, che si eleva nel centro, della grande corte d’onore e che, fusa nel bronzo a Roma nel 1811 per commissione del Viceré Eugenio de Beauharnais, restata nelle cantine del palazzo negli anni in cui l’astro napoleonico declinava e dopo la caduta del Corso, soltanto nel 1859 fu innalzata a ornare lo stupendo cortile.
Il marmo di questa statua è ad Apsley House a Londra, nella dimora del Duca di Wellington; il modello in gesso nella Gipsoteca di Possagno.
Le origini della Pinacoteca di Brera non sono molto remote.
Sorse nel periodo più fulgido dell’epopea napoleonica, e per volontà di Napoleone, con i prodotti delle soppressioni degli Ordini ecclesiastici, di chiese, di conventi, di scuole religiose, di oratori che erano venuti formando in Venezia un deposito imponente di antiche pitture, onde furono costituite due fra le più grandi Gallerie d’Italia: quella di Venezia e quella dì Milano.
A Milano, invero, già una piccola raccolta esisteva a corredo dell’Accademia di Belle Arti; ma furono, in primo luogo, le soppressioni degli anni dal 1805 al 1808 a trasformare quel piccolo nucleo in una imponente Galleria, la quale dopo che si fu occupata l’antica chiesa gotica di Santa Maria di Brera dimezzandola e ricavandone sale, come si faceva nello stesso torno di tempo della chiesa di S.Maria della Carità a Venezia per dar posto a quelle Gallerie poteva il 15 agosto 1809, onomastico dell’Imperatore, essere inaugurata e aperta al pubblico.
Seguirono gli immensi accrescimenti per le soppressioni del 1811 e 1812; poi, per tutto l’Ottocento e per il primo quarto nel nostro secolo, fu un continuo susseguirsi di incameramenti, di doni, di legati (tra i quali sommamente importante quello Oggioni del 1855), di acquisti, di depositi, i quali pure tra qualche deplorevolissimo e dolorosissimo cambio che 80 o 90 anni fa privò Brera di alcuni capolavori condussero l’Istituto all’attuale altezza di grande Pinacoteca Nazionale, una tra le primissime d’Italia, in cui tutte le scuole (eccetto la toscana) sono compiutamente rappresentate, e ove anche l’arte straniera figura con saggi cospicui.
Nel 1882 la Pinacoteca, sfaccettasi dall’Accademia di Belle Arti, acquistò vita autonoma con la guida di un autorevole conoscitore, Giuseppe Bertini e quindi, per opera di Corrado Ricci che la diresse dal 1898 al 1903 e che, liberate alcune sale di gessi e di marmi, la dotò di molto maggior spazio e l’arricchì di numerose opere demaniali ritirate dalle chiese, ebbe un apprezzatissimo ordinamento cronologico – regionale, cioè scientifico.
La guerra mondiale costrinse a far emigrare, per ragioni di prudenza, le collezioni a Roma, e al loro ritorno, dopo la vittoria, la Pinacoteca ebbe negli anni 1920-1924, da Ettore Modigliani, che ne è stato Direttore dal 1908, abbellimenti, e anche qualche ampliamento, luce, decoro, ricchezza di pregevoli comici antiche, e ritocchi nell’ordinamento con l’intento dì fondere il meglio possibile il criterio scientifico con quello estetico.
In tale occasione l’Istituto fu sfollato di molte opere di non primaria importanza, e lo sfollamento giovò a dargli ancora maggiore nobiltà conferendogli la sua forma perfetta e definitiva.
Importantissimi sono stati gli acquisti e i doni anche dal 1882 in poi, nel periodo di vita autonoma di Brera, durante la direzione tanto del Bertini, come del Ricci, come del Modigliani, e fra i più notevoli di essi possono essere citati: gli “Amanti Veneziani” di Paris Bordone (1890), la “Madonna col Bambino” di Gaudenzio Ferrari (1890), la bellissima “Vergine” di scuola leonardesca (1891), la “Madonna del Certosino” del Bergognone (1891), i due “Santi” di Francesco del Cossa (1893), i “Due devoti” del Boltraffio (1897) il “Miracolo di S.Domenico” di Benozzo Gozzoli (1900), i Bramante di Casa Prinetti, (1901), le quattro tavole del polittico di Gentile da Fabriano (1901), il Ritratto del Casio del Boltraffio (1902), la “Madonna del velo” del Bergognone (1911), le predelle del Polittico del Poppa (1912), lo stupendo Ritratto di Ambrogio de Predis (1913), il “Presepe” del Correggio (1913), la “Comunione del moribondo” di Sebastiano Ricci (1919), il “San Gerolamo” del Montagna (1925), la “Madonna del Carmelo” di Giambattista Tiepolo (1925), la “Vergine” di Boccaccio Boccaccino (1925); i Ritratti di Largillières (1911), di Fra Galgario (1918), di Santvoort (1927), di Reynolds (1931), le due Vedute di Antonio Canaletto (1928), la “Suonatrice di liuto” di Bartolomeo Veneto (1932), i due Ritratti degli Sforza (1932), ecc.
