Grandi sono le differenze tecniche e spirituali esistenti tra la pittura cinese e l’occidentale.
Nel mondo della pittura cinese non vi sono tele incorniciate e appese alle pareti, non scene costruite secondo una rigorosa prospettiva geometrica, non rappresentazioni ove trionfi la figura umana.
L’artista cinese dipinge su lunghe strisce di carta o di seta che poi arrotola mediante impugnature fissate all’estremità.
Nei rotoli che si svolgono orizzontalmente, da destra a sinistra, e con termine giapponese chiamati makemono, la composizione non resta bloccata intorno a un punto fisso, ma si svolge come in sequenze cinematografiche, secondo la formula del “punto di vista viaggiante”.
Nei rotoli che si svolgono dall’alto in basso, chiamati con termine pure giapponese kakemono, la composizione si organizza verticalmente, secondo un ritmo “montante” che porta le montagne di sfondo a inarcarsi alte sopra gli alberi, le costruzioni e le figure, in un risultato completamente opposto a quello della costruzione ottica occidentale.
Il pittore cinese dipinge con inchiostro di china giocando su infinite sfumature.
Il segno, una volta tracciato, rimane: non ci possono essere pentimenti.
Talora l’artista ravviva la sua china con un po’ di colore, ma – fondamentalmente – il colore non lo interessa.
Coerentemente al suo pensiero religioso-filosofico, il pittore cinese mira a rendere, non l’aspetto esteriore e caduco della realtà, ma il suo ritmo inferiore, la sua vita; vita che è essenzialmente movimento e che egli esprime con l’agile gioco della linea.
Dipinge e scrive con lo stesso pennello e passa indifferentemente dall’una all’altra espressione, che vengono cosi a integrarsi vicendevolmente.
La remota antichità della pittura cinese e la fragilità dei documenti che la concernono rendono difficile parlare con qualche certezza delle sue origini.
I templi sono stati devastati durante le persecuzioni religiose, immense collezioni sono state incendiate, molte delle opere più preziose sono scomparse per sempre.
La vivace decorazione dei vasellami del terzo millennio a.C., dovuta a un abilissimo lavoro di pennello, fa tuttavia pensare che un qualche genere di autentica pittura, probabilmente murale, sia stato praticato in quelle epoche primitive.
Successivamente, durante il periodo dei grandi bronzi (dal 1300 circa a.C. fino al 200 della nostra èra), la decorazione dei vasi assume forme convenzionali che si esprimevano per mezzo di disegni geometrici.
Il simbolismo complicato di questi disegni, nonostante la loro potenza evocatrice, è l’antitesi stessa delle linee fluide della pittura cinese, almeno di quella che noi conosciamo.
È possibile quindi che queste regole dell’arte decorativa abbiano impedito ai Cinesi di elaborare un’arte pittorica capace di eguagliare quella dei bronzi.
Fatta eccezione per due frammenti di pitture su seta, provenienti da una tomba di Ch’angsha nell’Hunan (Cina centro-meridionale), databili intorno al III secolo a.C., è necessario comunque attendere gli inizi dell’era cristiana per trovare degli affreschi nelle camere funerarie e dei mattoni dipinti.
La semplice vita quotidiana degli uomini, le grandi battaglie, le scene mitologiche, rappresentate con una incisività non priva di grazia, si ritrovano anche incise nelle pietre, che hanno resistito in numero maggiore alle distruzioni e ai saccheggi…
Giuseppe Argentieri
Tratto dal volume: “Pittori Cinesi”
di Giuseppe Argentieri
Arnoldo Mondadori Editore
Milano
1967