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“Ehi, Mark vuoi provare un po’ di Snow Crash?” La tentazione del Metaverso

di Paola Milicia.

"Ehi, Mark vuoi provare un po' di Snow Crash?" La tentazione del Metaverso

Abbiamo davvero bisogno di vivere in un secondo spazio virtuale e immaginato, condiviso e ipertecnologico? Dentro una Second Life digitale ripulita dalle contraddizioni di sistema della società contemporanea – ammesso che gli avatar che saremo si comporteranno secondo comandamenti e dettami di una democrazia più moderna e meno difettosa di quella reale?

Secondo Mark Zuckerberg, ideatore di Facebook, a capo di Meta Inc., sembrerebbe assurdo pensare il contrario. L’era di FB, si sa, è finita, e la virtualità a cui siamo oramai addomesticati, seppure continui a regalarci esperienze inimmaginabili, è spazialmente limitata. Ecco la principale garanzia del metaverso: un Internet incarnato attraverso il quale accedere a una vastità inquantificabile di informazioni, con la possibilità di utilizzare sia la realtà virtuale che quella aumentata. In termini di grandezza, il metaverso è tutto ciò che può essere oggetto di un’immaginazione sconfinata e realizzabile dentro Internet.

Immagine di xresch, da Pixabay

Traducendo: il metaverso è un’espansione digitale del mondo reale, un terzo stato, dopo quello reale e quello virtuale nel quale il nostro avatar vive e interagisce grazie all’ausilio di dispositivi tecnologici indossabili (smart glasses, caschi, guanti e tute tattili) che sembrerebbero già potenzialmente soppiantabili da un normale accesso a internet – il che, lo renderebbe alla portata di tutti-; un universo digitale, iperpotenziato e nuovo di zecca in cui le persone possono entrare e uscire in una vita parallela e disegnata ad hoc, e muoversi al suo interno come farebbero nella vita vera: sarà possibile tenere incontri di lavoro, andare a una mostra di arte, giocare a carte con amici e molto altro, tutto rimanendo isolati dal mondo, cioè iper-connessi ma a debite distanze.

Neal Stephenson (foto di Bob Lee, Wikimedia Commons)

Come Hiro Protagonist, personaggio principale del tecno-thriller Snow Crash di Neal Stephenson che già nel 1992 scriveva di metaverso e doppie vite: Hiro, di madre coreana e padre africano, è un hacker, impiegato dal franchise Cosa Nostra Pizza come fattorino. L’avatar di Hiro ha semplicemente l’aspetto di Hiro, con una sola differenza: indossa sempre un kimono di pelle nera e una katana, perché lui ha deciso di essere un samurai. Sulla questione di come apparire, il metaverso di Snow Crash impone un Protocollo: il tuo avatar può avere l’aspetto che preferisci, nei limiti dati dagli strumenti di cui si dispone. Se sei brutto, puoi avere un avatar bellissimo, se sei appena sceso dal letto, il tuo avatar può essere vestito e perfettamente truccato; puoi assumere qualsiasi forma: “di un gorilla, di un drago o di un gigantesco pene parlante”, scrive Stephenson.

Hiro Protagonist e Y.T. – Postato da u/Civort su Reddit

Come Hiro, molti potrebbero scegliere di vivere in un luogo potenziato, in un universo generato dalla tecnologia. Dopotutto, nel metaverso ci si va per quello che si può fare, ma soprattutto, per quello che si può essere. Anche Hiro dichiara di entrarci per “dimenticare la vita di merda del D-Posit” dove vive con Vitality Chernobyl. Se la realtà quella vera non lascerà spazio alla speranza di esaudire un sogno di vita migliore, allora il metaverso, dove sarà possibile sfrecciare alla guida di una vera Lamborghini e abitare ville milionarie, ha già vinto su tutto.

“New building of the Metaverse Museum” (Mirabella, Wikimedia Commons)

Sembrerebbe che il metaverso contribuirà a costruire una tecnosfera o una futura avatar society in cui da un lato saremo capaci di moltiplicarci e di atomizzarci, superando i limiti imposti dalla relatività del tempo e dello spazio (saremo cioè in mille luoghi diversi contemporaneamente); dall’altro, aiuterà per più di un verso a proteggere quella singolarità, quella nicchia di riferimento individuale e differente da individuo a individuo, che fuori pare difficile preservare per le pressioni imposte dal mainstream e dalla globalizzazione del pensiero umano. Ecco: il metaverso è una pronta soluzione di igienizzazione da imperfezioni, uno strumento di filtraggio e correzione che in linea teorica ci restituirà una second chance più coerente ai valori e ai capricci individuali e collettivi, e più patinata come immaginazione comanda.

Certamente, si prevede che cambierà il modo in cui le persone lavorano, interagiscono, utilizzano le loro identità virtuali. Ci sarà bisogno di nuove forme di strutturazione sociale, nuovi concetti di società e comunità rispetto a quelli in uso? Avremo bisogno di ottenere una cittadinanza cyber? Saremo identità punibili davanti alla legge? Dipenderemo dall’iper-immaginazione per avere successo nella vita?

Immagine di julientromeur, da Pixabay

Un considerazione che potrebbe aiutare in questa complessa valutazione, se cioè è urgente un approdo così smaterializzante dell’uomo e delle sue relazioni, è che anche nel metaverso tutto può accadere, esattamente come accade nella realtà. Il metaverso dovrà affrontare una serie di problemi come la sicurezza ed evitare che l’interazione tra le persone si trasformi in un incubo proprio come nel thriller di Stephenson. Sì, perché non si è detto che nel metaverso letterario da lui ideato scoppia una pandemia causata dallo Snow Crash (“This Snow Crash thing-is it a virus, a drug, or a religion?“), un virus letale che attacca la mente degli hacker.

Il che da molto da pensare: il mondo perfetto delle ipertecnologie non sembra tanto diverso dalla realtà, e quello che sembra promettere una vita più stimolante a portata di oculus, forse, nella vita vera, somiglia più a una trovata (geniale) per espandere il mercato globale e fare soldi veri, ovviamente.

E allora: Mark vuoi provare un po’ di Snow Crash?

Paola Milicia

“Snow Crash” di Neal Stephenson
1ª ed. originale 1992
1ª ed. italiana 1995
“Snow Crash” su Wikipedia (IT) su Wikipedia (ENG)
“Snow Crash” su Enciclopedia Britannica

Immagine in evidenza: di 360creator, da Pixabay