“La Pinacoteca di Brera dopo la prima guerra mondiale, ingrandita, abbellita, riordinata, aveva ricevuto, nelle sue sale, l’assetto definitivo, allorché nel 1940 dové di nuovo essere sgomberata dì tutte le opere d’arte trasportate al sicuro in più depositi dell’Italia centrale e settentrionale.
Nelle incursioni aeree dell’agosto 1943, bombe incendiarie e dirompenti trasformarono in cenere i tetti, fecero precipitare le vòlte e i pavimenti, aprirono, in quelle che erano state le più famose sale, immense voragini, ridussero tutto l’Istituto a un ammasso pietoso di macerie, di travi contorte e annerite, di pareti scortecciate tese verso il ciclo aperto.
La Pinacoteca dì Brera non esisteva più!
Soli, nella terribile catastrofe, restati in condizioni relativamente discrete, cioè nell’aspetto un po’ migliore di quello di informi ruderi, sette saloni, gli ultimi saloni verso l’uscita; e questi è stato possibile, con l’opera di alcuni mesi, ripristinare e restituire alla loro funzione di sale di Galleria adunandovi, in collocazione -provvisoria, e perciò talora in condizioni di luce non favorevolissime, circa 150 tra i maggiori capolavori dell’Istituto.
Al tempo stesso si è messo mano ai grandi lavori di ricostruzione di tutta la Pinacoteca, e poiché il finanziamento della enorme spesa necessaria è per due terzi assicurato, si spera di potere entro due o tre anni riuscire a ottenere che non più la “Piccola Brera”, ma la “Grande Brera”, vasta come prima e forse più bella di prima, riapra le sue porte, rinnovato segno di spiritualità della martoriata Milano”.
Così scriveva Ettore Modigliani nell’autunno del 1946, reduce, dopo dieci anni di esilio politico e di persecuzione razziale, alla sua amatissima Brera.
Egli non vide il compimento della ricostruzione perché la morte lo colse a mezzo il cammino il 22 giugno 1947.
Ma il suo voto della “Grande Brera” tre anni dopo era realizzato, e il 9 giugno 1950 la Galleria si apriva più luminosa e più bella, testimonianza effettiva della rinascita italiana.
L’architetto Piero Portaluppi il fedele collaboratore di Modigliani che, assistito dall’attuale direziono, continuò l’opera, ottenne infatti con felici variazioni di pianta e sapienti innovazioni luministiche di animare la Pinacoteca che prima presentava qualche zona monotona nel seguirsi degli ambienti claustrali seicenteschi in contrasto con la grandiosa scenografia delle sale neoclassiche.
Il “Sacrario” di Piero della Francesco e Raffaello che isola i due capolavori di Brera, prima accostati in un’unica sala, e consente loro il massimo risalto, le due festose sale ellittiche della pittura settecentesca, la Galleria degli Affreschi con la sua volta ingentilita dalla luminosa successione dei cristalli curvi appariranno al visitatore tra le più significative innovazioni della ricostruita Brera.
Ma ovunque, raffinando la decorazione già nobilissima della galleria napoleonica specie con l’introduzione, a calcolati intervalli, di preziosi marmi antichi concessi dal deposito mediceo di Firenze, cioè dall’Opificio delle Pietre Dure, l’aspetto aristocratico di Brera ha ricevuto l’ultimo tocco di perfezione.
In questo scrigno prezioso sì sono aggiunte altre gemme: il ciclo dei rarissimi affreschi trecenteschi già in Mocchirolo donati da Renato e Luigi Passardi che aprono la visione di un intero secolo d’arte lombarda popolarmente sconosciuto; un capolavoro di Ambrogio Lorenzetti “La Madonna col Bambino” donato da don Guido Cagnola, ed uno del Morazzone “San Francesco in estasi> dono del prof.Paolo e di Mary D’Ancona; infine il suggestivo dipinto di Raffaello Sernesi intitolato “I Patrioti al Bersaglio” che il Vice Presidente degli Amici di Brera dott.Paolo Stramezzi ha assicurato con la sua generosità alla sala di Brera dedicata all’Ottocento italiano e due preziosissime tavolette di Bonifacio Bembo nel più puro stile gotico-intemazionale che il conte Paolo Gerli ha voluto rappresentassero a Brera una fase rarissima e poco conosciuta della pittura lombarda.
La nuova vita di Brera si inaugura dunque con il felice auspicio di un generoso patrocinio di mecenati che le consentiranno fervore d’iniziative culturali e un arricchimento perenne per la sempre più alta affermazione dell’arte italiana nel mondo.
(9 giugno 1950)
Tratto da: “Catalogo della Pinacoteca di Brera – 1950”
con 42 illustrazioni
a cura di Ettore Modigliani
Edizioni Pinacoteca di Brera
Milano – 1950