La rivoluzione impressionista

di Vincenzo Sanfo.

Quando nell’aprile del 1874 alcuni artisti, riuniti sotto l’egida della Società Anonima degli Artisti Pittori Scultori e Incisori, si riunirono per una mostra collettiva presso lo studio del fotografo Nadar in Boulevard des Capucines a Parigi, non pensavano certo di essere in procinto di creare una rivoluzione, dando vita ad un fenomeno artistico senza precedenti.

Camille Pissarro – Femme Accroupie. Tecnica mista su carta, 15×10 cm, 1882-1883. Collezione privata

In quella mostra, le opere di Pissarro, Degas, Cézanne, Sisley, Monet, Morisot, Renoir insieme a quelle di altri compagni di avventura, scioccarono il pubblico creando sgomento e in parte orrore.

Uno dei quadri esposti, “Impression, soleil levant” di Monet, venne citato da Louis Leroy, critico dell’epoca, che parafrasandone il titolo creò il termine di pittura “impressionista” che restò, di lì in poi, come indicativo del loro stile e, di fatto, divenne sinonimo di un modo di dipingere.

A distanza ormai di oltre un secolo e mezzo da quella mostra, il successo di questi artisti non cessa di dilagare e propagarsi, nonostante l’avvicendarsi di mode, modernismi e rivoluzioni culturali.

La marcia trionfale degli impressionisti prosegue senza sosta. A cosa si deve questo loro successo? Il loro indiscusso primato nel favore popolare e collezionistico? Sicuramente in buona parte è dovuto alla sincerità della loro pittura e alla intrinseca “Joie de vivre” che essi infondono, con un uso della luce dai toni caldi e radiosi. Ma ciò che in particolare colpisce ogni qualvolta si contempla un’opera degli impressionisti è sicuramente, al di là della seduzione che emana dai loro dipinti, l’inconscia nostalgia di un mondo ormai perduto e di cui gli impressionisti sono stati i cantori principali.

Paul Cezanne – La maison du docteur Gachet. Acquaforte, 10×13 cm, 1873

La mostra “Impressionisti tra sogno e colore” (Mastio della Cittadella, Torino, fino al 4 Giugno 2023) vuole riportare i visitatori proprio all’interno di questo mondo, far rivivere quell’atmosfera unica e irripetibile, rivisitando le straordinarie scoperte e il frenetico fervore che ha percorso la Parigi di fine Ottocento. Aiutata da immagini, filmati, memorabilia, insieme ad una importante selezione di dipinti, acquerelli e pastelli, la mostra pone anche l’accento su un particolare momento della loro ricerca, forse meno conosciuta, quella dedicata al disegno, all’incisione e in particolare alle tecniche di stampa, molto popolari all’epoca. Tecniche che trovarono sulla loro strada un nuovo linguaggio, quello della fotografia, che renderà di colpo obsoleta l’arte grafica e imporrà una riflessione sull’utilizzo o meno di un mezzo, apparentemente superato.

Divisi in due correnti, derivanti da Daumier e da Millet, si avvieranno così le sperimentazioni di Pissarro, le riletture goyesche di Manet e le ricerche di Renoir, che porteranno a risultati sorprendenti, in parte travasati nelle innovazioni formali di uno tra i più grandi sperimentatori delle tecniche grafiche e di riproduzioni a stampa che mai sia apparso nella storia dell’arte, Toulouse-Lautrec.

Pierre Auguste Renoir – La loge, acquaforte / acquatinta, 53×38 cm, 1874

L’uso del bianco e nero porterà gli impressionisti davanti a delle problematiche a volte apparentemente insuperabili e li costringerà a dover forzare la loro capacità creativa, qui non più aiutata dall’uso del colore, ma solo dal segno e dalla grafia.

Ecco, quindi, che artisti come Monet si rifiuteranno categoricamente di usare l’incisione, anche se per la verità lo stesso Monet, nello studio del mitico dottor Gachet, spinto dall’entusiasmo di Pissarro, proverà ad incidere due lastre, per ora rimaste sconosciute e sino ad oggi introvabili, divenendo una specie di Santo Gral per i collezionisti di stampe.

Esperienza che probabilmente non lo entusiasmò e che non ripeterà più, dedicando invece ampio spazio al disegno e soprattutto alla tecnica del pastello, a lui più immediate e congeniali.

Per altri artisti quello dell’incisione diverrà, invece, un aspetto interessante, ma marginale del proprio lavoro, come ad esempio per Sisley, che realizzò non più di sei tavole incise o litografate, o Cézanne, il quale ne realizzò appena nove, così come la tenera Berthe Morisot che ci lasciò non più di otto rare lastre incise.

