La pittura di Mario De Poli

Mario De Poli

Il motivo di centro della pittura di Mario De Poli – dell’ultima sua pittura – è chiaramente emblematico: la rottura del cerchio come rottura di un equilibrio.
La nostra epoca è infatti tipicamente manieristica: nel sense hauseriano di una fuga dai canoni dell’armonia classica. Le certezze sono frantumate, la forma diventa ambigua, lo stesso concetto di struttura (riproposto dall’antropologia di Lévi – Strauss sulla falsariga della linguistica del Saussure) cede il posto di fronte ad un precario storicismo: ed è comprensibile che la pittura aderisca alle modalità che sono in fieri sul piano della cultura.

Il cerchio, per De Poli, rappresenta appunto la perfezione classica, l’ideale, quasi l’utopia.
Esso è minato, prima esternamente (vedi i quadri meno recenti) poi al suo stesso interno, da elementi di ordine irrazionale che tendono a contaminare la cristallina compattezza.
Ecco la figura simbolica dell’uccello che ricorre in molti quadri, con un aspetto mostruoso, di forma scarnificata, consunta, quasi larva di un vitalismo che ha perduto, o sta perdendo, i suoi connotati.
L’uccello rappresenta l’elemento organico che rompe l’equilibrio inorganico.
La messa a fuoco della realtà, attraverso una lente via via più opacizzata, diventa difficile: subentra la incrinatura, la frantumazione, e già le schegge s’irradiano disperatamente.
Si forma una nuova bellezza, ma secondo esasperazioni e forzature, non più – ahimè – attraverso la suprema “misura” dell olimpo classico.

La pittura di Mario De Poli

Questa mia interpretazione dei quadri di De Poli può non rispecchiare gli intenti dell’artista: è chiaro che in essa il quoziente simbolico della forma ha preso il sopravvento.
Ma la stessa pluralità di significati che assume la produzione dell’artista mi dice del suo sforzo di andare al di la del formalismo estetico: cioè di impostare un discorso attraverso il quale traspaia una visione etica del mondo.
È giusto e lecitissimo, questo, per chi si muove nel mondo dell’arte; come è più che giusto, per chi si pone in una posizione ricettiva, cioè critica, sceverare certe componenti puramente pittoriche.
Qui, da questo versante, va notata anzitutto la coerenza di De Poli.
L’intonazione è quasi sempre controllata sui toni lividi, gialli e verdi marci, con delicate nuances che nelle opere più recenti — intendo quelle più libere formalmente da accenni di rappresentazione — si carica di suggestive screziature, di alternanze di zone lucide ed opache, ombre e luci sapientemente calibrate, ed un ritmo sempre scattante, spezzettato, in un gioco scioltissimo di rifrazioni luminose.
La pittura si fa ora risentita e nervosa, ora liquidamente sciolta; ma c’è sempre un senso di precarietà della forma, fatto di apparizioni, quasi sbattimenti d’ali, proiezioni di luce prismatica, laddove prevale un’ottica mai ferma, sebbene continuamente mossa, agitata da ritmi interni che sfuggono ad una presa razionale.

Questa pittura, con tutte le sue implicazioni simboliche, rivela una coscienza estetica — ed anche etica — già matura, e ben caratterizzabile.
Una “verità” interna coagula e cementa tutti i quadri, che formano quasi una catena di “momenti” sentimentali d’una unica personalità; In questo senso mi pare di poter testimoniare — per il poco della mia esperienza diretta — la serietà dell’impegno di De Poli, la fermezza con cui egli porta avanti questo suo discorso così singolare e denso di echi simbolici.

Paolo Rizzi
Venezia, settembre 1974

Tratto dai Cataloghi (stessi contenuti):
“Mario De Poli” – 1975
Galleria d’Arte Grigoletti, Pordenone
“Mario De Poli” – 1975
Galleria d’Arte Il Fiore, Bassano del Grappa
Testi di Paolo Rizzi. Note critiche di Angelo Lippo, Bino Rebellato, Giuseppe Mesirca, Silvana Weiller Romanin Jacur, Salvatore Maugeri, Carlo Munari, Enzo Jacovino, Gino Barioli.

"Mario De Poli" - 1975
"Mario De Poli" - 1975