
Con la Prima Risonanza prende forma, dal 15 ottobre 2024, l’avvio del progetto di rilancio e riqualificazione della nuova GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, con la direzione di Chiara Bertola.
La nuova stagione espositiva prende il via con il parziale rinnovamento degli spazi espositivi e di accoglienza al pubblico: è stato completato il Lotto Zero, l’anticipazione del più complessivo e ambizioso progetto di totale riqualificazione della GAM e dell’edificio che la ospita, che intende rilanciare il museo proiettandolo verso il futuro e a offrire un’esperienza di visita ancora più inclusiva e innovativa.
Il completamento di questa prima fase anticipatoria dei lavori di rigenerazione del museo ha permesso la riapertura, dopo sei anni, del secondo piano dell’edificio, valorizzandone la struttura originaria con gli ambienti pervasi dalla luce naturale e la ristrutturazione del foyer e dei laboratori del Dipartimento Educazione, che sono stati trasformati per ampliarne gli spazi, restituire l’apertura verso il giardino e per favorire l’accesso e la sosta dei visitatori.
Il nuovo allestimento delle collezioni, curato da Chiara Bertola, Elena Volpato e Fabio Cafagna, è pensato in dialogo con le tre grandi mostre dedicate ad altrettante artiste di primo piano nel panorama internazionale – Berthe Morisot, a cura di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin (dal 15 ottobre), Mary Heilmann, a cura di Chiara Bertola (dal 30 ottobre) e Maria Morganti, a cura di Elena Volpato (dal 30 ottobre) – generando così una polifonia i cui temi portanti sono la luce, il colore, il tempo. Fuori da un preciso perimetro cronologico, le opere risuonano le une accanto alle altre, consentendo l’affioramento di affinità e tensioni spesso inaspettate.
Al secondo piano il pubblico potrà scoprire inoltre il Deposito vivente, un display che, emulando un deposito museale, consente di fruire di un ambiente densamente abitato dalle opere e in continua trasformazione.
Ad aprire altre possibilità di interpretazione è anche l'”intruso”, l’artista Stefano Arienti, chiamato ad intromettersi all’interno delle collezioni e della mostra dedicata a Berthe Morisot. Il suo intervento consiste soprattutto nell’integrazione di opere e oggetti negli ambienti della mostra, per rievocare l’atmosfera domestica dei soggetti proposti dagli impressionisti. In questo modo l’intrusione di Arienti crea degli inciampi, interrompendo la narrazione precostituita e destando l’attenzione del visitatore.
LE COLLEZIONI
PRIMO E SECONDO PIANO
a cura di Chiara Bertola, Elena Volpato, Fabio Cafagna
La GAM rinnova l’allestimento delle sue collezioni, arricchite nel tempo anche grazie alla Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris e alla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, con un percorso espositivo che si articola attraverso il primo e il secondo piano dell’edificio.
Il nuovo allestimento, ideato in sintonia con le mostre della programmazione autunnale, si articola in quindici sale.
Il percorso di visita parte dal secondo piano. Il visitatore, immediatamente, è invitato a entrare nel Deposito vivente. Il progetto di questo primo spazio ha previsto il denudamento di alcune pareti -attraverso la tecnica dello stripping – per mostrare gli originari muri inclinati dell’edificio concepito da Carlo Bassi e Goffredo Boschetti nel 1959. Riemerge così lo scheletro originale della Galleria e quella sua peculiare qualità architettonica, brutalista, per anni rimasta celata. Nel Deposito vivente trovano spazio, collocati su scaffali, griglie e talvolta nelle loro casse d’imballaggio, dipinti, disegni e sculture che, in più di un caso, non si mostravano al pubblico ormai da tempo.
A seguire una sala di riposo, inondata dalla luce naturale come nel progetto originario del 1959, accoglie arredi, sculture e dipinti della prima metà del Novecento. Questo ambiente, immaginato come un momento di decantazione, è la premessa a un ordinamento giocato sulle relazioni, risonanze e attrazioni tra opere e nuclei tematici di cronologie anche molto distanti.