Al contrario di Manet, che già ben prima dell’epoca impressionista si era appassionato alle tecniche dell’incisione e aveva realizzato lastre di grande qualità, ispirandosi alla pittura e all’incisione spagnola, in particolare guardando a Velásquez e a Goya e continuando per tutta la sua vita ad incidere e realizzare acqueforti e litografie molto ricercate, ancor oggi, dai collezionisti di tutto il mondo.

Paul Lecomte – Paris. Olio su tela, 55×48 cm, 1842/1920

Degas e Pissarro, comunemente inseriti tra i protagonisti della pittura impressionista, furono anche, senza alcun dubbio, tra i protagonisti delle sperimentazioni dell’incisione e delle tecniche grafiche, realizzando opere che sconvolsero, con le loro acrobatiche invenzioni e le loro manipolazioni, un mezzo divenuto, a suo tempo, ripetitivo e banale.

Essi contribuirono a fare delle tecniche dell’incisione un’arte nuova e autonoma, inserendo ritocchi, lumeggiature e altri interventi che le renderanno, di fatto, non opere seriali di riproduzione ma praticamente dei pezzi unici. In particolare, Degas si dedicò all’uso magistrale della tecnica del monotipo, dove consegnerà alla storia dell’arte opere straordinarie e uniche, attualmente conservate, in buona parte, alla Biblioteca Nazionale di Francia. Alcuni di questi monotipi sono noti grazie ad Ambroise Vollard, che editò due splendidi volumi, La Maison Tellier e La Famille Cardinal, in cui la tecnica del monotipo di Degas è riportata fedelmente e, giustamente, in luce.

E Degas volle proprio che i suoi monotipi fossero la base della sua prima e unica mostra personale, da lui stesso organizzata e che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non contemplava ballerine e ritratti, ma stupefacenti paesaggi, realizzati con la tecnica del pastello e appunto, del monotipo.

Paesaggi in parte ancor oggi sconosciuti dal grande pubblico e realizzati praticamente dal vivo durante un lungo viaggio in treno, in cui fissò lo scorrere del paesaggio, da lui visto dal finestrino e riportato come in una sorta di dissolvenza dell’immagine, dal tono cinematografico, con un risultato che ben si apparenta al disfacimento informale delle ninfee di Monet e a certi teneri ed evanescenti paesaggi del Renoir degli ultimi anni.

Le tecniche dell’incisione diverranno, per molti degli impressionisti, il campo più intimo e privato in cui studiare, sperimentare e prendere appunti, che successivamente, in qualche misura, entreranno nella pittura e offriranno ad essi spunti e riflessioni, come ad esempio per Monet.

Gustave Courbet (Attribuito) – Le trombe. Olio su tela, 50x75cm, 1870. Collezione privata

Infatti, a dimostrazione di quanto ciò sia vero, basti comparare l’opera simbolo di Monet, il dipinto “Impressions, soleil levant” per notare chiaramente il riferimento all’incisione di Jongkind Soleil couchant Port d‘Anvers”, realizzata dal grande pittore olandese già nel 1868 e che Monet, dopo averla vista, fece sua attraverso il dipinto divenuto storico e fondamentale per l’arte universale e che diede, inconsapevolmente, il nome al movimento impressionista.

Questo sta ad indicare quanto le tecniche dell’incisione non siano state subordinate alla pittura impressionista, ma semmai ne abbiano costituito un corpus a sé, autonomo e indipendente, e siano state spesso loro stesse ispiratrici e madri di molta pittura sul finire del XIX secolo.

Pissarro, ad esempio, nella sua cospicua produzione grafica, con oltre duecento tra incisioni e litografie, non ha mai riprodotto nelle sue lastre alcuno dei suoi dipinti, semmai ha fatto il contrario, utilizzando le sue incisioni come tracce per gli stessi.

Per molti artisti impressionisti quello delle tecniche grafiche era un mondo a sé stante, al quale riservavano idee e sperimentazioni, sicuri dell’originalità e delle possibilità che il mezzo poteva loro dare, soprattutto nella monacale severità del segno e del bianco e nero, al punto di far dire a Degas che l’incisione era “una delle sue più grandi gioie di creatore”.

