Science Art Visions

L’arte vivente di Ackroyd & Harvey, tra Beuys ed Extinction Rebellion

di Maurita Cardone.

L'arte vivente di Ackroyd & Harvey, tra Beuys ed Extinction Rebellion

Quando l’obiettivo è salvare il Pianeta dalla distruzione ambientale, arte e attivismo sono spesso alleati. Molti degli artisti che si occupano di tematiche ambientali sono anche impegnati in movimenti per la salvaguardia della Terra, ma pochi hanno fatto di questa commistione il cuore del proprio lavoro, come gli inglesi Heather Ackroyd e Dan Harvey.

Fin dai primi lavori insieme, negli anni ‘90, Ackroyd e Harvey hanno portato nelle proprie opere un forte messaggio ambientale che si è evoluto in una pratica che sfuma i confini tra creazione artistica e attivismo. Le loro opere sono sempre accompagnate da programmi e azioni che coinvolgono le comunità, nello sforzo di diffondere la consapevolezza ambientale e cercare soluzioni condivise per un futuro sostenibile. Tante le loro collaborazioni con associazioni e movimenti ambientali. I due hanno partecipato alle spedizioni di Cape Farewell, uno dei primi gruppi a fare dell’arte uno strumenti di attivismo ambientale, e, ispirandosi alla filosofia e alle tattiche di Extinction Rebellion con cui collaborano fin dalla sua fondazione, i due artisti sono stati tra i fondatori di Culture Declares Emergency, un gruppo di professionisti della cultura e istituzioni che chiede al mondo della cultura di impegnarsi attivamente per un cambiamento rigenerativo.

Noti soprattutto per le opere realizzate sull’erba, Heather Ackroyd e Dan Harvey hanno sviluppato una complessa tecnica con la quale imprimono immagini, spesso ritratti fotografici, su un manto erboso da loro stessi coltivato. Come in “Dear Earth”, una serie di ritratti di attivisti ambientali inglesi, realizzati con festuca e loietto perenne, esposti all’interno della mostra virtuale “Altre Ecologie. Quando l’arte protegge il Pianeta“. Per altre opere i due artisti lavorano invece con gli alberi che trattano come monumenti viventi. Nel 2007 Ackroyd e Harvey hanno avviato un progetto che riprende ed espande il bosco di querce creato da Joseph Beuys a Kassel, in Germania. Nei prossimi anni, le piante germogliate dalle ghiande degli alberi di Beuys saranno piantate in luoghi diversi, creando un circolo virtuoso di rigenerazione.

All’interno della programmazione che accompagna la mostra virtuale su questa piattaforma, abbiamo intervistato Heather Ackroyd e Dan Harvey per farci raccontare come i temi ambientali sono entrati nel loro lavoro, come sono arrivati all’idea delle opere in erba e a Beuys. Fin dagli anni ‘90, i due fanno coppia nell’arte, ma per oltre trent’anni sono stati una coppia anche nella vita privata. Pur non essendo più sentimentalmente legati, come accade in ogni relazione di lunga durata, nel raccontare il proprio percorso artistico e le preoccupazioni ambientali che lo sostengono, spesso si interrompono a vicenda e completano l’uno le frasi dell’altro. L’intervista che segue cerca di riflettere questa dinamica, riportando le voci di entrambi.

L’intervista

Ackroyd & Harvey

[Maurita Cardone]: Quando avete iniziato a collaborare?

[Dan Harvey]: Ci siamo incontrati per la prima volta nel 1989 tramite un amico comune che aveva notato come entrambi fossimo interessati a incorporare elementi della natura nel nostro lavoro. Entrambi avevamo esposto a Londra dei pezzi con all’interno dell’erba. Il nostro amico organizzò un pranzo alla October Gallery di Londra, dove vidi per la prima volta il lavoro di Heather. Parlammo dell’idea di collaborare a un progetto l’anno successivo facendo crescere dell’erba su una stanza a volte. Questo portò alla nostra prima collaborazione nel 1990.

Quindi lavoravate già sui temi ambientali separatamente?

