Robert Capa, il fotografo che raccontava la guerra

di Teresa Lanna.

Robert Capa, il fotografo che raccontava la guerra

«Mio fratello Robert assunse volontariamente l’incarico di raccontare la guerra. La sua capacità di sentirsi vicino a quanti soffrivano in guerra e le sue fotografie, hanno trasformato in istanti di eternità non solo gli eventi cruciali ma anche le prove cui erano sottoposti i singoli. Durante il suo breve passaggio sulla terra visse e amò molto. Quel che ci ha lasciato è la storia del suo viaggio irripetibile e una testimonianza visiva che proclama la fede nella capacità degli uomini di sopportare tante avversità e, a volte, di farcela».
Queste le parole usate da Cornell Capa per descrivere il fratello Robert, considerato il più grande fotoreporter di guerra.

Nato a Budapest il 23 ottobre 1913, documentò cinque diversi conflitti: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d’Indocina (1954). 
Fra il 1931 ed il 1933 studia Scienze Politiche all’Università di Berlino, ma presto è costretto a lasciare la Germania nazista a causa delle sue origini ebraiche. Il percorso di Robert Capa inizia in veste di assistente di laboratorio e, successivamente, quando si trasferisce a Parigi, di fotografo freelance, senza ottenere particolari riconoscimenti.

Robert Capa – Death of a Loyalist militiaman near Espejo, Córdoba front, Spain, early September 1936 © International Center of Photography/Magnum Photos

La fama mondiale, però, arriva grazie ad una celebre fotografia scattata durante la guerra civile spagnola, intitolata Il miliziano colpito a morte (1936). Paradossalmente, la sua foto più nota è anche la più discussa, perchè ancora oggi si dubita sulla sua autenticità. Secondo alcuni, infatti, quanto riportato dal fotografo ungherese riguardo alle circostanze dello scatto risulterebbe poco chiaro. 
Nel corso di un’intervista radiofonica, rilasciata nel 1947, è lui stesso a raccontare come riuscì a realizzare la fotografia:
«Ho scattato la foto in Andalusia, mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani; avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto. Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa, e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea; questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino, perché avevo la macchina fotografica sopra la testa».
Questo, per Capa, fu un periodo tra i più drammatici; perse, infatti, la sua compagna Gerda Taro, collega di origini polacche. Gerda fu la prima fotoreporter donna a morire compiendo il suo lavoro al fronte; accadde nel 1937, durante la Guerra Civile spagnola. Aveva 27 anni. Robert più volte affermò, in seguito, che quel 26 luglio era morto anche lui.

Capa scattò fotografie di soldati e partigiani, ritraendoli sia in momenti di vita quotidiana che durante le battaglie, con uno sguardo che si spingeva ben oltre il mero intento documentaristico, perché totalmente partecipe agli eventi e agli stati d’animo dei soggetti immortalati.
Nel 1947, insieme ai fotografi Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David “Chim” Seymour, Robert Capa fondò l’agenzia Magnum Photos.

Robert Capa – Pablo Picasso with Françoise Gilot and his nephew Javier Vilato, on the beach, Golfe-Juan, Vallauris, France, August 1948 © International Center of Photography/Magnum Photos

L’interesse del fotografo ungherese si rivolse anche al cinema; nel 1936, infatti, girò varie sequenze per il film  Spagna‘36  di Jean-Paul Le Chanois, prodotto da Luis Buñuel. Grazie alla relazione con Ingrid Bergman, che fu però di breve durata, qualche anno dopo si trovò sul set di Notorious di Alfred Hitchcock, dove scattò alcune foto.
Si tratta, comunque, di brevi esperienze nel mezzo di una vita trascorsa a stretto contatto col rischio. Durante la sua intensa carriera, infatti, egli mise più volte a repentaglio la propria esistenza, dato che era nella sua indole affrontare situazioni pericolose, anche estreme.

Tra i suoi colleghi e amici del tempo, figurano grandi personalità della cultura del ‘900, come Irwin ShawJohn Steinbeck, il regista John Houston ed Ernest Hemingway. Quest’ultimo, in particolare, si affidò con marcato fervore agli scatti del fotografo ungherese, al punto da farsi immortalare ovunque e nelle più varie circostanze: in famiglia, a pesca, a tavola, alla scrivania… ma anche in ospedale, durante la guerra di Spagna e la Seconda guerra Mondiale.

Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, Robert Capa era a New York dove si era rifugiato per evitare la persecuzione degli ebrei in Europa, ma non esitò un attimo a far ritorno al Continente.
Fu il solo fotografo “civile” a partecipare allo sbarco di Omaha Beach, in Normandia, durante il D-Day, documentando gran parte del conflitto, tra Londra, Parigi, il Nord Africa e l’Italia.

