Le “nature morte umane” di Olga Shpak. Recensione e intervista

di Mariateresa Zagone.

Le "nature morte umane" di Olga Shpak. Recensione e intervista

Olga Sphak è una fotografa d’arte russa, siberiana di Novosibirsk, innamorata letteralmente della bellezza e della perfezione. Laureata in lingua e letteratura russa, da dodici anni si dedica con tutta se stessa alla fotografia. I suoi scatti, fortemente simbolici e di un erotismo a volte dolcissimo altre morboso, si articolano lungo un sistema di segni che trae origine dalla pittura.

I corpi che sceglie per le sue composizioni sono corpi efebici, bianchissimi come la neve che ricopre la sua terra, esprimono languori erotici, melancolie sessuali. Sono corpi “apparecchiati” come nature morte che strizzano l’occhio a una non velata fluidità gender. Sono foto algide, composizioni talmente perfette da essere surreali.
Il suo lavoro fotografico è uno scavo interiore dentro la materia sensibile del corpo e ci invita a guardare attraverso il visibile l’avvento di un mondo possibile, fatto di naturalità nelle relazioni d’amore fra gli esseri viventi. Fotografa estremamente colta eppure personalissima, il puzzle messo in scena nei suoi set è pieno di rimandi all’infanzia, alla dimensione surreale e magica e, ancora, alla ritrattistica rinascimentale italiana e, soprattutto, fiamminga.

In Caravaggio style

I suoi modelli sono giovani uomini e donne o bambini, l’artista salta volutamente la tarda età come facevano Policleto o Fidia, alla ricerca della perfezione. I corpi sono immobili, i rimandi alla Ophelia di John Everett Millais di alcuni scatti o alle donne bloccate nelle inquietanti attese silenziose di Edward Hopper sono più che citazioni, mentre all’iconografia sacra fanno riferimento scatti come il San Sebastiano o le crocifissioni che, cambiate di segno, istillano nel tragico una mollezza estetizzante.
Ancora, scene intenzionalmente agresti come le varie versioni de “il raccolto” si intorbidiscono di una perversione che richiama alla mente il De Sade del pasoliniano “Salò o le 120 giornate di Sodoma” e l’innocenza pre-adamidica dei suoi bambini ricorda l’eros naturalmente inconsapevole di talune figurette di Balthus. Tutti i suoi personaggi si collocano in un tempo sospeso, un istante la cui durata è estesa fino al punto di sfuggire alle leggi fisiche.

The ritual

L’intervista

[Mariateresa Zagone]: Chi è Olga Shpak?

[Olga Shpak]: Olga Shpak è una fotografa d’arte concettuale.

Come e quando è nata la tua passione per la fotografia?

La mia formazione è quella di insegnante di lettere, mi sono infatti laureata in lingua e letteratura russa. Sono sempre stata un’avida lettrice. La fotografia mi ha attratto con la sua capacità di esprimere pensieri senza parole; è una meravigliosa lingua internazionale. Ho anche un profondo amore per il cinema e ne guardo moltissimo. Nel 2011 ho seguito un corso di fotografia con un ottimo insegnante nella mia città natale, Novosibirsk. Acquisisco rapidamente nuove competenze e ho trovato affascinante provare cose nuove. Ho imparato da autodidatta sotto la spinta della passione, sperimentando ampiamente. Ho iniziato a trovare modelle e truccatori interessati a una collaborazione reciprocamente vantaggiosa. Mi sono cimentata in generi diversi, ma ho subito capito che ciò che mi attraeva veramente era la fotografia concettuale (in cui l’artista immagina una scena e la costruisce sul set).

Nelle tue opere ricorrono spesso i costumi russi… cosa c’è di autobiografico nelle tue foto?

In effetti ho utilizzato cappelli stilizzati come i kokoshnik russi solo in due shooting perché mi piace la loro forma ma, in generale, c’è qualcosa di autobiografico in quasi tutti i miei scatti. Ad esempio, ho dedicato degli scatti creativi negli ultimi quattro anni, alla mia donna. Un’idea nasce da tante particelle: non sempre è possibile capire cosa viene dalla vita reale e cosa è fantasia. Le mie foto sono il mio modo di comunicare con il mondo esterno.

L’occhio che adotti nelle tue composizioni deve molto alla pittura. Qual è il tuo rapporto con essa?

Ho imparato le basi della composizione dai libri per artisti, quelli accademici di base. Ho amato la pittura fin dall’infanzia. Penso che ci sia molto da guardare in essa. Ho molti cataloghi d’arte a casa e, quando possibile, cerco di visitare musei e mostre.

Qual è il tuo rapporto col corpo?

Penso di essere in armonia con il mio corpo.

Le tue composizioni di “nature morte umane” sembrano bloccate nel tempo e nello spazio. I corpi sono fluidi, abbracciati, spesso nudi o seminudi. Hai incontrato spesso la censura con i tuoi scatti?

