Più di ogni altra corrente il realismo, e quindi il nouveau realismo, non è privo di ambiguità.
Anche se l’arte ha sempre preteso di riconoscere quale sua vocazione la trasmutazione del reale, come se questo non fosse accessibile che per esser filtrato dalla sensibilità e dall’emozione, il realismo attuale si arroga piuttosto la missione di un riconoscimento fattuale del mondo e la sua resa senza commenti.
Ma è precisamente qui che entra in gioco l’ambiguità.
La questione è sapere se, passando dalla sua presenza fisica alla sua rappresentazione, la realtà non subisca almeno un commento embrionale.
Senza dubbio riprodurre non significa necessariamente tradurre ma, al contrario della macchina, avrebbe l’uomo la facoltà di riprodurre senza che intervengano, volontariamente o meno, i suoi giudizi su questa realtà – il reale – collocato non tanto in una prospettiva neutrale ma piuttosto in una prospettiva critica? “Quel che io vedo non è quel che vedi tu”; all’uomo sembra impossibile non costruire la storia e quindi non applicare automaticamente al reale un giudizio che lo modifichi.
La nuova realtà, nel futuro delle arti plastiche, non poteva dunque in ogni caso costituire un ritorno verso una sorta di naturalismo o di realismo storico; non poteva essere un tornare semplicemente al soggetto.
Ma si trattava forse di trovare, o meglio di ritrovare una certa qualità del vedere e di far sì che diventasse l’oggetto stesso dell’opera: ” il modo di vedere è importante quanto quel che si vede “.
Perciò la scelta operata nella realtà fa a meno di commento o, per meglio dire, costituisce essa stessa il proprio commento.
Ogni aneddoto è automaticamente cancellato: di fronte alla realtà del reale è il suo stesso anonimato che diventa il motore del vedere.
L’oggettività è in qualche modo diventata il soggetto del quadro.
In questa prospettiva l’opera di Wittevrongel segna una tappa importante, attesta in maniera esemplare la supremazia del vedere su ciò che viene visto, o almeno rende esplicita la confusione a lungo mantenuta tra l’atto del vedere e la cosa vista, cioè tra ciò che esiste veramente nella realtà e ciò che diventa il soggetto di un quadro.
Contrariamente all’iperrealismo nella sua concezione più corrente, non è un ” pezzo di realtà ” preso in prestito da uno spettacolo anonimo, di cui ci si occupa occasionalmente: è da questa interpretazione che Wittevrongel si stacca, mi sembra, come dal foto-realismo e dall’analisi sociale in cui rischia spesso di cadere una pittura che altro non sarebbe che l’immagine fedele dello spettacolo dato. Realismo, certamente.
Ma allora che si possa dire qualche volta che questo nuovo realismo, che nondimeno ripristina i procedimenti della pittura tradizionale, la svuota del suo contenuto; si deve notare in questo caso che un contenuto si sostituisce a un altro, che la scelta si manifesta in una sorta di ricomposizione del soggetto e che alla copia della fredda realtà si sostituisce una reinvenzione di questa realtà.
In una certa misura si sarebbe tentati di parlare, in base ai soggetti della maggior parte delle vedute di Wittevrongel, di natura morta, anche se in un senso diverso da quello che il termine ha significato nella tradizione.
Quel che Roger Wittevrongel mostra, soprattutto nei quadri o negli acquarelli dove si ammucchiano i rifiuti ma anche nelle opere in cui appaiono steccati, finestre, porte, mura, non è soltanto la loro realtà, ma anche un’atmosfera.
Atmosfera, ben inteso, anche nella pittura di nudo.
Ma qui si può parlare di una realtà che si piega, e talvolta molto apertamente, verso il sentimento.
Quel che Wittevrongel vuole non è tanto mostrare la donna in sé quanto reintrodurre una certa idea molto contemporanea, molto sensuale, molto efficace della femminilità.
Si dice che il soggetto si presti bene a delle interpretazioni.
Ma in Wittevrongel l’apparenza fisica della donna va di pari passo con il significato emotivo del suo corpo, sia segreto che pubblico, nonostante il modo di rappresentarla sia sempre distante, come indifferente.
Wittevrongel non tanto registra una realtà regolata, quanto rivela i rapporti tra gli oggetti – le cose – e gli individui.
Anche se vuole giungere alla prospezione del visibile, della cosa vista, non ha completamente abbandonato l’intenzione di rompere con la neutralità dell’osservatore che si vorrebbe integro.
L’immagine non è solamente oggettuale, qualunque sia l’importanza che vi occupano gli oggetti, non è solamente fattuale, qualunque sia l’acutezza dello sguardo e la precisione del pennello, essa è anche sensibilizzata.
A questo riguardo, non si rimane prigionieri di un’immagine data una volta per tutte; la suggestione che vi è contenuta offre l’occasione di scappatoie che attestino come dentro la materialità delle cose viste e la loro apparenza ci sia di nuovo posto per l’interpretazione.
La sdrammatizzazione non è totale; la coscienza che si ha delle cose non è assolutamente divisa dal subconscio.
Si riconferma quell’ambiguità da cui il realismo difficilmente si stacca.
Nella costellazione contemporanea delle arti plastiche Roger Wittevrongel si situa dunque a un punto d’incontro dove le cose offerte in presa diretta allo sguardo sono nello stesso tempo già percepite dal sentimento, dove la realtà si ribalta dalla sua impossibile integrità verso il suo significato.
Jacques Meuris
Tratto dal Catalogo: “Roger Wittevrongel”
Edizioni Galleria del Naviglio – Milano
Direttore Renato Cardazzo
Catalogo stampato in occasione della 724a Mostra del Naviglio
29 aprile – 14 maggio 1980