“Intensità” è un termine che calza a pennello con la pittura di Moreni degli esordi, della sua non troppo conosciuta preistoria, come quella delle stagioni successive (…).
La prima fase dell’artista, circa un decennio di lavoro, sarà sostanzialmente una rotta di avvicinamento alla prima grande stagione ‘ufficiale’. Fin dagli inizi aveva dimostrato un movente espressionista. Ma soprattutto quella vena visionaria, ‘favolosà è da intendersi come dato di partenza. Queste componenti ritorneranno, infatti, in più maturi esiti espressivi e in tutte le diverse stagioni, se così vogliamo chiamarle, di Moreni. Opere di una pittura eccitata come Il gallo e le angurie del ’45, il quasi allucinato, febbrile Autoritratto dell’anno successivo o i coevi Uomo sdraiato e Gallo, non si dovrebbe temere di forzarne indebitamente la lettura considerandole degli incunaboli o premonizioni di fasi operative di molti anni a venire (…) dal ciclo delle angurie – una vera e propria epopea con relative metafore sessuali in proiezione antropologica avviato quasi un trentennio dopo – alla densissima serie degli autoritratti, forse la più cospicua di tutta la storia della pittura, iniziata intorno al 1985 col quasi vangoghiano Autoritratto n.1° a ottantadue anni di sua età (…).
Nel ’48, alla prima Biennale di Venezia del dopoguerra (…) è presente anche Moreni (…). In quest’occasione muta registro ed espone tre dipinti con la stessa indicazione: Quadro astratto. Il passaggio si era concretizzato attraverso una notevole semplificazione delle forme, non più leggibili come rappresentazione della realtà. Restava la concitazione, ma prosciugata di quell’empito, di quella violenza ancora romantica da pittore di terre del nord (…). I titoli delle opere del ’48-49, successivi a nature morte con Pesci e poi Oggetto e figura e Figura di donna, sono indicativi delle verifiche condotte nel versante dell’astrattismo, e forse meglio dire dell’arte ‘concreta’, ufficializzata a Milano dal gruppo Dorfles, Monnet, Munari e Soldati. Dopo le versioni di Quadro astratto, si possono trovare Costruzione, Spazio monumentale, Composizione, Avventura geometrica. Qualche suggestione di ‘meccanomorfismo’, di forme tecnologiche, e poi più nessun riferimento alla realtà visibile (…).
In tempestiva sintonia con un diffusa temperie, Moreni assolve con uno stile tutto suo il debito di un aggiornamento europeo che gli artisti italiani del dopoguerra sentivano di dover pagare. Sfoltisce il quadro in forme che tendono a semplificarsi in tasselli ricomposti e sovrapposizioni di bande come ritagliate, ma assottigliando anche lo spessore del colore, rendendolo piatto, come si trattasse di lamine, di un découpage metallico.
È in alcune opere del ’49-‘50 che s’avverte la fase di maggiore vicinanza al verbo concretista (…): ormai le costruzioni plastiche moreniane, che si stagliano su fondi d’una tonalità intensa, notturna, e dove la particolare asciuttezza del colore è sempre più lontana dalle piatte cromìe concretiste, dichiarano un’intenzione evocativa, un riferimento al dato reale che si fa gradualmente più esplicito e preciso. Sono dipinti di una qualità pittorica spesso molto alta, e ormai inconfondibile per certa atmosfera già visionaria che diventerà anche nelle stagioni successive una caratteristica riconoscibile del lavoro del pittore.(…)
La partecipazione al gruppo degli ‘Otto pittorì segnò il tempo di un riconoscimento pieno dell’artista, il più giovane della cerchia(…). Furono sostanzialmente i pittori stessi a scegliersi, perché il gruppo non nacque da un comune presupposto teorico. Nessun manifesto programmatico, nessun ufficiale dettato estetico, e anzi una prospettiva molto aperta nel condiviso e un po’generico intento di non stare né dalla parte dei realisti, né da quella dell’astrattismo concretista (…).