Ernest Jean Joseph Godfrinon – Dame de qualité assise ou salon. Olio su tela, 80×60 cm, 1898

Di questa libertà di ricerca e di studio vi è testimonianza nelle ripetute varianti e nelle varie fasi di stato delle stampe e delle incisioni, realizzate da questi artisti che, se in pittura poche volte ripetono lo stesso soggetto, così non è nella tecnica dell’incisione, dove si conoscono varianti di lastre, morsure, inchiostrazioni e fasi di stampa, le quali danno l’idea di quanto impegno e passione questi maestri mettevano nella grafica incisoria, innalzandone il livello tecnico e creativo e raggiungendo risultati a volte pari o superiori a quello, primario e più popolare, della pittura.

Se Pissarro ha realizzato oltre dieci varianti del suo “Marché à Gisors” e Degas almeno cinque varianti del suo “Mary Cassatt au Louvre”, si capisce bene quanto impegno e dedizione questi artisti davano al rinnovamento delle tecniche incisorie.

Erano in questo spronati da amanti e stampatori illuminati come il dottor Gachet, in arte Van Ryssel, nel cui studio molti artisti, come ad esempio Cézanne, scoprirono il mondo della grafica e dove anche Van Gogh realizzò alcuni timidi tentativi.

La rivoluzione dell’impressionismo è comunque posteriore a quella della grafica, che con l’avvento della fotografia aveva dovuto sforzarsi nel trovare nuovi sbocchi creativi, prima ancora che commerciali. Si deve infatti al geniale Felix Bracquemond la nascita, nel 1863 di quella “Société des aquafortistes” che fu alla base del rinnovamento delle tecniche grafiche e che, successivamente, lo portarono ad aderire alle mostre degli Impressionisti che, a partire dalla prima, del 1874 nello studio del fotografo Nadar, lo videro sempre tra i protagonisti. Egli, insieme a Gachet e agli incisori e stampatori Cadart e Delâtre fu tra coloro che sproneranno gli artisti impressionisti a cimentarsi nelle tecniche dell’incisione e spesso fu al loro fianco nel risolverne i molteplici problemi, aiutandoli a dare alle loro idee per una realizzazione finale soddisfacente.

Tutta l’arte impressionista, e in particolare l’arte dell’incisione, ha comunque un grande debito con l’arte orientale, che già ai tempi di Re Luigi XV era conosciuta grazie all’importante collezione di libri e disegni cinesi, appartenuti alla collezione di Bertin, antico controllore delle finanze del Re.

Collezione successivamente confiscata dalla Rivoluzione francese, e che fortunatamente entrò poi, insieme a quella sull’arte giapponese, a far parte delle collezioni della Biblioteca Nazionale di Francia, dove tutt’ora costituiscono il più importante deposito sull’arte orientale d’Europa.

Degas e Toulouse-Lautrec, ad esempio, furono abituali frequentatori del Cabinet des Estampes della Biblioteca Nazionale e da queste frequentazioni trassero ispirazioni e se ne servirono per diffondere un gusto per la composizione che trovò, anche in molti artisti dell’epoca, puntuale rispondenza, arrivando a determinare un’evoluzione del gusto compositivo che, proprio dalle sperimentazioni grafiche, passò poi alla pittura e alle arti applicate.

Henry Somm – Le Chagrin. Pastello, 44,5×54 cm, 1890 ca.

Per artisti come Monet, Bracquemond, Henry Somm e molti altri, le opere provenienti dalla Cina e dal Giappone furono una fonte di ispirazione infinita e servirono a far nascere un nuovo stile pittorico, che sfocerà dall’Impressionismo al Simbolismo e financo all’Art déco.

In particolare, le opere delle collezioni orientali furono fondamentali per la nascita della pubblicità moderna, oltre che per tutta la grafica dei secoli a venire.

L’eredità di artisti come Corot, Millet e i compagni dell’Ecole de Barbizon, intrecciata con le esperienze grafiche provenienti dalla Cina e dal Giappone furono la base di un mix di espressioni che trovarono proprio nel mezzo della grafica una autonoma capacità di ispirazione e servirono a dischiudere nuove strade alla pittura impressionista.

È per altro curioso ed emblematico notare come un artista come Manet, che pur vicino agli impressionisti non partecipò mai con i suoi dipinti alle loro mostre, partecipò invece per solidarietà alla prima mostra tenutasi da Nadar nel 1874, con una serie di incisioni, tra cui il “Torero morto”.

Per altro questa incisione, così come le altre sue opere, furono realizzate ben prima della nascita dell’impressionismo e quindi lontane dal sentire di quel movimento, essendo più vicine all’arte italiana e spagnola che non ai dettami del nascente Impressionismo.

