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L’avventura dei “libri dei pittori”

L'avventura dei "libri dei pittori"
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Più e più volte nel secondo Novecento, son tornati ad affiorare avvincenti i “libri dei pittori”, come li chiamano in Francia (les livres des peintres): che sono testi di poesia o di narrativa, antichi o moderni, illustrati dalla mano di un artista immaginoso e insieme sapiente. Si tratta quasi sempre di una scelta che è l’artista a compiere, e sulla quale meditare, immaginare, progettare la sua personale visione illustrativa. In questi libri appare evidente che il messaggio riletto alla luce del fascino figurativo, e insomma insieme alla “fabula de lineis et coloribus”, prende il sopravvento sul testo narrato. Almeno su quello contenuto nei caratteri ormai storici di Gutenberg.

Esiste naturalmente qualche ragione se accade che la narrazione visiva finisce per prevalere sulla scrittura: e ciò significa che la vecchia esclusione dei valori illustrativi non ha più corso, almeno agli occhi dell’artista. È naturale che questa nuova avventura dell’illustrazione deve possedere qualità e – sua volta – una vera poesia. Alle origini della consuetudine alla creazione del cosiddetto “libro d’arte” è certamente l’assunzione e l’esame, l’incontro con il libro dell’età moderna, quello più disposto a lasciarsi corteggiare. Mi sembra insomma quasi naturale che le grandi, le eccelse qualità dei più antichi illustratori (per esempio, Valerio Castello con in mano la Gerusalemme di Torquato Tasso) siano da intendersi, proprio per essere comprese, come postesi al servizio dello scrittore, e ancor di più al poeta.
È solo in piena età romantica che questa sorta di confronto, questo ulteriore capitolo della lotta per il primato delle Arti, viene placandosi e nello stesso tempo nuovamente eccitandosi in ragione dell’intenzione che l’artista pone nel rievocare, al centro del suo intento, la splendida possibilità che la fantasia oggi gli concede. Che è quella di calarsi nell’interno delle strutture più intime all’opera e delle fatiche stesse del poeta o del narratore: e di plasmarvi con raddoppiata facilità ed agilità il senso stesso di quella vicenda, i caratteri e le peculiarità di stile, e il senso stesso della pagina intrapresa e delle sue finalità, delle sue espresse – o latenti – volontà di espressione.

In questo senso, il libro d’arte e la libertà di sintesi che gli è consentita – pagina dietro pagina – sarebbe stata inimmaginabile se ci apparisse ancora una volta sottomessa ai canoni strumentali dell’illustrazione dell’età illuministica e settecentesca, e insomma alle ragioni imitative e ripetitive che prima ne governavano presenza e procedimenti.
In età neoclassica, e cioè nel pieno della difficile stagione, ogni movenza, evocazione, immaginazione si rafforza nel confronto e nella copia dell’Antico: e per far questo smarrisce corporeità fisica, svuota lentamente spessore e contenuto; e infine si riduce all’illustrazione che è stata detta sostenersi sulla “linea continua”. Occorre infatti imitare l’inimitabile per conseguire, di quest’ultimo, il prestigio sospeso nell’aereo spessore del tempo, e divenire a nostra volta inimitabili. L’unità delle Arti ritorna ad affermarsi dopo le pagine brevi di Schelling, quasi accenti musicali che mostrano di potersi unire e di poter convivere l’uno accanto all’altro. Anzi, l’uno nell’altro. Il romanticismo è di fatto la stagione piena, incontenibile che nasce letteralmente nel libro e per il libro. E non ne serve la vicenda, come pure non la teme, non vi appare sottomessa. Nulla è più irrefutabile del fatto che appaia accordo universale quello che afferma essere l’incipit del fresco genere espressivo e della stessa realizzazione editoriale moderna, l’impresa da tutti esaltata di Eugéne Delacroix che con ben diciotto litografie accompagna il poema inesauribile, esistenziale, del Faust di Goethe nell’anno 1828 a Parigi. Da questa splendida osmosi si avverte nascere una nuova impresa, il cui ordine culturale partecipa di due dimensioni nel mezzo espressivo e non cede il campo a nessuna di quelle. Il libro d’arte ha dunque tenuto sempre la parte della felice fantasia e nel contempo dell’unità delle Arti, seguendo – come ha fatto la magnifica raccolta di Corrado Mingardi – un itinerario dove i grandi nomi della stagione romantica si accomunano a quelli del simbolismo e di ogni decadentismo, e ancor d’ogni moderna avanguardia: da Delacroix a Manet a Redon, a Braque oppure a Dalì. Poi si creano sodalizi tra artisti e poeti che sono destinati a ripetersi, a riproporsi, come quello tra Apollinare e Derain, oppure tra Ricasso e Max Jacob. Mi sembra superfluo, oggi, continuare nelle citazioni: questa mostra parla una lingua globale, raffinatissima, capace di giungere fino ai nostri gusti più recenti.

Il libro d’arte consente ad ognuno di noi, potenziale collezionista oppure lettore accanito, di muoversi grazie al solo sfogliare le pagine di una sorta di itinerario personale, dove la fantasia, che è sempre uno stato gassoso della ragione e dell’esperienza, ci consente di sognare. Gli scaffali stessi divengono il luogo dove si installa senza sforzo una dimensione di sogno e di memoria. La biblioteca si dilata oltre i confini della nostra condizione umana. Il pittore, il disegnatore, e insomma l’artista d’ogni mezzo espressivo, entrano nella grandezza inarrestabile dell’Ut Pictura Poesis.
Andrea Emiliani

Dal Catalogo della mostra “Allo! Paris! Il libro d’artista dalla Francia al mondo nella collezione Corrado Mingardi” a cura di Francesca Magri e Corrado Mingardi.
Periodo: dal 18 marzo all’11 maggio 2008
Fondazione Cariparma – Palazzo Bossi Bocchi, Parma
Mostra promossa e organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Parma.
Ufficio Stampa:: Studio Esseci