di Mariateresa Zagone.
Questo articolo è parte della rassegna “Science Art Visions“
a cura di Ennio Bianco

Da sempre gli artisti si sono basati sulle conoscenze tecnologiche e sull’ingegno per trovare i materiali e gli strumenti adatti ad esprimere al meglio i propri pensieri, visioni o credenze e ogni opera d’arte è stata determinata, in primo luogo e soprattutto, dai materiali a disposizione dell’artista e dall’abilità di questi nel manipolarli. La tecnologia non solo influenza la creazione artistica stabilendo le possibilità di espressione degli artisti, ma determina il passaggio a funzioni diverse dell’arte cambiandone anche le modalità di fruizione. Nel Rinascimento gli artisti arrivarono ad inventare, fra le altre, tecniche legate alle scoperte matematico-geometriche per riuscire a rappresentare la terza dimensione, cioè per rendere mimetica la realtà fisica. Ma cos’è stato il Rinascimento, soprattutto il Rinascimento italiano? In campo storico artistico questa sembra una delle pochissime domande a cui si possa rispondere con la consapevolezza esplicita degli stessi protagonisti di quell’epoca. Il Rinascimento è l’unico caso in cui si sia pensato alla propria contemporaneità negli stessi termini in cui, attraverso il filtro della storia, secoli dopo la si è teorizzata a partire, per esempio, da quel testo esemplare che è “La civiltà del Rinascimento in Italia” di Jacob Burckhardt, edito nel 1860.
Ed è già questa una assoluta novità in quanto nessun altro periodo storico ha mai riflettuto su se stesso, non lo ha fatto il Romanico, il cui termine e la conseguente weltanschauung, sono frutto degli studi romantici, non lo hanno fatto il Gotico (termine inventato da Giorgio Vasari alla metà del XVII secolo), né il Barocco (termine spregiativo inventato dall’estetica illuminista).

Il principale testo da cui emerge chiaro questo aspetto è il “De pictura” pubblicato da Leon Battista Alberti nel 1436, il cui incipit coincide con una dedica a Filippo Brunelleschi inventore, appunto, della prospettiva lineare, in cui egli traccia uno straordinariamente consapevole ritratto di quello che poi si chiamerà Rinascimento. E’ il ritratto di una generazione che viene chiamata per nome, da Filippo a Nencio a Luca a Masaccio, la generazione titanica che ha cambiato il corso della storia dell’arte europea. Alberti lo comprende e lo dice in tempo reale con una lucidità che, di norma, l’essere contemporanei, non consente. E sempre Alberti prosegue indicando che a Firenze si sta compiendo ciò che mai aveva avuto luogo, cose che nessuno fino ad allora aveva udito o visto. Nel testo c’è un’idea davvero eroica dei moderni, delle idee innovative che sostanziano una rivoluzione di cui si è consapevoli e che nessuna epoca aveva mai avuto. L’epoca immediatamente precedente, il medioevo, viveva infatti in una sostanziale idea di continuità in cui il valore di novità era trascurato. Il Rinascimento è il momento in cui si crea uno dei topoi dell’arte moderna che ci accompagna fino all’oggi, forse anche fino all’esasperazione, in cui novità e valore estetico sembrano coincidere. Quella generazione fu la prima ad alimentarsi dell’antico conoscendolo, però, solo per frammenti (e questo Alberti lo individua molto bene) e fu la prima che operò nella discontinuità con quel mondo percependone e reinterpretandone i valori fondanti tanto che se gli antichi avessero potuto vedere le opere di Piero, di Masaccio, di Michelangelo non si sarebbero riconosciuti. Crearono davvero un’arte e una scienza che non si erano mai visti ed è in questo valore di totale novità e originalità ma di profondo colloquio con il passato che sta il fascino intramontabile del Rinascimento.
Tra gli esempi più significativi di questa eroica epopea ci soffermeremo su quelli di Brunelleschi, di Piero e di Leonardo da Vinci.

All’inizio del Quattrocento Filippo Brunelleschi, architetto fiorentino, aveva realizzato, nel corso di un esperimento, due tavolette che hanno segnato la nascita della prospettiva, intesa come insieme di procedure e proposizioni di carattere geometrico-matematico che consentono di costruire l’immagine di una figura nello spazio su un piano, proiettando questa figura da un centro di proiezione posto a una certa distanza ben definita. Brunelleschi è l’artista-scienziato che ha segnato il passaggio dal Medioevo al Rinascimento: tutta la sua opera artistica, architettonica, teorica può essere letta come una ricerca matematica, una ricerca delle relazioni geometriche e delle leggi fisiche e meccaniche.
Ed è proprio il merito di antesignano che gli viene riconosciuto dal poco più giovane Alberti.