Per Renoir, invece, la realizzazione di opere grafiche è posteriore, e di molto, al fatidico 1874 e quindi alla nascita dell’Impressionismo, in quanto le sue prime grafiche risalgono al 1889 e furono principalmente dedicate al mercato, prima che alla ricerca, servendo da illustrazione o da corredo per opere commissionategli da mercanti abili e capaci, come ad esempio Ambroise Vollard o Durand-Ruel, che videro nella rinnovata vitalità della grafica un nuovo mercato in rapida espansione.

Un tipico esempio di questa visione è il ricercatissimo ritratto di Wagner, commissionato a Renoir appositamente per essere commercializzato, vista la popolarità sia del grande compositore che dello stesso Renoir, che si dedicò in verità principalmente alla litografia, non disdegnando però la tecnica della puntasecca, che gli consentiva quegli arabeschi formali che lo avvicinavano di più alla sua pittura.

Non si può, poi, non riconoscere l’importanza di artisti come Marcellin Desboutin o Alphonse Legros, che ci hanno lasciato pagine incise di pregevole fattura. O il percorso di Jean-François Raffaelli con le sue sortite, impudiche, verso l’uso del colore nella grafica, certo non estraneo alla sua esclusione dalle mostre del gruppo impressionista e che causò la rottura di Degas, suo mentore, con il movimento.

Paul Gauguin – Etude de mains ou d’avant-bras. Monotipo, 31,8x12cm

Un capitolo a parte merita l’opera di Gauguin che, come spesso dimenticato, partecipò a molte mostre impressioniste, organizzandone addirittura una autonomamente nel celebre Caffè Volpini durante l’esposizione universale di Parigi del 1889 e dove, per cercare di finanziare la mostra, realizzò un portfolio di litografie riassuntivo delle sue esperienze pittoriche. Queste litografie gli serviranno successivamente quale traccia, per la straordinaria serie di xilografie realizzate dai legni incisi negli anni del suo rifugio polinesiano.

Dall’avventura impressionista e dalle sue sperimentazioni, la grafica artistica troverà nuovi sbocchi e nuove fonti di ispirazione, non solo per Gauguin, ma anche per molti artisti e personalità contigue all’Impressionismo, come ad esempio Steinlein, Bonnard, Vlaminck e il già citato Toulouse-Lautrec, che con gli impressionisti ebbe più di una contiguità, con frequentazioni che apparentano epoche, luoghi, modelle, ambienti, in un intreccio di vita reso ancor più affascinante, se visto in un contesto storico irripetibile, con il Moulin Rouge, il Moulin de la Galette, Montmartre, la Rue Corot, che ha visto passare Lautrec, Renoir e Suzanne Valadon, contesa tra i due e il di lei figlio Utrillo.

Ma l’Impressionismo è anche la vita “en plein air”, i boschi nei dintorni di Parigi, Barbizon, Fontainebleau, Louveciennes e l’amata Senna, con i suoi luoghi di ritrovo. Ma soprattutto, l’Impressionismo è una rivoluzione culturale in grado di unire artisti così diversi per stile, temperamento, formazione e a cui tutti noi dobbiamo essere grati per aver rinnovato l’arte e averla condotta verso quella libertà di espressione, che ha consentito di scavalcare di colpo secoli di accademismi, e permesso ad ogni artista di essere libero di esprimere il proprio sentimento.

Constant Troyon – La vache. Olio su tela, 38,5×60 cm

Di quella Parigi è rimasto oggi ben poco e chi ne volesse ripercorrere i luoghi avrebbe difficoltà a riconoscerne le strade, le case, gli studi, immortalati nelle celebri tele. Solo lo studio di Delacroix è rimasto pressoché intatto, nella splendida piazza Fűrstenberg, a testimonianza di come doveva essere la vita di un pittore alla nascita del movimento.

Le grandi demolizioni Haussmaniane e le continue trasformazioni subite dalla città, hanno fatto sì che anche il Cirque Ferdinand, che era ancora possibile vedere in epoche recenti, fosse demolito nel 1972, così come il mitico studio di Nadar, raso al suolo recentemente per far posto ad un anonimo edificio. Per respirare in parte quell’aria Bohémienne bisogna salire a Montmartre, dove si conservano ancora alcuni luoghi, come il Moulin de la Galette, la Villa des Arts, che ospitò gli studi di Renoir, Cézanne, Signac e poi di Utrillo e di sua madre Suzanne Valadon.