[Dan Harvey]: i miei lavori avevano molti elementi presi dalla natura e oggetti trovati, come, per esempio, ossa. E per me questo aveva a che fare con la vita. Volevo portare questi elementi viventi nel lavoro. Ma penso che poi sia stata proprio l’amore per un materiale particolare a farci incontrare e, di fatto, a ispirare un vasto corpus di lavori in 34 anni di collaborazione.

[Heather Ackroyd]: Al tempo lavoravo molto con collettivi di teatro e di performance, mettendo in discussione le pratiche tradizionali. Per un progetto all’Institute of Contemporary Arts di Londra insieme a un collettivo di sei artisti avevamo creato una messa in scena con un enorme tappeto d’erba. Ma per me la cosa fondamentale fu che nel 1988 presi coscienza dell’effetto serra. Al tempo si parlava ancora poco di crisi climatica, ma c’era lo scienziato James E. Hansen della NASA che parlava di effetto serra, spiegando che l’anidride carbonica che l’uomo stava immettendo nell’atmosfera a causa dell’industrializzazione occidentale stava danneggiando l’atmosfera. Questo mi colpì molto e influenzò il mio lavoro. Per una performance realizzai una scultura a grandezza naturale di un cammello con un bellissimo mantello di erba verde fresca che poi nel tempo appassì e divenne dorata come il pelo del cammello. Avevo trovato un testo altomedievale persiano che, invece del serpente che entra nel giardino dell’Eden, parlava di un cammello volante. Immaginavo il nostro procedere verso questo effetto serra, pensavo che saremmo andati incontro alla desertificazione, cosa che in alcune parti del mondo sta succedendo, ma oggi sappiamo che non dappertutto ci sarà desertificazione. Al tempo non lo sapevo, tutto quello che so è che questa idea entrò dritta nella mia immaginazione. E incontrare Dan è stata un’affermazione di queste idee.

Come si è evoluto poi il pensiero ambientale dietro al lavoro?

[Dan Harvey]: Entrambi mettevamo in discussione lo stato del Pianeta, ma inizialmente ci limitavamo a utilizzare materiali naturali nel nostro lavoro, non eravamo particolarmente concentrati sul cambiamento climatico. Eravamo affascinati dal legame tra natura e scienza, dalle catene di causa ed effetto e dall’idea di creare situazioni che poi prendono il controllo. Poi facemmo un grande progetto a Perth, in Australia, dove c’erano evidenze del riscaldamento globale, come il calore che risucchia l’umidità dalla sabbia o cristallizza scheletri, ed è stato allora che i processi naturali e il clima si sono introdotti nel nostro lavoro.

[Heather Ackroyd]: A me inizialmente interessavano gli archetipi, la mitologia, il simbolismo e l’alchimia. Entrambi avevamo questa fascinazione per i flussi naturali, i processi di germinazione, di crescita, morte. Quando nel 1994 arrivammo in Australia, c’erano stati alcuni incendi piuttosto devastanti. Tradizionalmente gli aborigeni accendevano fuochi controllati per gestire i terreni, ma poi arrivò l’occupazione britannica con una mentalità estrattiva e distruttiva. Andammo in zone in cui c’era questo deserto incredibile e straordinarie formazioni geologiche, ma anche agglomerati urbani, con centinaia di case con i loro prati e i loro irrigatori. Il contrasto tra questo territorio così geologicamente interessante e quello che la colonizzazione aveva fatto in quei luoghi mi fece sentire a disagio e iniziai a comprendere che il discorso ambientale non può prescindere da una riflessione sugli effetti del colonialismo.

Il vostro interesse per l’ambiente si manifesta anche in forma di attivismo. È sempre stato così?

[Heather Ackroyd]: Una delle prime esperienze in questo senso fu un’azione diretta al London Bridge che organizzammo in risposta al fatto che, come parte della Guerra del Golfo, stavano facendo saltare in aria tutte le raffinerie di petrolio e i container in zone vicino al mare. Ci procurammo del pesce e lo immergemmo nella melassa, che sembrava petrolio greggio, e lo sparpagliammo sul ponte. Credo che i temi siano stati sempre presenti nel nostro lavoro, ma il nostro linguaggio è diventato più esplicito e abbiamo iniziato a fare riferimenti diretti a certi concetti scientifici.

Avete co-fondato un gruppo che chiama all’appello il mondo della cultura per affrontare la crisi climatica. Di che si tratta?