Nell’autunno del ’51 Moreni aveva partecipato alla prima rassegna di ‘Pittori d’oggi Francia –Italia’, a Torino, dove in commissione si trovavano figure come Argan, Arcangeli, Carluccio, Pallucchini, Ragghianti. E ancora nell’edizione successiva il catalogo riportava che le sue opere davano “la sensazione dei congegno meccanico (…) resa più pertinente dalla nitidezza metallica con cui l’artista introduce il suo problema pittorico e morale insieme”. Ma si legge anche di un riferimento ai “risultati tra i maggiori dell’arte non figurativa”, e al tempo stesso di “un tumulto tuttora irruente del suo appassionato sentire, di quello cromatico in particolare per cui le pagine si accendono in lampi d’eccezionale splendore.” Ormai sono titoli come Battelli, Storie di mare, Barche, Reti in fondo al mare, Paesaggio a Grado, Quando il mare è di piombo, a confermare il graduale mutare d’accenti della pittura di Moreni rispetto alla fase in cui s’era accostato all’astrattismo concretista, senza tuttavia sposarne mai compiutamente la causa.
La struttura compositiva dei dipinti, almeno fino alla Biennale del ’52, viene riproposta secondo le varianti dello sviluppo verticale oppure orizzontale, ma con molte analogie nella definizione degli elementi plastici, salve restando le diverse gamme cromatiche, ora con accenti più forti, perfino squillanti, ora con tonalità trattenute e certi cangiantismi del tutto inconsueti nella pittura coeva. C’è quasi sempre un’asciuttezza ricercata nei ‘tagli’, nelle sagome e nei ‘tasselli che si sovrappongono, si saldano, si congiungono spesso scanditi da un segno più o meno marcato di contorno, con una sapienza d’impaginazione ormai esercitata.(…)
È dal ’53 che quanto era stato trattenuto entro la scansione delle forme e la netta definizione della costruzione plastica, comincia a sfuggire agli equilibri strutturali dando luogo a slabbrature, sfrangiamenti, o ispessimenti, come per effetto di una vibrazione interna. Ma è la materia a diventare altra, in un processo di metamorfosi che muta dal profondo, lo stato fisico delle cose (…). Si ha la sensazione di una svolta decisiva rispetto alla misura cercata entro una formula come l’astratto concreto che doveva essergli apparsa, in breve tempo, poco compatibile con un temperamento come il suo, non addomesticabile da dettati teorici, per giunta fragilissimi, e affidati ad una sorta di fumosa formula magica ricavata da termini d’uso corrente (…).
Moreni intuisce come non sia più questione di formule, di programmi teorici, e meno che mai di postulati ideologici. È convinto sempre di più, come scriverà in una lettera a Birolli, nella primavera del ’54, che ciò che conta è “la forza dei quadri”. Nella sua pittura c’è qualcosa di più profondamente individuale, ancora indefinito, che preme. Qualcosa che sembra oscuramente connesso al ‘naturale’, ma che non è dato di natura in senso paesaggistico (…).
È un paesaggio esteriore che si interiorizza in qualcosa che ha a che vedere col visionario, col richiamo fascinoso che subito può mutarsi in sgomento, paura. Un paio d’anni dopo un quadro convulso e già in qualche misura ‘gestuale’come Il sole ha incendiato i cespugli deflagrerà in una gigantesca, stordente Paura dell’uomo.
È il 1985 quando Moreni esegue un grande autoritratto, il primo di una serie lunghissima che non ha confronti nella storia della pittura. Lo titola Autoritratto n.1. Mattia Moreni a 82 anni di sua età. È allucinato e insieme lucido, quasi a celebrare la figura dell’ossimoro che è condizione diffusa del nostro tempo. L’allucinazione è quella di chi sa che non si può giungere al fondo delle cose senza ossessione. Moreni, a “ottandue anni di sua età”, guarda. Gli occhi puntati come fari fissano lo spettacolo di quella che chiama “la regressione della specie”, con la relativa messa in scena di una modernità conclamata quanto ancora evanescente, e ambigua. (…) mette in scena una sorta di infantilismo che per certi aspetti potrebbe far pensare ad una regressione dadaista.
