“Sono nato a Córdoba, Argentina, nel 1944.
Ho disegnato battaglie, frecce, fucili e cannoni, ho modellato mani, volti, e coltelli con i saponi e con i gessetti che mio padre conserva ancora come ricordo della mia infanzia.
Ho cominciato a studiare pittura a 10 anni, e più tardi frequentai la Scuola di Belle Arti.
Ho vagabondato tra la confusione di un Paese popolato da emigranti, mucche, asini e militari, e dopo molte rivoluzioni avevo fatto diverse mostre e vinto alcuni premi.
Il primo premio vinto – lo ricordo con molto affetto – mi è stato assegnato per una mia pittura murale (cm. 740 x 220).
L’ultimo è stato il premio d’arte più importante in Argentina. Premio comprendente, fra altre cose, una pensione vitalizia.
Fino a oggi ho tenuto 23 mostre personali e ho partecipato a più di 30 rassegne-collettive.
Molte di queste mostre le ho fatte durante i miei viaggi attraverso l’America Latina, viaggi intrapresi a 22 anni con una valigia e 350 incisioni.
I viaggi durarono due anni e mezzo.
Volevo conoscere l’America Latina prima di viaggiare in Europa, cosa che ho fatto.
Ho attraversato la giungla dell’Ecuador da sud, tra immense foglie verdi sulla terra rossa.
Con i nadaistas, gruppo di poeti della Colombia, ho bevuto molto rum e ho ballato la cambia di quel Sud America surrealista e pazzo (così dice un mio amico), mi sono tuffato nei due oceani e ho inzuppato camicie e camicie nelle sieste di Guayaquil e Panama.
Ho partecipato a 4 biennali internazionali e a molte feste.
Ricordo ancora bene i valsesitos peruviani, le cumbias colombiane e i tamburi e i nordamericani dietro il filo spinato del Canale di Panama, gli spari nelle notti roventi del Guatemala, i militari del ’68 nel Messico e ancora spari, bombe, calci e soprusi sotto il cielo azzurro di quel Sud America vivo e gioioso, con un coltello in gola.
Tornando nella mia Argentina dei tanghi, della malinconia, mi sono sentito triste.
Vi rimasi per due anni con una borsa di studio, mi sono sposato e poi sono partito – con mia moglie – verso l’Europa nella speranza della cultura promessa, attratto dalle leggende tipiche di una terra di emigranti, spinto dalla necessità di esprimermi liberamente.
Amo l’America Latina come una utopia, ma penso che l’utopia sia una idea prematura della realtà.
Continuo così ad andare con le stampelle, ingannandomi e ricordando.
Con il ricordo di quella pazzia incandescente faccio le valigie e parto per la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, l’Italia.
Lavoro sempre con lo stesso impulso malaticcio giorni e notti, ossessionato da quel caldo che gonfia le vesciche, questo freddo che mi gela il petto: con diversi cibi, con diverse lingue, con diverse storie, costruisco pezzo per pezzo la mia piccola intima storia”.
Raùl Heredia
Milano, novembre 1976
tratto dal Catalogo: “Un amor se me quedo entre los dientes depues de la ultima cena – Raul Heredia Pittore”
Edizioni Galleria del Naviglio – Milano
Direttore Renato Cardazzo
Catalogo stampato in occasione della 669a Mostra del Naviglio
10 dicembre 1976 – 10 gennaio 1977