Passando al secondo personaggio, è risaputo che Piero della Francesca sia stato, oltre che un eccezionale artista, anche un grande trattatista; scrisse infatti quattro trattati, tra i quali il fondamentale “De prospectiva pingendi“, dedicato alla prospettiva scientifica e il “De quinque corporibus regolaribus“, un trattato di geometria dedicato ai cinque solidi regolari pitagorici. Questi ultimi altro non sono che poliedri, ovvero solidi la cui superficie è formata da facce poligonali, che rispetto a tutti gli altri poliedri hanno la caratteristica di avere tutte le facce, gli spigoli e gli angoli di uguale misura. La scoperta dei solidi regolari è attribuita a Pitagora, ma il primo che ne parla è Platone nel “Timeo” mentre il primo a descrivere come si costruiscono sarà, qualche decennio dopo, Euclide. Sono la piramide a base triangolare, cioè il tetraedro (quattro facce triangolari, ovviamente parliamo di triangoli equilateri), il cubo o esaedro (sei facce quadrate), l’ottaedro (otto facce triangolari), il dodecaedro (dodici facce pentagonali) e l’icosaedro (venti facce triangolari). Non sono possibili altri solidi regolari, cioè non è possibile trovare altre combinazioni che diano come risultato un poliedro che abbia tutte le facce di pari superficie (e che siano poligoni regolari), tutti gli spigoli di egual misura, e tutti gli angoli della stessa apertura. L’artista era consapevole che esisteva un profondo legame tra i cinque corpi regolari e la prospettiva, la tecnica che, come si è detto, permette la raffigurazione dello spazio tridimensionale su un supporto bidimensionale.

Esercitarsi sui solidi regolari voleva dire imparare il disegno prospettico, fondamentale per una rappresentazione dello spazio su base scientifica: e infatti il libro è pieno di esercizi matematici e geometrici, alcuni dei quali anche piuttosto astratti, che aiutano l’artista che lo legge a far pratica di disegno, a imparare a conoscere lo spazio. Rappresentare uno spazio tridimensionale, per Piero, presuppone che gli oggetti che lo compongono vengano studiati in modo analitico, nelle loro forme, nella loro posizione rispetto al luogo che li contiene, nel loro rapporto con gli altri oggetti. Lo studio dei poliedri regolari non è che un modo per approcciarsi a quello che sarà, poi, lo studio di forme più complesse (come la figura umana, probabilmente la più difficile da rappresentare in prospettiva). Ovviamente per Piero i solidi regolari non erano solo degli oggetti su cui esercitarsi, ma elementi per costruire lo spazio all’interno del quale ambientare i dipinti come nel caso della “Madonna del Parto” (realizzata a partire da un dodecaedro) o della “Flagellazione” (il cui ambiente è un cubo aperto studiato in prospettiva). Uno degli amici di Piero della Francesca, il matematico Luca Pacioli, sviluppò nel suo trattato “De divina proportione“ quanto scritto dal pittore e lo fece illustrare a Leonardo da Vinci, ed è il soggetto di uno dei più enigmatici ritratti del quattrocento italiano, nonché il trait d’union con il terzo e più importante degli artisti scienziati del Rinascimento, Leonardo da Vinci

L’opera, attribuita al pittore e incisore veneziano Jacopo de’ Barbari e anticamente collocata nel Palazzo Ducale di Urbino, dal 1957 è esposta al Museo di Capodimonte. Il ritratto lo raffigura con lo sguardo concentrato mentre dà dimostrazione dell’ottava proposizione dal libro XIII degli Elementi di Euclide a un discepolo, vestito secondo la moda aristocratica del tempo, che volge i suoi occhi allo spettatore.
Sul tavolo è posata la sua opera più celebre, la “Summa de Arithmetica“, stampata a Venezia nel 1494 e dedicata al duca Guidobaldo da Montefeltro, riconoscibile dalla iscrizione Li[ber] R[egularum] Luc[ae] Bur[gensis].
Intorno sono sparsi gli strumenti atti allo studio e alla misurazione della matematica e della geometria (una penna d’oca col suo astuccio, un compasso, un goniometro, un gesso e una spugnetta) e due straordinari solidi geometrici.
Pacioli era infatti solito fabbricare solidi in legno per lo studio della geometria, e in più occasioni li presentò nelle più prestigiose corti italiane: Urbino, Milano, Roma, Firenze, Venezia.
In alto a sinistra è rappresentato un solido in cristallo (rombicubottaedro), – singolare natura morta, colmo per metà d’acqua, – quasi un’apparizione che pende dal soffitto, sostenuto da un filo non perfettamente in asse. Al suo interno si riflette un’immagine, forse la facciata del Palazzo Ducale di Urbino.
La presenza dei due solidi, legati alle indagini di Pacioli, fanno pensare che l’iconografia del dipinto sia stata dettata dal frate stesso, pienamente inserito nel clima culturale della corte di Urbino, centro importante per gli studi matematici e geometrici durante il Quattrocento e Cinquecento.
Nel 1496 Pacioli si trasferì a Milano, presso Ludovico il Moro, dove entrò in contatto con Leonardo. L’artista possedeva una copia della “Summa de Arithmetica“, pubblicata da Pacioli due anni prima, pagata 119 soldi, che, essendo scritta in lingua volgare, aveva consentito a Leonardo, omo sanza lettere, di potersi impadronire dei principi matematici.
La conoscenza diretta del frate, da cui prendeva lezioni di algebra e geometria, permise l’instaurarsi di un vero e proprio sodalizio.
Leonardo da quel momento aggiungerà ai suoi multidisciplinari ed enciclopedici interessi, anche lo studio della equiestensione dei solidi e delle aree, il problema della quadratura del cerchio e altre dimostrazioni geometriche come testimoniano numerosi disegni sul tema.



