[Redazione] Quando ho visto la prima volta le foto delle tue opere, ho creduto subito che fosse arte digitale. Ho compreso, poi, guardando le opere da vicino, di trovarmi davanti ad una mano esperta, matura, che sapesse perfettamente districarsi nell’uso dei colori e della tecnica. Ci vuoi parlare di come dipingi e di cosa utilizzi per riuscire ad ottenere questo impatto visivo ed emotivo?
[Mario Stefano]: A seguito del risultato visivo della mia pittura, qualcuno ha in effetti frettolosamente concluso che siano immagini stampate. La verità è che siamo ormai condizionati dall’esistenza di strumentazioni di comodo uso, capaci di dare ottimi risultati che, proprio per la loro esistenza, inducono ad escludere il classico modo di dipingere a mano; ciò è contestabile semplicemente guardando da vicino le opere; osservandone i pregi, ma soprattutto i difetti, perché è proprio da questi ultimi che emerge la fattura umana. Le opere viste in fotografia, essendo ovviamente ridotte, non fanno emergere tante imperfezioni le quali, paradossalmente, sono le rivelatrici del lavoro manuale.
In piena era digitale, ha ancora senso dipingere in maniera analogica?
Nella pittura c’è più elettricità di quanto non si pensi: i materiali che compongono un quadro sono frutto di reazioni, mescolamenti, strofinamenti che “producono” energia.Un’esperienza artistica, fonte di gratificazione e crescita personale. Infatti, a un certo punto, mi son reso conto che dipingevo non tanto per il dipinto in sé, ma perché volevo vivere l’esperienza del dipingere.
Un’ esperienza sempre nuova, diversa, dipinto dopo dipinto.
Attualmente, in piena epoca digitale, la pittura sembra in crisi, come la maggior parte delle attività intellettuali-creative dell’umano. A mio modesto giudizio, la pittura oggi ha senso più che mai, sia per chi la pratica, come richiamo a non perdere un atteggiamento quasi ancestrale, sia per chi non la pratica, come monito a non dimenticare come osservare le cose.
In conclusione, la pittura, prodotto dell’anima, fa bene all’anima.
Come nasce una tua opera? Cos’è per te l’ispirazione?
Nel professionismo l’ispirazione conta poco. Conta il lavoro e l’autodisciplina. La mattina mi sveglio presto, e mi metto all’opera. Schizzi, bozzetti, studio della composizione.
Hai sviluppato molte tecniche, alcune molto note e caratterizzanti del tuo lavoro; che significato e valore attribuisci alla tecnica nella realizzazione di una tua opera d’arte?
La tecnica è stata sempre essenziale per fare arte. Da Duchamp ad oggi abbiamo avuto la sensazione che per anni la tecnica fosse scomparsa, che non fosse più un carattere distintivo, qualitativo dell’opera dell’arte. Adesso ci troviamo in una condizione in cui dobbiamo ripensare all’idea dell’arte che non è solo un concetto filosofico da raccontare; infatti bisogna assolutamente ritornare anche ad eseguire. Per me la tecnica è molto importante, io la uso e mi diverto ad usarla.
Quanto di te “fanciullo” c’è nella tua produzione artistica?
L’elemento della fanciullezza ci accompagna per tutta la vita, è quella purezza di spirito che ti fa agire anche improvvisamente per vivere nella bellezza; credo nell’idea che l’arte sia una cosa bella, un territorio in cui ancora ci piace stare, come ad esempio svegliarsi al mattino e scrivere qualcosa o suonare il pianoforte … in realtà è quell’elemento essenziale che mi permette di continuare questo mestiere. Se fosse vero quello che dice il curatore del MoMa “l’essenza dell’arte è il suo business quindi il danaro che ci sta dietro” allora io non farei arte ma venderei prosciutti.
A chi senti di dover dire “Grazie”?
A Dio.