La serie “Nature morte umane” è una delle preferite dal mio pubblico. Non ho riscontrato censura durante la sua esposizione. All’inizio (quando l’ho esposta per la prima volta a Novosibirsk) c’era disappunto feroce, quasi odio, ma non censura. Durante tutta la mia attività espositiva sono stati censurati soltanto due fotogrammi: uno mostrava un capezzolo femminile, il secondo mostrava due ragazze che si baciavano.

Come scegli i costumi e gli oggetti di scena?

All’inizio della mia carriera nella fotografia cercavo da me stessa tutti gli oggetti di scena. Ho realizzato oggetti e ho cucito abiti. Spulciavo sui siti in cui venivano donati oggetti usati e acquistavo spesso nei mercatini delle pulci.
Ora che sono molto conosciuta in città ho l’opportunità di attirare stilisti, oggetti e costumi mi vengono spesso donati per le riprese. Nonostante ciò produciamo e acquistiamo ancora la maggior parte degli oggetti di scena, insieme al mio truccatore abituale e al mio assistente.
Mi piace usare cose che abbiano una loro storia, un loro vissuto; riempiono di anima le immagini che creo. Voglio dare la sensazione che i miei modelli indossino questi abiti nella vita reale. Usiamo molte cose che provengono dal nostro guardaroba. Abbiamo cose di base che vengono utilizzate particolarmente spesso: ad esempio lingerie combinata fra slip e top.

Ikarus

Cosa raccontano le tue fotografie?

In realtà, mi occupo di fotografia artistica da circa 7 anni e durante questo periodo, ovviamente, il mio linguaggio è cambiato, sono cresciuta. Cambiano temi e trame. Ad esempio nella prima serie, “Persone”, mi sono ispirata alla pittura rinascimentale.
Nella serie “Nature morte umane”, mi sono interessata ai temi della vita e dell’inanimato: ho rappresentato i modelli umani come oggetti, in pose statiche. Al momento posso dire che gli argomenti più interessanti per me sono la vita, la morte, la rinascita. Mi piace lavorare con trame mitologiche, ripensarle. Inoltre, uno dei temi centrali della mia poetica negli ultimi anni è il tema del genere e dell’amore. Ci sono molti soggetti omoerotici nei miei lavori.
Ora lo stile del mio lavoro è più legato alla natura, alla realtà pulsante del corpo umano, alle emozioni che esprimono le posture e le espressioni, spesso spinte al limite.

Still life with fish. Trinity

Cosa vorresti che gli spettatori cogliessero nei tuoi scatti?

Voglio che chi guarda le mie foto rifletta. Forse sono un po’ ingenua, ma credo ancora che la bellezza guarisca l’anima, e cerco di mostrarla nelle persone e nelle cose. La bellezza è diversa… Voglio che le persone imparino a costruire un dialogo tra loro, ad essere gentili, a stare attente ai sentimenti degli altri. Per me è importante sostenere le persone queer e mostrare i diversi aspetti dell’amore umano. Sento questo quasi come un imperativo, una cosa da fare soprattutto in questo momento in Russia, per tutti gli omosessuali russi.

Quali obiettivi preferisci usare e perché?

Ho tre obiettivi fissi preferiti: 105 mm/2,8 per i ritratti, 35 mm/1,4: lo uso per scattare planimetrie generali e talvolta ritratti. E fisheye 16mm. Questo è un vecchio obiettivo meccanico dell’URSS, offre un’immagine a colori straordinaria e una sorprendente distorsione prospettica. Lo uso in quegli scatti che voglio rendere strani e folli. Scatto con una fotocamera Nikon D800, è vecchia, ma fa fronte alle mie necessità.

Che rapporto hai con il mondo della moda?

Amo la moda come arte, come parte della storia e della vita umana. Mi piace fotografare la moda, ma solo se dietro c’è una storia completa, anche se realizzo servizi di moda su base commerciale. E’ lavoro. Ma l’arte è un’altra cosa.
Non ci sono opportunità di lavorare con abiti firmati d’avanguardia o di alta moda nella mia città. Ma mi piacerebbe davvero farlo un giorno. In Europa, credo.

In quale paese europeo il tuo lavoro è maggiormente apprezzato?

Prima della pandemia avevo iniziato a girare attivamente in Italia e Germania. In Italia, la mia visione è stata accolta con particolare entusiasmo e calore.

Mermaids. Suffocation

Qual è il tuo rapporto con l’arte italiana e con l’Italia in generale?

Amo moltissimo l’Italia. Sono cresciuta con l’arte italiana, con il cinema italiano. Le pubblicazioni sulla piattaforma PhotoVogue Italia mi hanno portato molta esperienza e conoscenze. A Milano ho avuto la fortuna di visitare la mostra del mio fotografo preferito Paolo Roversi e anche di parlare con lui. Milano, Venezia sono per me città di bellezza e d’amore in cui ho fatto il primo viaggio e il primo lavoro in comune con la mia donna. Mi manca l’Italia…

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Tutte le immagini © Olga Sphak
Immagine in evidenza: Olga Sphak – Ophelia (part.)