Una nuova epopea, questa della ‘regressione’, che in estrema sintesi va dal disfacimento dell’organico, del biologico, al passaggio ad una condizione ibrida nella prefigurazione di un destino artificiale, computerizzato, per molti aspetti ancora imperscrutabile (…).
Ma è la violenza che attraversa come una sorta di filo rosso tutta la pittura morenica (…).
Una pera diventa bestiale, oppure ferrata come un ordigno in attesa pericolosa. Una mela è ancora ignota anche se mangiata, e il pesce pure lui perché ha mangiato la mela verde.(…).
La pattumiera è la figura chiave di questa sorta di erotismo pittorico, e sfacciatamente pittoresco, della regressione. Come nell’Autoritratto N.4. Bocca come un cesso: qui, il sublime è come sopraffatto, appunto dall’irrompere di un pittoresco osceno,
Si è ormai sulla via di una pittura che “disprezza se stessa” (…) per mettersi in scena in un teatro alla Jarry. Così reinventa la citazione attraverso soluzioni neppure immaginabili dai pittori che negli anni ’80 ne hanno fatto una pratica corrente: diverso è in primo luogo l’atteggiamento nei confronti del passato. Fa i conti con alcuni protagonisti della modernità artistica e forse più con quelli di tempi più lontani che hanno aperto delle brecce permanenti nella storia del pensiero visivo. Ecco riapparire allora La Maya desnuda de Goya, ma debitamente regressita pure lei, “elettronica” (…). Una pittura incredibilmente sofisticata e al tempo stesso come fosse in parte elaborata al computer, il risultato di un’operazione digitale.
Prosegue con una frequenza impressionante ma senza essere ripetitiva la serie degli autoritratti, e una vertiginosa inversione cronologica porta al n.27 Mathias Morenis a 18 anni di sua età laida danzatrice di Flamenco Punk, andalusa Asburgo. Una figura come sbiancata da un neon accecante, che s’agita goffamente in un ballo con le nacchere (…).
Il grottesco al terminal è in avanzata, aggiunge Moreni nella sua scrittura dipinta. E subito dopo regredisce a Moreni a cinque anni di sua età, asili nido Gorizia, ovvero a un elettrizzato Pierino il terribile in corsa, per assumere poi i panni del bambolo del NO, nell’autoritratto n.42, recuperando poi decenni, o togliendosene a seconda delle circostanze (…).
Avviene dunque con questi segnali il passaggio all’ultima stagione dell’artista, quella dell'”umanoide tutto computer”. Dalla Genetica nel computer, il computer nella genetica all’Intelligenza artificiale investe l’umanoide, una sequenza di opere di grandi dimensioni, Moreni scrive nel suo inconfondibile ‘pittorescò l’ultimo capitolo della sua storia, con passerella finale di strampalati umanoidi, figure ibride mutanti ormai irrecuperabili ad uno stato unicamente organico (…) un’apocalisse genetica morbida, seducente, ben diversa dal moderno sublime della visionarietà apocalittica dei lontani anni ’50. Sono personaggi senza identità, fatti di arti mostruosi, di protesi improbabili, di patetici moncherini, giunture provvisorie, collegamenti elettrici approssimativi, qualche tubo residuo, e residue frecce segnaletiche. Per dove? sembra interrogarsi e interrogarci Moreni. È questo il sarcastico, ossessivo, paradossale segnale d’allarme che Moreni agita in un clima, una scena pittorica ormai di una lontananza da vertigine rispetto a quei cartelli che trent’anni prima erano apparsi a preannunciare l’epifania di una nuova immagine.
Claudio Spadoni
tratto dal catalogo della mostra “Mattia Moreni. Il percorso interrotto. Ultimo decennio (1985 – 1998)“
Periodo: 30 giugno – 7 settembre 2008
Magazzini del Sale – Cervia (Ravenna)
www.turismo.comunecervia.it