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Laddie John Dill. Antiquitas in Lux
giovedì 4 Maggio 2017 - lunedì 3 Luglio 2017
sede: Museo Archeologico Nazionale (Napoli);
cura: Ornella Falco e Cynthia Penna.
Nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Napoli giunge l’opera di Laddie John Dill, fra i principali esponenti del “Light and Space”, movimento artistico, nato in California e storicizzato grazie all’intervento del Getty Museum, che fa della luce e della sua interazione con i materiali, i principali oggetti di indagine.
Peculiarità dell’arte di Dill in quanto “Sperimentatore di Luce” è stata proprio la ricerca e l’introduzione di elementi “estremi” all’interno del mondo dell’arte, con l’utilizzo e la manipolazione di materiali non precipuamente devoluti all’uso artistico: tubi di neon, allumini industriali, cementi, terre che, fra le mani di Dill acquistano un’ineguagliabile poeticità.
“Le due installazioni di sabbie, terre e neon concepite per il Museo Archeologico di Napoli – spiega la curatrice della mostra Cynthia Penna – sono specificamente create per rendere palpabile il senso di irrealtà dell’atmosfera in cui si viene immersi.
Il contesto museale accoglie il visitatore con l’opulenza e la preziosità del contenitore e del contenuto fatto di capolavori greco-romani che si “aprono” alla visione del pubblico.
Quindi un assetto museale tradizionale per la presentazione di opere d’arte antica.
Le tonalità dei bianchi, dei verdi e dei grigi dei marmi la fanno da padrone nel contesto ambientale del Museo; i busti della statuaria greco-romana posizionati sui lati del salone di ingresso del Museo, creano una sorta di corridoio centrale in cui il pubblico si sofferma e si orienta prima di avventurarsi nelle sale.
Ebbene è proprio qui, in questo contesto simmetrico, ordinato e calmo, che Dill pone una installazione che è l’elemento di rottura dell’aspettativa del visitatore: l’accesso, la stessa possibilità di avanzamento fisico dello spettatore nello spazio museale viene sbarrato da una composizione materica e nel contempo eterea e irreale fatta di terre, di sabbie e soprattutto di luce che rompe l’equilibrio dell’alternanza di bianchi e grigi dei marmi e delle opere esposte, rompendo di fatto l’equilibrio scenografico dell’insieme.
Eppure da un tale impatto visivo nasce immediatamente un dialogo nuovo fatto di diversa percezione visiva del contesto: un dialogo che si basa su percezione di luce e colore.
Di fatto tutte le pareti nei pressi dell’installazione cambiano colorazione e acquisiscono accenti di drammaticità e nel contempo di totale irrealtà.
Pilastri rosati che si confondono col nero delle terre vulcaniche poste sul pavimento: una colorazione che con gli accenti del rosa appare totalmente estranea al contesto e neanche realistica: una immersione in una atmosfera metafisica ed irreale del tutto destabilizzante.
Le sculture sembrano levitare e fluttuare nello spazio attraverso una totale perdita di matericità e finanche di peso.
L’intera concezione classica della plasticità della statuaria tradizionale viene sovvertita dalla percezione visiva dell’insieme che non appare più né reale, né realistico.
Tutto si smaterializza in una visione che non è più un vedere ma piuttosto un percepire.
Lo spettatore viene immerso tout court in un’atmosfera surreale di trasparenza e rarefazione per la quale non si è nemmeno più certi della propria visione”.
Con le sue istallazioni Laddie John Dill traspone l’arte classica in “arte percettiva”: una tipologia di arte contemporanea che sviluppa e tocca molteplici “sensi” dello spettatore, un’arte che, attraverso una sorta di decomposizione visiva della materia, costruisce e ricompone una nuova opera con diversa materialità.