Ogni sala è il capitolo di un racconto, con la propria narrazione e i propri personaggi. Ad accumunare le storie sono i motivi tratti dalla poetica e dalla pratica delle tre artiste che con le loro mostre, animano gli spazi della GAM: Berthe Morisot e la sua pittura ariosa, intrisa di luce; Mary Heilmann e il suo approccio non ortodosso alla forma e al colore, Maria Morganti e la sua metodica e lenta ricerca sul tono cromatico. Sala dopo sala, le opere sono allestiste a risuonare le une accanto alle altre. Un ambiente, con opere di Gastone Novelli, Achille Perilli, Alberto Burri, Cy Twombly e Franco Vaccari, è dedicato a quelle sperimentazioni segniche degli anni Cinquanta in cui i muri si trasformano in palinsesti di vita vissuta.
Nella sala successiva i muri delle città lasciano il posto al paesaggio antropizzato delle campagne. La monumentale Semina di Pedro Cabrita Reis è posta in dialogo con una selezione fotografica di malinconici campi arati di Mario Giacomelli, mentre la mitologia del viaggio costituisce il tema portante della sala seguente in cui si confrontano opere di Massimo d’Azeglio, Otto Dix, Osvaldo Licini e Luigi Ontani.
I trapassi cromatici, atmosferici e stagionali aggregano le opere di Luciano Fabro, Mario Reviglione, Medardo Rosso, Leoncillo e Leonardo Bistolfi. Queste ultime allestite nel passaggio tra le due maniche del secondo piano, in cui la luce naturale per anni schermata da muri in cartongesso è ora libera di entrare. Nei due ambienti successivi, più intimi e raccolti, sono alcune nuove acquisizioni a confrontarsi con opere più conosciute delle collezioni museali. Le pennellate spontanee di Bill Lynch si specchiano nelle nature morte di Filippo De Pisis; i vapori pittorici di Michele Tocca nelle fotografie di Luigi Ghirri e nei dipinti di Antonio Fontanesi.
Il secondo piano si conclude con una vivace e chiassosa vibrazione cromatica, che vede fronteggiarsi la grande tela di Nicola De Maria Regno dei fiori musicali. Universo senza bombe con le opere di Carla Accardi, Lucio Fontana e Giuseppe Capogrossi.
Le risonanze continuano al primo piano, dove la presenza di un artista contemporaneo, con la sua peculiare sensibilità, consente di rileggere opere note, creando imprevedibili assonanze o contrasti visivi. Lorenza Boisi e Stefano Arienti dialogano con Lorenzo Delleani, Enrico Reycend e Mario Gabinio; Maria Morganti con la pittura veneta di Giacomo Favretto, Guglielmo Ciardi e Tancredi Parmeggiani. La violenza cromatica di Pesce Khete si confronta con il segno corsivo di Karel Appel e il vigore espressivo di Pinot Gallizio. Mentre Luca Bertolo condivide il suo spazio con Andy Warhol, Franco Angeli, Pino Pascali e Mario Schifano.
Non mancano ambienti scaturiti dal raffronto tematico: la ritmicità cromatica di Piero Dorazio a confronto con quella atmosferica di Antonio Fontanesi; la musicalità di Giuseppe Pellizza da Volpedo e Vittore Grubicy De Dragon con le geometrie e la serialità di Giacomo Balla, Sergio Lombardo e Robin Rhode. Infine, la città rutilante di Francesco Jodice e quella patinata di Franco Fontana si animano alla presenza delle opere di Salvatore Scarpitta, Giosetta Fioroni, Michelangelo Pistoletto, Titina Maselli, Jessica Stockholder e Jannis Kounellis.
IL DEPOSITO VIVENTE
SECONDO PIANO
a cura di Chiara Bertola e Fabio Cafagna, con l’intervento di Stefano Arienti
Il Deposito Vivente crea un contatto inedito tra il pubblico e la collezione del museo, rivelando parte del vasto patrimonio artistico. Questo spazio non è solo un luogo di conservazione, ma un ambiente dinamico dove l’arte è presentata secondo mutevoli punti di vista e al di fuori dei percorsi espositivi tradizionali. Accostando in modo inedito alcuni capolavori della collezione a sculture e dipinti meno noti, e per alcuni aspetti sorprendenti, le opere acquisiscono nuova vitalità, stimolando interazioni e riflessioni critiche che sfidano le gerarchie convenzionali.
Il Deposito Vivente permette ai visitatori di scoprire la dimensione nascosta della GAM, rivelando come ogni museo sia un organismo vivo, in costante trasformazione. Le opere sono visibili dal pubblico attraverso uno sguardo dal di dentro, da dietro le quinte, così come sono abituati a vederle gli addetti ai lavori: appese alle rastrelliere, allineate sugli scaffali, custodite in casse, tutte cariche di un’energia potenziale che le scelte curatoriali devono portare alla luce e far parlare.