Nell’estate del 1943 si trova in Sicilia per uno dei suoi reportage più importanti, sullo sbarco delle truppe anglo-americane.
A Palermo, Capa invia le sue prime foto alla rivista Life, con cui collaborava come freelance. Gli alleati, allora, si trovavano nei pressi di Troina, non lontani dall’Etna, coinvolti in duri combattimenti che richiesero una settimana per la liberazione del paese difeso da italiani e tedeschi. La resa avvenne solo dopo diversi bombardamenti che distrussero gran parte del borgo siciliano. In quei durissimi giorni di lavoro, Robert Capa diede vita a quelli che, presumibilmente, sono diventati gli scatti più celebri di tutto il suo percorso professionale.

Il 6 agosto 1943 Capa, con la sua macchina fotografica, immortalò un’immagine divenuta simbolica: essa ritrae un pastore che indica, ad un soldato americano accovacciato, la strada per Sperlinga. Uno scatto meraviglioso, la cui tenerezza si pone in netto contrasto con la durezza del momento. La foto fece il giro del mondo, al punto che la rivista Life non esitò ad assumere Robert Capa. La fotografia fu scattata a circa 3 km dal paese, sulla Strada Statale 12. Nel luogo esatto dello scatto, ora, c’è una targa che ricorda la memorabile circostanza.

Robert Capa – Women crying at funeral of twenty teenaged partisans from Liceo Sannazaro (Vómero district) who had fought the Germans before the Allies entered the city, Naples, Italy, October 2, 1943 © International Center of Photography/Magnum Photos

Durante l’esperienza dell’assedio di Troina, nella Valle dei templi, davanti al Tempio della Concordia, Robert Capa incontra un giovanissimo Andrea Camilleri, che così descrive l’avvenimento: 
«Nella luce abbagliante di quella mattina di luglio, il tempio m’apparve intatto. Nello spiazzo antistante c’era un soldato americano che stava fotografando il tempio. O almeno tentava. Perché inquadrava, scuoteva la testa, si spostava di qualche passo a sinistra, scuoteva nuovamente la testa, si spostava a destra. A un tratto si mise a correre, si fermò, cercò un’altra angolazione. Neppure questa volta si mostrò contento. Io lo guardavo meravigliato. Il tempio quello era, bastava fotografarlo e via. Che cercava? Doveva essere un siciliano, lo si capiva dai tratti, forse voleva portare un ricordo ai suoi familiari in America. In quel momento, fummo assordati da un rumore di aerei e di spari. In cielo, ma a bassissima quota, si stava svolgendo un duello tra un aereo tedesco e uno americano. Mi gettai a terra. Anche il soldato si gettò a terra, ma, al contrario di me, a pancia all’aria. Scattava fotografie una appresso all’altra senza la minima indecisione, la macchina tra le sue mani era un’arma, una mitragliatrice. Poi i due aerei scomparvero. Ci rialzammo, gli dissi qualcosa in dialetto. Non capì. Io non parlo inglese, ma qualche parola la capisco. Mi spiegò che era un fotografo di guerra. Mi scrisse su un pezzetto di carta il suo nome: Robert Capa. Per me, allora, un perfetto sconosciuto. Ci salutammo. Ripresi la bicicletta, tanto la strada ora era tutta in discesa».

Robert Capa – American troops landing on Omaha Beach, D-Day, Normandy, France, June 6, 1944 © International Center of Photography/Magnum Photos

Circa un anno dopo, è la volta dello sbarco in Normandia del contingente statunitense ad Omaha Beach. Anche in quell’occasione, Robert Capa si trova pronto ad immortalare tutto con il suo inseparabile strumento di lavoro.
Purtroppo, a causa di un errore del tecnico dello sviluppo, molti degli scatti andarono persi. Solo undici fotografie danneggiate si conservarono; sufficienti, comunque, a documentare gli orrori del D-Day.

«Se le tue fotografie non sono abbastanza buone, non eri abbastanza vicino», affermava Robert Capa. Forse non c’è frase che lo identifichi meglio; persino nel descrivere quello che fu l’ultimo istante della sua vita, durante la prima guerra d’Indocina, nel 1954, quando morì, ucciso da una mina antiuomo. Era il 25 maggio.
Se avesse avuto coscienza di quel momento, lo avrebbe senza dubbio immortalato; perché, ormai, la sua vita si svolgeva quasi esclusivamente sui campi di battaglia. E neanche la morte gli faceva più paura.
Teresa Lanna

Immagine in evidenza: Robert Capa – Soldier walking through field on recconnaissnace mission, near Troina, Sicily, Italy, August 4-5, 1943 © International Center of Photography/Magnum Photos
Tutte le immagini: © International Center of Photography/Magnum Photos. Courtesy Accademia d’Ungheria in Roma dalla mostra “Robert Capa, il fotorepoter