[Heather Ackroyd]: Culture Declares Emergency è stato lanciato nel 2019 e nel frattempo sono nati tanti altri gruppi in settori specifici della cultura. Ma l’idea è la stessa: fare pressioni affinché il governo dica la verità sull’emergenza climatica ed ecologica, inverta il processo di perdita di biodiversità e raggiunga emissioni zero entro e non oltre il 2030. Si tratta di combattere l’ingiustizia globale e lavorare verso cambiamenti sistemici per proteggere tutta la vita sulla Terra. La chiave è la parola collettivo: si creano comunità armate di immaginazione, visione e desiderio di fare la differenza. Per parte nostra, come artisti, stiamo anche molto attenti alle emissioni, ai materiali con cui lavoriamo, eccetera, ma è soprattutto questione di fare pressione sul governo.

Quale pensate possa essere specificamente il ruolo della cultura e dell’arte nelle conversazione ambientale?

[Dan Harvey]: Un buon esempio di quanto la cultura possa fare la differenza ci è venuto dal lavorare con persone come Frances Morris [direttrice della Tate fino al 2023, ndr] che capiva l’importanza per un posto come la Tate di dichiarare l’emergenza, ma voleva lavorare dal basso e, quando ha sentito di avere alle spalle un buon numero di artisti di alto calibro, ha dichiarato l’emergenza dando vita a conversazioni importanti sul fatto che i musei debbano iniziare a pensare alle loro collezioni in modo diverso, anche in termini di che opere mostrano. Si sta creando un effetto a catena e il cambiamento alla fine inizia ad accadere.

[Heather Ackroyd]: Quando la Tate Modern, uno dei musei d’arte più noti al mondo, dichiara l’emergenza climatica ed ecologica è uno spostamento tettonico a livello culturale. Se leggi i titoli dei giornali ci sono solo emergenze, violenza, paura. Che sono certamente giustificate, ma io mi rifiuto di sprofondare nell’ansia ecologica e nella depressione perché stanno avvenendo così tante cose straordinarie. Preferisco usare la rabbia per creare un’azione creativa, che sia poetica, addirittura onirica, o che sia azione diretta e più dura. È un’orchestra di diversi artisti e attivisti che lavorano per il clima, per la natura, per la giustizia, per la società.

Veniamo ai lavori realizzati con l’erba. Voi usate l’erba come materiale, ma è anche il vostro mezzo e in un certo senso il vostro contenuto. Come avete iniziato e perché?

[Dan Harvey]: La prima volta che abbiamo lavorato insieme con l’erba è stato nell’estate del 1990, nel villaggio di Bussana Vecchia, nel nord Italia, dove c’era una comunità di artisti e i miei genitori avevano preso una casa che era un grande spazio con un soffitto a volta. Dietro il villaggio c’è una cava di argilla e così avevamo lo spazio, il materiale e Heather aveva dei semi e qualche fondo di una sponsorizzazione di un precedente progetto.

[Heather Ackroyd]: Entrambi lavoravamo già con l’erba, con metodologie e tecniche diverse, ma eravamo entrambi sostenuti dalla curiosità, da un profondo desiderio di ricerca, ma anche di gioco. C’era anche un elemento di performance, avevamo una telecamera con cui filmammo quello che stavamo facendo, aprimmo tutto al pubblico e parlammo molto con la gente. Abbiamo messo insieme tanti elementi di ognuna delle nostre pratiche.

[Dan Harvey]: Avevamo anche della musica, composta da Francis Shaw, il compositore della colonna sonora di Camera con vista, che ha casa in paese. Facemmo gli inviti con i semi d’erba nella carta, prima che lo facessero tutti [ride].

[Heather Ackroyd]: Ed è stato allora che abbiamo inserito la scala come parte dell’installazione contro il muro d’erba. E quando abbiamo tolto la scala, abbiamo visto quest’ombra gialla e abbiamo capito che stavamo assistendo a qualcosa di importante e significativo.

È stato in quel momento che vi siete accorti che l’erba poteva essere impressionata, trattata come una fotografia?