Il contrappunto tra il display delle sale, la studiata mise en scene di mostra, e il giacimento grezzo delle opere, tipico invece degli spazi di deposito, sarà un ulteriore modo di far conoscere ai visitatori la macchina museale e gli innumerevoli modi in cui la GAM disvela il senso di ciò che custodisce.
L’INTRUSO
STEFANO ARIENTI
Da un’idea di Chiara Bertola
L’Intruso è un artista o un curatore invitato in ogni Risonanza a dialogare con le mostre e con le collezioni della GAM. La sua “intrusione” sarà decisiva in ogni riallestimento delle collezioni e in quel rimettere in moto traiettorie interpretative o tranquillizzanti percorsi cronologici. Intrusione per elaborare una propria visione a contrappunto e, insieme, a sostegno dell’organismo espositivo museale. Quando si parla di intrusione si fa riferimento a una pratica in qualche misura disturbante, nella quale qualcosa o qualcuno viene inserito o si inserisce con prepotenza all’interno di un’unità dotata di equilibrio proprio. Questa figura è destinata a creare degli inciampi al percorso rassicurante del Museo. Sorprendere con display imprevisti e offrire visioni inattese all’interno del palinsesto della programmazione e dell’allestimento delle collezioni del Museo.
L’intruso sarà quindi invitato a ogni stagione espositiva per scompaginare e ricomporre con ordini visivi imprevisti, per riaprire e rimettere in moto tutte le relazioni spazio temporali all’interno del mondo “congelato” del Museo. Rivedere allora il concetto di conservazione e portarlo fino a coincidere con il suo contrario, il più lontano possibile dall’idea di chiusura, di immobilità restando comunque all’interno del museo.
Stefano Arienti è il secondo Intruso, dopo il curatore Fabio Cafagna nella mostra di Italo Cremona, chiamato a intervenire negli spazi delle collezioni permanenti e della mostra dedicata a Berthe Morisot.
Per la prima Risonanza l’artista ha offerto il suo particolare punto di vista nell’allestimento del Deposito Vivente intervenendo insieme ai curatori nella selezione delle opere e sulla composizione del display espositivo, e nella sala di riposo del secondo piano con l’opera del grande tappeto, un esempio di manipolazione di un’immagine caratteristica del suo fare: una fotografia dell’immagine di una superficie d’acqua stampata su moquette, creando una sorta di trompe l’oeil contemporaneo.
Infine è possibile scoprire alcuni suoi interventi sui tre piani del museo, negli ambienti di passaggio che portano agli spazi espositivi, il disegno su telo antipolvere di una grande montagna dorata al piano -1, un grandissimo pioppo che sembra nascere dai pavimenti arabescati di marmo al primo piano e due meridiane nelle due entrate del Deposito Vivente al secondo piano.
L’intervento di Stefano Arienti si integra infine negli ambienti della mostra di Berthe Morisot per evocare l’atmosfera domestica dei soggetti proposti dagli impressionisti. Arienti riveste le pareti con carte da parati e nastri d’organza a righe o fiori, tipici dell’epoca, e introduce dettagli d’arredo come un pianoforte, un attaccapanni e una bacheca con la frutta di Francesco Garnier Valletti proveniente dal Museo della Frutta di Torino. I suoi “quadri di pongo” amplificano il tocco sfuggente, frastagliato e imprendibile di Morisot, aggiungendo una dimensione tattile inaspettata alla pittura impressionista. Un altro tappeto trompe-l’œil di un grande prato soleggiato nella stanza del giardino d’inverno, infine, illumina l’ambiente, ricreando lo spazio ideale della pittura en plein air.
L’artista invita a riflettere sui temi della natura, della storia dell’arte, dei valori luminosi e della riconversione auratica di immagini paesaggistiche comuni e quotidiane. Partendo da oggetti ordinari, Arienti li trasforma e li riconverte, rinnovando così la riflessione sul loro valore pittorico.
Arienti si considera più pittore che scultore: lavora con le immagini e definisce il proprio approccio come “pittorico”, pur senza dipingere nel senso tradizionale del termine. Tuttavia, il suo lavoro si concentra fortemente sui valori tattili della pittura. Interviene spesso su figure dipinte o fotografate, “implementandole” o “aumentandole” con materiali come plastilina, pongo e puzzle. Aggiungendo materia all’immagine, Arienti la trasforma, rendendola più tangibile, vibrante e viva.