Un manifesto per Treccani – Fotografie di Toni Nicolini

Ernesto Treccani - Fotografie di Toni Nicolini

Il grattacielo Pirelli, gli operai della Metropolitana in costruzione, la tessitura, caseggiati popolari e interni sono gli emblemi della città dove Treccani è nato.
Nel modo con cui ci sono proposti superano tuttavia il semplice riferimento anagrafico e nella rappresentazione di una città industriosa e viva, che tenta un continuo rinnovamento e cerca di diventare ed essere moderna, creando contraddizioni e incongruenze faticosamente superate e subito eternamente riproposte, rintracciamo le radici di un temperamento dinamico, sempre disponibile ai problemi e ai contrasti, pronto alla iniziativa, aperto alla proverbiale cordialità tutta milanese, alla generosità dei rapporti di amicizia e di solidarietà.

L’evocazione di un ambiente e di un clima in cui Ernesto Treccani è cresciuto e in cui si muove giorno per giorno serve dunque a reperire le ragioni di un modo di essere, ma anche e potremmo dire soprattutto di un modo di sentirsi pittore.

“Io sono lombardo; qualsiasi cosa dipinga, per esempio i contadini calabresi, rimango un pittore lombardo. Ciò non vuoi dire naturalmente che i miei quadri e disegni calabresi non siano tali, volti, natura, espressione e anche colore. Ma vi è sempre nell’opera l’impronta di un artista lombardo. Un quadro può (e direi anzi che deve) essere nel medesimo tempo immerso nella luce di un luogo e di un momento e contenere in sé la luce perenne della terra natale del pittore. Più in generale si potrebbe anche dire di un colore italiano, di un colore francese e così via. Ad ogni modo, quando dipingo il paesaggio milanese la luce del luogo e la luce perenne si sovrappongono e si fondono e, può sembrare strano, forse consiste in ciò la difficoltà che ho trovato nel rendere il paesaggio urbano della mia città. È come mettere grigio su grigio o luce su luce”.

Accanto alla città che cresce e rinchiude i suoi abitanti, il giardino splendente, i “grandi alberi e prati coltivati a fiori” diventano i simboli di un altro aspetto del suo carattere e della sua pittura.

Con la pittura cerco vita e bellezza” ha scritto non molto tempo fa in occasione di una mostra, ma vita e bellezza, va subito aggiunto, non sono ricercate soltanto al di qua del muro che chiude il verde giardino, ma nella città stessa, negli uomini che la popolano : il “muro” del suo diario non è riuscito a tenerlo lontano dalla realtà che ha profondamente sentito vivere intorno a sé e di cui si è sentito sempre parte e che ha inteso come integrazione di sé.
Per questo, e prima di tutto per questo, anche al di là di ogni considerazione critica in merito alla sua validità di pittore, Treccani doveva essere accolto nei nostri “Quaderni” che ricercano in un pittore la sua verità umana, il significato del suo impegno morale e civile.

Le luci alle finestre e ai balconi, tessere luminose del grande mosaico della facciata di un caseggiato popolare, disegnano debolmente leggere tendine di povera mussolina, tenui diaframmi che tentano appena di nascondere dentro quei muri neri una vita più intima e autentica, non certo spiata per semplice curiosità di ragazzo, per una innocente morbosità del se greto, ma nel tentativo ingenuo di abbattere quel muro che ci separa dagli altri, nel bisogno adolescente, perfino infantile, di cogliere e conoscere e sorprendere sentimenti e affetti che intuiamo intorno a noi e dai quali il muro ancora ci tiene lontani, e in cui vorremmo invece immedesimarci, a cui vorremmo partecipare.
In quelle case, dietro quelle facciate vivono gli uomini che dobbiamo conoscere meglio per amare di più: “La mia fatica, per molti anni, fu di abbattere il muro resistente che voleva tenermi lontano dagli uomini e dalle donne che dentro me amavo ancor prima di conoscere”.
Entrare nelle loro case, salire le loro scale e dipingere per conoscere e possedere il loro mondo, dare perciò un nome preciso alle loro cose, sentire il valore che essi danno al loro ambiente, agli oggetti di cui si circondano.

Ernesto Treccani - Fotografie di Toni Nicolini
Ernesto Treccani
“Paradiso terrestre”, 1962

“È appena cominciata la rappresentazione degli oggetti più comuni. .. A poco a poco impariamo a chiamare le cose con il loro nome. Tegamino, lampada, terra di un paese, volto di donna, lampione, ciminiera, per me oggi queste parole, domani altre, e chissà che col tempo non si riesca a mettere insieme un intero discorso!”.

Le parole cominciano ad avere un significato quando gli oggetti cui corrispondono il tavolo, la radio, la bicicletta e il contatore del gas delle fotografie di Nicolini, che valgono qui la lampada, il lampione, il tegamino, la ciminiera del diario o dei quadri di Ernesto impariamo a sapere che sono gli strumenti della vita quotidiana dell’uomo; non cose astratte, ma somma concreta di piccoli e grandi bisogni della sua vita.
Le mani degli uomini e delle donne trasformano nell’uso lento e monotono d’ogni giorno questi oggetti che da anonimi e senza significato diventano propri, dando loro, con questa trasformazione, una dimensione nuova, conferendo loro sentimenti e vita, arricchendoli di un valore di memoria, così che ci aiutano a comprendere gli uomini stessi.

Gli oggetti, e le parole o le immagini che li rappresentano, diventano perciò una parte della vita dell’uomo, possiedono in concreto una loro storia umana e perciò “si può fare un paesaggio deserto di uomini ma in cui circoli la vita”.
I ballatoi, “i ballatoi deserti”, e le fabbriche, “le fabbriche senza fumo” di Settentrione, sono già però il segno di una prima, prorompente, più grande necessità.
Non basta scavalcare e anzi abbattere il muro, uscire dal giardino splendente di alberi e di fiori, incontrarsi con gli uomini, capire i loro oggetti, conoscere i loro sentimenti e aderire ai loro sogni: occorre uscire dall’isolamento di una stanza e vivere con essi la loro vita, comprendere e partecipare alla loro lotta.

Dalla scoperta dell’uomo, dalla conoscenza della sua solitudine e del suo isolamento, e d’altra parte dalla certezza della sua costante necessità, dalla coscienza del suo ineliminabile desiderio di rapporti, nasce l’ambizione di Treccani di raggiungere una rappresentazione più ampia, corale, della storia dell’uomo.
Ma i sogni, le favole che sono nati dalle emozioni semplici e innocenti, tenui e trepide degli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, non possono e non debbono andare perdute: resta pur sempre la fiducia nella verità della bellezza, di un fiore che ancora cresce accanto ad un muro che non riesce a soffocarlo e ad opprimerlo…
Antonio Arcari

Ernesto Treccani - Fotografie di Toni Nicolini

Tratto dal volume: “Ernesto Treccani – Fotografie di Toni Nicolini”
a cura di Antonio Arcari
foto Toni Nicolini
Quaderni di Imago
Bassoli Fotoincisioni
Milano
1967