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Anche la banana può allucinare (Cattelan docet)

di Giancarlo Pagliasso.

Probabilmente Ennio Bianco è oggi il commentatore e critico d’arte più accorto in circolazione.
Un suo recente articolo su Arte.Go.it del 14/12/2019, dal titolo Dalla “Bananadine” alla “Comedian”: la “vera” origine della banana appesa di Maurizio Cattelan, ricostruisce magistralmente il background socio-artistico che fa da sfondo al ‘caso’ dell’opera di Cattelan ‘appesa’ presso lo stand della galleria Perrotin a Art Basel Miami il dicembre scorso.

Bianco fa iniziare la sua ricostruzione fenomenologica della storia dalla ‘bufala’, messa in circolazione negli anni ’60 in piena cultura hippy, riguardante le proprietà psicotiche della buccia di banana essiccata: la Bananadine.

Donovan - "Mellow Yellow"

La credenza nelle proprietà allucinogene della mitica sostanza venne alimentata attraverso il supporto dei prodotti della controcultura underground dell’epoca (dalla canzone “Mellow Yellow” di Donovan all’articolo di William Powell su “The Anarchist Cookbook” nel 1970, che descriveva come produrla, fino al testo di A.D. Krikorian, pubblicato nella rivista “New York Botanical Garden Press”, che ne riportava le “proprietà psichedeliche“), ma il contributo maggiore al successo mediatico-iconografico della banana, sottolinea Bianco, fu dato dalla copertina, ad opera di Andy Warhol, del disco “The Velvet Underground & Nico”, album di debutto della band capitanata da Lou Reed, pubblicato nel marzo del 1967.

Andy Warhol - "The Velvet Underground & Nico
epa04026429 A woman looks at the artwork ‘The Velvet Underground & Nico’ by Andy Warhol at the Ludwig Galerie in Oberhausen, Germany, 17 January 2014. The exhibition ‘Andy Warhol Pop Artist’ runs from 19 January till 18 May 2014 at the Ludwig Galerie in Schloss Oberhausen.  EPA/JAN-PHILIPP STROBEL

Come chiosa l’autore: “La copertina del disco è celebre per il disegno opera di Warhol: una banana gialla “sbucciabile” con l’indicazione “Peel slowly and see” stampata vicino. Chi rimuoveva la buccia di banana adesiva, vi trovava sotto un’allusiva banana di colore rosa”.
La firma del maestro della Pop Art, in qualche misura, codificò ‘culturalmente’ (seppur nei termini ambigui della simbolica sessuale) l’immagine del frutto, ricco di potassio, nell’immaginario popolare.

Anche la banana può allucinare (Cattelan docet) - Thomas Baumgärtel, Bananasprayer

Sulla base di queste premesse, Bianco opera un salto temporale e spaziale dall’America all’Europa riferendosi alla performance del pittore Thomas Baumgärtel. Attivo a Colonia, durante gli anni ’80, e meglio noto con l’appellativo di Bananasprayer, l’artista ‘etichettava’ le vetrine o i muri delle gallerie d’arte della metropoli tedesca, allora un polo artistico importante, con l’effigie dipinta di una banana (molto simile a quella di Warhol).
Le sue ‘tracce’, dapprima osteggiate e rimosse, vennero nel corso del tempo ad acquistare un significato di apprezzamento, divenendo il simbolo per indicare “luoghi d’arte straordinari . Oggi oltre 4000 Gallerie, Musei e Centri espositivi delle metropoli di tutto il mondo hanno adottato l’icona-banana creata dal Bananasprayer“.

A questo punto, Bianco introduce nel suo percorso diegetico Maurizio Cattelan, facendoci sapere che nel 2017 l’artista, tornato in auge l’anno prima sulla scena statunitense per aver “installato la sua scultura, realizzata in oro 18 carati, dal titolo “America” nella toilette del  Solomon R. Guggenheim Museum“, invitato (con altri 49 artisti) dalla rivista New York a progettare una copertina per il cinquantenario del magazine, “decide di usare una banana applicata con del nastro adesivo rosso“.
Avendo Cattelan scartato l’opzione iconica della mela per connotare la sua idea della metropoli, Bianco ipotizza che abbia voluto citare Warhol (quale “il più grande protagonista della scena artistica newyorkese“) o Baumgärtel (per sottolineare lo specifico di “luogo straordinario dell’arte” della città), ma rimane fuor di dubbio per lui che l’artista abbia citato se stesso in relazione all’uso del nastro adesivo. Infatti, con del nastro adesivo grigio, Cattelan aveva ‘appeso’ al muro nel 1999 il gallerista Massimo De Carlo nel corso della performance “A Perfect Day”.
La matrice ideativa della banana ‘appesa’ da Cattelan e titolata “Comedian” nello stand di Art Basel Miami sarebbe quindi per Bianco l’autocitazione dell’artista, che in questo modo intenderebbe porsi anche all’interno di una tradizione figurativa dell’avanguardia e in senso più lato all’interno della storia dell’arte.