[Dan Harvey]: Sì, perché la stanza aveva una finestra molto grande a un’estremità e avevamo una lampada alogena per l’illuminazione serale che faceva una luce molto direzionale. E ovviamente, è come se lasci un oggetto sull’erba, quando lo sposti l’erba sotto è gialla, come succede con la tenda quando sei in campeggio. Un anno dopo, in una mostra in Francia, abbiamo provato con un piccolo proiettore, pensando che, se non avesse funzionato, avremmo potuto semplicemente tenere chiusa quella parte dell’installazione. Rimanemmo sbalorditi dalla qualità dell’immagine che eravamo riusciti a ottenere. Da lì siamo passati a lavori più grandi e abbiamo perfezionato la tecnica.

[Heather Ackroyd]: Abbiamo collaborato con scienziati, con esperti di proiettori e di fotografia, abbiamo imparato così tanto! Sono pezzi molto impegnativi che richiedono precisione e lavoro artigianale.

Il materiale che avete scelto ha anche una natura transitoria che lo rende difficile da collezionare. È intenzionale? È una sfida al mercato dell’arte?

[Dan Harvey]: Prima che ci concentrassimo su questo tipo di lavori, Robert e Lisa Sainsbury avevano comprato alcuni miei lavori. Ma quando ho incontrato Heather e abbiamo iniziato a lavorare sull’erba, in particolare Lisa Sainsbury era dispiaciuta, perché era qualcosa che non potevano afferrare, che non potevano possedere, non potevano mettere queste opere nelle loro collezioni, nei musei. Onestamente la sua reazione mi sorprese, non me l’aspettavo.

E c’è un elemento simbolico nella scelta dell’erba?

[Heather Ackroyd]: L’erba è probabilmente la pianta da fiore più di successo. Ci sono erbe marine che possono assorbire più anidride carbonica di un’area di uguale estensione della foresta amazzonica, ci sono erbe che crescono in luoghi impossibili ed erbe rare con incredibili proprietà. E in agricoltura è l’erba la vincitrice: pensa al riso, al mais, al grano, l’orzo, l’avena, fanno tutti parte della famiglia delle erbe. Abbiamo tagliato foreste, brughiere e mangrovie e abbiamo convertito tutto in enormi pascoli e monocolture di grano. L’umanità ha trasformato il pianeta in una grande fattoria ed è stata la battaglia dell’erba contro gli alberi.

[Dan Harvey]: Non usiamo l’erba perché ci piacciono i prati, quello che ci interessa è quel primo strato di vita, di materiale fotosintetico. La cosa bella della clorofilla è che la sua molecola è in realtà esattamente la stessa della molecola dell’eme nel nostro sangue. L’unica differenza è che nella molecola dell’eme c’è il ferro al centro e nella clorofilla c’è il magnesio, quindi il sangue è rosso e la clorofilla verde, ma sono entrambe linfa vitale.

Parliamo della serie Dear Earth, esposta all’interno della mostra Altre Ecologie.

[Heather Ackroyd]: Negli ultimi anni abbiamo fatto ritratti principalmente di attivisti o, come ci piace chiamarli, protettori della terra.

[Dan Harvey]: Ci furono delle proteste ambientali nell’area in cui viviamo. In quell’occasione facemmo dei ritratti di questi protettori della Terra impressi nell’erba che sono poi diventati parte di una serie che si è sviluppata nel tempo.

[Heather Ackroyd]: Abbiamo preso i quattro pilastri di una civiltà ecologica: il suolo, i semi, l’aria e l’acqua. E abbiamo trovato attivisti con sede a Londra che stavano facendo attività di resistenza in ognuno di questi ambiti e abbiamo chiesto loro se potevamo fare il loro ritratto sull’erba. La manifestazione dell’immagine avviene a livello molecolare, quindi stiamo letteralmente portando in vita quella persona attraverso le reazioni biochimiche che avvengono all’interno delle cellule all’interno della pianta.

[Dan Harvey]: Era importante che fosse una collaborazione. Così, ogni volta che facevamo un evento o c’era una conferenza stampa, ci assicuravamo che chi aveva collaborato al progetto fosse presente per parlare delle proprie attività.