Il clima culturale vissuto dagli intellettuali e dagli artisti rinascimentali che vede la matematica e la geometria come discipline principali per conoscere e indagare la realtà, è ben esemplificato dalle parole usate da Leonardo nel suo “Trattato della pittura“: «Nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni; e se tu dirai che le scienze, che principiano e finiscono nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si nega per molte ragioni; e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza».

Leonardo, la cui intera opera è un fitto intreccio di arte, scienza e tecnologia rappresenta il traguardo più elevato della cultura rinascimentale ed è considerato il primo scienziato dell’età moderna. Nei suoi trattati è stato il primo a ipotizzare l’esistenza di due prospettive: quella lineare di Brunelleschi e quella aerea con la quale intendeva il meccanismo della messa a fuoco. Se si guardano nitidamente le figure in primo piano, l’occhio non può contemporaneamente mettere a fuoco anche le figure sullo sfondo che risultano più sfocate. Quindi, se il pittore sfoca le immagini in lontananza, riesce a creare un effetto di tridimensionalità che non fa ricorso alle linee geometriche. Inoltre a lui si devono i primi studi in Europa sulla possibilità di proiettare immagini dal vero su un foglio dove potevano essere facilmente ricopiate, con la cosiddetta camera oscura che troverà piena cittadinanza solo nella pittura del secolo dei lumi. Con la camera oscura Leonardo intendeva dimostrare che le immagini hanno una natura puntiforme e si propagano in modo rettilineo venendo poi invertite da un foro strettissimo che fungeva da obiettivo, arrivando persino a ipotizzare che anche all’interno dell’occhio umano avvenisse un capovolgimento analogo. Il rapporto arte-tecnologia sarà ancora più forte quando Leonardo si specializzerà nell’ingegneria, giungendo alla costruzione di macchine da guerra molto elaborate e addirittura di macchine volanti, come un primitivo elicottero.
In lui, arte e scienza sono dunque la medesima cosa, come testimoniato anche dagli studi anatomici e sulle proporzioni dei corpi, che hanno trovato riscontro nel celeberrimo “Homo Vitruviano”.


Per ciò che riguarda gli studi sul corpo umano, la macchina che lui considerava perfetta, Leonardo è stato l’inventore dell’illustrazione anatomica essendo stato il primo a rappresentare l’interno del corpo umano con una serie di disegni straordinari, che stupiscono per la precisione e la correttezza dei dettagli, soprattutto se si pensa che non disponeva né di un microscopio né di strumenti speciali per la dissezione. Nei suoi appunti Leonardo dedicò parecchio interesse alla luna. Fu il primo a comprendere la natura della “luce cinerea” e che la luna non avesse un corpo levigato e liscio arrivando ad affermare correttamente che non è luminosa in se stessa, ma riflette la luce del sole.
Anche negli studi di botanica Leonardo anticipò i tempi. Nei molti fogli in cui rappresenta con accuratezza scientifica varie specie di piante comprese che le foglie non sono disposte sullo stelo casualmente, ma seguono un percorso fatto a spirale per avere maggiore luce e fu il primo ad osservare gli anelli di accrescimento degli alberi e a capire che, contandoli, si potesse determinare l’età della pianta. In questo settore la sua scoperta più importante fu quella del fenomeno della linfa ascendente e discendente, scoperta che in seguito sarebbe diventata legge scientifica.
Leonardo non hai mai scritto trattati scientifici e gli studi, avvenuti tramite il disegno, sono rimasti sconosciuti per tantissimi anni, venendo alla luce a qualche centinaio di anni di distanza in maniera frammentaria a seconda della scoperta o rilettura dei vari codici.
Mariateresa Zagone
Immagine in evidenza: © Sam Elliot Phellep – Leonardo da Vinci in his studio
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a cura di Ennio Bianco