Bianco rimane anche equidistante dal sensazionalismo (critico e acritico) del codazzo mediatico scatenatosi intorno all’opera (ulteriormente accentuato dalla sua ‘distruzione’ alimentare da parte del sedicente artista David Datuna), e correttamente ne definisce le coordinate ‘ontologiche’ in merito al prezzo (120.000 $) stabilito dal gallerista Perrotin.
Scrive infatti: “Io penso che la vera genialità in tutta questa operazione sia stata del gallerista nel…costruire il brand dell’artista, come si farebbe per un qualsiasi altro prodotto di consumo. L’attribuzione del valore alla cosa-opera, o all’evento-opera, avviene attraverso una costruzione del consenso sostenuta finanziariamente. Un’arte che crea shock (o che sia spettacolarizzata) risponde appieno a queste finalità. Lo shock è lo strumento operativo principe sia della comunicazione che della narrazione finalizzata alla valorizzazione dell’opera“.
Questa disamina mi trova d’accordo, ma va integrata rispetto allo specifico formale dell’opera e, in questo senso, allargata oltre il livello stilistico ‘ripetitivo’ e ‘includente’ dell’autocitazione.

All’uopo, diventa significativo riferirsi alla difesa della produzione di Cattelan fatta dal critico del New York Times Jason Farago.
Egli insiste sulla cifra stilistica della sospensione della banana attuata da Cattelan: l’arte del sospendere è l’artificio espressivo che caratterizza la poetica neo-dadaista dell’artista, al cui interno appropriazione, citazione e ready made sono implementate in quanto prassi che “rende l’ovvio ridicolo, sgonfia e sconfigge le pretese dell’arte precedente“. Appartengono a questo filone opere come “Novecento” (1997), un cavallo tassidermizzato appeso al soffitto di una sala del castello di Rivoli; il già ricordato Massimo De Carlo, appeso al muro come un irriverente crocifisso durante “A Perfect Day” (1999); “La Rivoluzione Siamo Noi” (2000), un sembiante in miniatura di Cattelan che penzola da un appendiabiti “come un cosciotto di prosciutto“, e la retrospettiva di tutta la sua produzione al Guggenheim nel 2011, allestita appendendo le opere al soffitto del museo, “come panni stesi ad asciugare“.
Per Farago, la specificità della ‘messa in visione’ dell’opera è quanto fa di Cattelan un critico ironico “del mondo dell’arte dall’interno“, molto più efficace culturalmente della scontata e ‘politicamente corretta’ rimostranza che un artista iconico come Bansky rivolge contro la ‘mercificazione’ di quel mondo dall’esterno (o almeno presunto tale).
Sostanzialmente, per il critico newyorchese, Cattelan, mediante la banana appesa al muro con lo scotch, ci mostra cosa sia ‘veramente’ l’opera d’arte oggi e quanto la sua ‘ontologia’ possa prescindere da un preteso contenuto (al contrario degli stucchevoli ‘murales’ di Bansky) poiché ne rende palese la forma-merce figurativa in quanto valore (d’uso) di ‘messa in scena’ (come insegna Gernot Böhme, il teorico dell’Ästhetischer Kapitalismus).
Il tragitto che l’artista ha fatto compiere al frutto (acquistato al mercato per 30 cents, dove la sua esposizione lo valorizzava agli occhi dei compratori in maggior parte per il bisogno e in misura minima per il puro desiderio estetico), ricollocandolo nello stand di una galleria importante ad Art Basel Miami, in cui è diventato idea astratta di ofelimità solo estetica (a parte Datuna, che forse voleva citare “Ti si mangiate la banana”, il capolavoro canoro trash di Leone di Lernia), ha consentito di portare il suo valore di scambio fino a 120.000$.

Giancarlo Pagliasso.
(Pubblicato in Amicando Semper n.13, febbraio 2020)