Schaukasten der Stiftung 7000 Eichen am Friedrichsplatz zum Projekt 7000 Eichen – Stadtverwaldung statt Stadtverwaltung, eine soziale Plastik von Joseph Beuys, gestartet 1982 auf der documenta 7 in Kassel, Hessen, Deutschland (foto di Baummapper, Wikimedia Commons)

Veniamo a Beuys, protagonista dell’altro vostro progetto esposto per Altre Ecologie. Come vi è venuta l’idea di riprendere il lavoro “7000 Oaks – City Forestation Instead of City Administration” (1982) di Beuys.

[Heather Ackroyd]: Avevamo già iniziato a pensare in modo critico al lavoro di Beuys e in particolare 7000 Oaks catturava la nostra immaginazione, l’idea di questa entità vivente in una città del dopoguerra. Ci venne l’idea di raccogliere le ghiande dei suoi alberi ma pensammo che era così ovvio che sicuramente qualcuno lo aveva già fatto. Ma non era così. Quindi sono salita su un treno e sono andata a Kassel a raccogliere le ghiande degli alberi di Beuys. Nel 2007 le abbiamo fatte germinare e ora abbiamo degli alberi quasi maturi

[Dan Harvey]: Un altro stimolo venne dal libro di Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi. Un nostro amico in Italia ce ne regalò una copia insieme a una manciata di ghiande. E nel leggerlo continuavamo a pensare a 7000 Oaks e poi abbiamo scoperto che Joseph Beuys lo aveva letto e ne era stato ispirato a realizzare l’opera. Quindi il cerchio si è chiuso. Ma per me sono gli alberi stessi ad essere interessanti. Mio padre era un artista ma era anche un guardaboschi e chirurgo degli alberi, quindi ho da sempre una passione per i boschi e gli alberi. E, mentre l’erba è effimera, una ghianda crea qualcosa di più longevo e c’è tutta quella magia del germogliare e crescere ed eccoci 17 anni dopo, con questi alberi che continuano a crescere. Lavorare con gli alberi ci ha poi portato a progetti come quello per il Queen Elizabeth Olympic Park [dove i due hanno realizzato Hystory Trees, un’installazione di arte pubblica fatta di dieci alberi, ognuno dei quali sostiene un anello di metallo, ndr], dove abbiamo lavorato col concetto di monumentale, ma, mentre molte sculture col tempo iniziano a sembrare tristi o datate, gli alberi continuano a migliorare finché vivono.

Beuys’Acorns, Woodhatch Place, 2023

A che punto è il progetto?

[Heather Ackroyd]: Abbiamo circa 116 alberi sopravvissuti e tra il 2024 e il 2027 ne pianteremo altri. L’idea è di piantare diciassette cerchi di sette alberi in spazi pubblici in tutto il Regno Unito da qui al 2027. È un ciclo e per ogni ciclo piantiamo un cerchio dal diametro di 17 metri, fatto di alberi a distanza di 7,7 metri l’uno dall’altro. Il 7 è il numero magico, tornando a 7000 Oaks. Vorremmo far coincidere la piantumazione finale con il quarantesimo anniversario di quella fatta nel 1987 dal figlio di Beuys che era morto nel 1986. Il terreno per ogni cerchio sarà preparato attraverso un programma creativo di impegno pubblico. Parte integrante della piantumazione è il coinvolgimento della comunità, vogliamo che le scuole e le associazioni del territorio sappiano da dove vengono questi alberi e vedano il valore dell’albero e quello che l’albero fa per loro. E non solo per la specie umana: le querce supportano oltre 2200 specie diverse. Si tratta di reciprocità, di uno scambio di cura, custodia, con al cuore la creatività. Ora dobbiamo raccogliere fondi. Abbiamo fatto un’enorme quantità di lavoro ed esaurito tutte le nostre risorse e in questo momento nel Regno Unito le cose sono difficili nella cultura e nell’arte. Per andare avanti abbiamo bisogno di risorse. Ma ce la faremo.

History Trees – Queen Elizabeth Olympic Park, London, 2012

Riferimenti e contatti
Ackroyd & Harvey official website
Immagine in evidenza
© Ackroyd & Harvey – L’ Altro Lato, 1990 – Laboratorio Aperto, Bussana Vecchia, Italy – Photo the artists
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Tutte le immagini © Ackroyd & Harvey