Panorama del Moulin de la Galette (foto di Giorgio Galeotti, Wikimedia Commons)

Resiste ancora oggi l’ultimo vigneto che, se pur in piccole quantità, continua a produrre il famoso vino di Montmartre e nelle giornate di bassa densità turistica, ben poche in verità, è ancora possibile respirare quell’aria di piccolo villaggio che incantò una generazione di artisti, divenendone rifugio e ispirazione, luogo dell’anima e della perdizione, tanto da diventare mito di un’epoca ormai lontana. Di tutto il resto, non rimane più nulla, e bisogna spostarsi fuori della città per scoprire ancora oggi i luoghi di una delle più straordinarie rivoluzioni della storia dell’arte; bisogna recarsi a Fontainebleau, dove la foresta è rimasta pressoché immutata, oppure a Barbizon dove è ancora possibile visitare le case che ospitarono Millet e i suoi amici e alcune delle locande, rese celebri da quel manipolo di giovani pittori. Altri luoghi che restituiscono parte di quel mondo perduto sono Louveciennes, dove esiste ancora la casa di Pissarro e soprattutto Giverny, dove visse Monet e nella cui casa si conserva, intatta, quell’atmosfera che ispirò alcuni dei più celebri capolavori del maestro.

Atelier di Jean-François Millet, Barbizon (foto di Chabe01, Wikimedia Commons)

Le trasformazioni architettoniche e sociali che percorsero la Francia verso la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e l’avvento di nuove tecnologie come la fotografia e il cinema contribuirono ad accompagnare la rivoluzione impressionista, che dovette tener conto delle nuove esigenze, scaturite da una visione dell’immagine che non poteva più essere relegata a puro racconto di gesti epici o mitologici, ma obbligata a rappresentare la realtà di un nuovo mondo, con il predominare di nuove figure, emerse dalle frenetiche trasformazioni e dal pulsare incessante di attività e commerci sino ad allora inimmaginabili.

Di tutto ciò la rivoluzione impressionista era testimone e, pur attraverso la proposizione di un mondo arcaico ed idilliaco, non ignorava la possanza delle nuove, gigantesche, stazioni ferroviarie, la comparsa delle prime automobili, l’apparire del volo e il fervore brulicante dei suoi boulevards.

Parigi si trasformò anche nella città del piacere per antonomasia, con i suoi numerosi cafè, cabaret, teatri, circhi e i famosi bordelli che divennero, nell’insieme, fonte di ispirazione per molti artisti, i quali immortalarono questi temi a loro particolarmente congeniali.

Il Moulin Rouge a Parigi, oggi (foto di Ricce, Wikimedia Commons)

Era quindi facile vedere Renoir, Degas e i loro compagni di strada nei foyers dell’Opéra così come nelle “maisons closes” o nel ridotto del Moulin Rouge che, inaugurato nel 1889, diverrà il tempio della trasgressione e inventerà – oltre che un nuovo ballo, il French Can Can – anche un nuovo metodo di pubblicità, affidandosi ai manifesti di Toulouse-Lautrec, i quali, soppiantando quelli di Cheret e Steinlein, riempiranno Parigi di nuove e ardite immagini con impostazioni grafiche del tutto innovative e inizieranno un nuovo sistema di comunicazione, dando vita alla moderna pubblicità.

La costruzione della Tour Eiffel, in occasione dell’Esposizione Universale del 1889, segnerà il culmine di una rivoluzione sociale oltreché artistica, e nulla sarà più come prima. La civiltà rurale e contadina sarà soppiantata da quella urbana e industriale e nel mondo dell’arte la strada, aperta dagli impressionisti, diverrà sempre più ampia e darà il via a una generazione di nuovi artisti, liberi di creare e dissacrare.

Exposition Universelle de Paris, 1889 (Wikimedia Commons)

Il testimone di questa trasformazione, che poggia sulle fondamenta dell’Impressionismo, sarà un giovane e talentuoso straniero, il quale ruberà quello che ancora rimane dello spirito di un’epoca e farà in tempo ad immortalarne gli ultimi bevitori di assenzio, le modelle ormai mature, i derelitti, estranei ad una società, in corsa per la conquista del benessere economico e sociale. Egli opererà una rilettura dei dettami impressionisti, del tutto personale e capace di stravolgere tutto quello che era stato fatto sino ad allora.
Era il 1900, l’alba di un nuovo secolo, ed era giunto a Parigi il ciclone Picasso.
Vincenzo Sanfo
(curatore della mostra “Impressionisti tra sogno e colore“)

Immagine di copertina: Claude Monet – Vue de Londres dans le brouillard “La Tamise”. Tecnica mista su carta, 21×28 cm, 1903. Collezione privata (part.)

Sabato 11 Marzo 2023 – Domenica 4 Giugno 2023
Impressionisti tra sogno e colore
MUSEO STORICO NAZIONALE D’ARTIGLIERIA – MASTIO DELLA CITTADELLA
Corso Galileo Ferraris, 2, 10121 Torino